di Ken Loach
(Gran Bretagna, 1994)
Sinossi
Maggie conosce in un pub Jorge, un esule paraguaiano. I due stringono un’affettuosa amicizia e la donna racconta il suo passato, fatto di esperienze violente e di vessazioni operate da uomini aggressivi ed egoisti, e di come le siano stati sottratti i suoi quattro figli dal servizio sociale inglese perché ritenuta inadatta al ruolo di madre in seguito ad un principio d’incendio nella sua abitazione, in cui il maggiore dei figli, Sean, ha riportato delle ustioni di un certa gravità. Maggie cerca di riottenere l’affidamento dei suoi bambini, ma il tribunale le dà torto ancora una volta e l’accusa di negligenza, dato che al momento dell’incendio non si trovava in casa. Maggie e Jorge decidono di andare a vivere insieme e cercano di formare una famiglia. Jorge, nonostante abbia il visto di soggiorno scaduto, riesce a trovare un posto in una friggitoria, garantendo almeno la serenità economica nonostante alcune prepotenze da parte del datore di lavoro. I due decidono di avere un figlio e Maggie partorisce con grande amore una bambina, il cui affidamento le viene subito tolto sempre perché ritenuta incapace di educare con tutte le garanzie i propri fanciulli. La decisione viene ribadita dal tribunale. Dopo la lettura della sentenza, Maggie, incurante dei tentativi di Jorge di calmarla, si scaglia con estrema violenza verso tutti coloro che reputa responsabili del nuovo distacco. Maggie e Jorge, a dispetto delle tensioni accumulate che li fanno spesso scontrare, fanno un ulteriore tentativo e generano una nuova bambina, ma anche questa viene loro sottratta. I due sono ormai in crisi, ma il loro amore, pur tra tante difficoltà, continua a resistere: una didascalia avvisa che la coppia avrà altri tre figli e che questi cresceranno in famiglia, anche se gli altri fanciulli allontanati dalla propria madre non saranno più restituiti alla coppia.
Presentazione Critica
Da sempre attento alle contraddizioni presenti nella società (soprattutto in quella inglese) e ai diritti dei più indifesi, Ken Loach, con Ladybird Ladybird, torna ad occuparsi dell’infanzia e della famiglia dopo Kes (1969) e Family Life (1971), adottando una prospettiva differente, quasi canonicamente ribaltata: il centro nevralgico attorno a cui ruota la prospettiva non è focalizzato sui fanciulli, ma sulla loro irriducibile mancanza e sull’azione devastante operata dalle istituzioni sulla madre di sei figli, la quale se li vede portare via inesorabilmente dai servizi sociali perché ritenuta inadatta ad educarli e a crescerli. Mancanza irrimediabile, assenza inflessibile che si evidenzia iconograficamente con la sostituzione dei corpi con dei simulacri, con le fotografie dei pargoli disposte con regolarità sul muro dell’abitazione in cui la sfortunata Maggie vive in compagnia del mite e controllato, ma non per questo meno addolorato, Jorge, poeta abituato a cristallizzare e sublimare delusioni e patimenti in idealità versificata. Per uno studioso come Marc Vernet, le fotografie, i ritratti, sono uno degli emblemi attraverso i quali si realizzano le cinque grandi ‘figure dell’assenza’ che caratterizzano lo statuto della visione nella rappresentazione cinematografica: le figure ritratte sembrano raddoppiare la presenza (corpo più immagine), mentre in realtà si pongono esplicitamente come esclusivo oggetto dello sguardo altrui, rendendo quindi esplicitamente conto della loro irrimediabile mancanza all’interno della rappresentazione (Marc Vernet, Figures de l’absence, Edition Cahiers du cinéma, 1988). Se questo aspetto si preoccupa principalmente dell’apparato linguistico-comunicativo che sta alla base della raffigurazione cinematografica, indubbiamente permane nella sua estrema validità anche nella valenza iconico-significativa messa in mostra in Ladybird Ladybird: dolorosa assenza come segno inconfutabile della violenza istituzionale che esplicita il contrasto tra il diritto dell’individuo a determinare autonomamente la propria vita e l’assetto sociale che, invece, intende penetrare nell’esistenza privata del cittadino, celandosi dietro la giustificazione del miglioramento e del progresso sociale. Loach, quindi, ribalta il problema dell’infanzia concentrando l’attenzione su coloro che la generano e che, se dotati, pur nell’ambito di tutte le sproporzioni e le contraddizioni possibili, di affetto sincero e autenticamente motivato, la patiscono inesorabilmente quando il sentimento provato si deve interrompere bruscamente per cause indipendenti dalla propria volontà. L’affresco realistico proposto dal regista (talmente realistico da utilizzare un’attrice non professionista, Crissy Rock, nei panni di Maggie e un vero esule politico, anche se cileno e non paraguaiano, Vladimir Vega, nel ruolo di Jorge) indaga sulle condizioni sociali di Maggie, sul suo passato pieno di violenza, vessazioni e patimenti (riproposto in un flashback doloroso attraverso il quale vengono contemporaneamente messi al corrente della situazione sia Jorge sia gli spettatori), sull’amore nutrito nei confronti dei suoi figli, sulla brutalità della società e sulla malignità dei vicini di casa (l’anziana donna che al processo testimonia contro Maggie e Jorge parlando di supposte violenze che l’uomo avrebbe perpetrato nei confronti della compagna), limitandosi ad osservare i comportamenti, le reazioni, il lancinante ed insopprimibile dolore che scaturisce dal distacco, tramite immagini neutre, dettate dalla presenza e dal movimento dei personaggi e dalle loro maschere contratte e deformate dal patimento. L’irrimediabilità del dolore si origina dalla prigione della forma che scaturisce dal pensiero altrui: Maggie è per la società la madre snaturata che, a causa del suo carattere sanguigno e impulsivo, non può essere una buona madre, solo perché ha sbagliato una volta lasciando i figli soli in casa ed il caso ha voluto che l’incidente accadesse in quella precisa occasione. Il progresso proposto dai servizi sociali parte da un vizio di forma: la loro visione psicologica tenta di normalizzare il contraddittorio ed il problematico cercando di raggiungere un livello standard che non tiene conto dei diversi casi e delle diverse personalità, rifiutandosi a priori di partire dagli aspetti positivi del rapporto familiare che Maggie, pur con tutte le sue sgradevolezze, mostra apertamente. Conta l’apparenza, non la profondità di quell’amore che rende pazzi perché non può più essere esercitato direttamente. Ed in mezzo a questa ulteriore stortura, a questo amaro contenzioso tra istituzione e famiglia, si situano i bambini, testimoni muti ed impauriti, pura presenza che si dissolve improvvisamente, lasciando soltanto patimento, rimorso e struggimento. Giampiero Frasca