Papà... è in viaggio d'affari

15/06/2011 Tipo di risorsa Schede film Temi Adolescenza Relazioni familiari Titoli Rassegne filmografiche

di Emir Kusturica

(Ex) Jugoslavia, 1985

SINOSSI

Sarajevo. Fine anni quaranta. La famiglia del piccolo Malik, un bambino di sette anni, è apparentemente felice. Mesa e Sena, i suoi genitori, sono una coppia felice e lui va d'accordo anche con Mirza, il fratello più grande. Egli non sa però che Mesa ha una relazione extraconiugale con una donna di nome Ankitza. Quest'ultima, triste perché l'amante non si decide a lasciare la moglie, si lascia scappare, in una discussione con altri membri del partito, un commento sarcastico che l'uomo ha fatto su un articolo di un giornale di regime. Per la famiglia di Malik inizia un piccolo calvario dato che il padre, in quanto presunto oppositore del sistema, viene condotto ai lavori forzati. A informare l'uomo ci penserà Zijo, cognato dell'uomo e dirigente fedele del partito. Sena, per non far soffrire i figli, dice loro che il padre è partito per affari Passano alcuni anni e la situazione cambia. Mesa non è più costretto ai lavori forzati, ma a trascorrere in una cittadina jugoslava un periodo di attività politica a favore del partito. Qui lo raggiunge la famiglia e qui Malik si innamora, per la prima volta, di una ragazza, la figlia del dottore, peraltro malata gravemente. Dopo qualche tempo la situazione migliora ulteriormente - anche grazie alla bravura di Malik che, nel corso di una festa del partito, fa un bel discorso davanti ai dirigenti politici - Mesa può finalmente ritornare a Sarajevo.
Durante un matrimonio famigliare, l'uomo cerca di riappacificare Sena con il fratello Zijo. E mentre tutti ascoltano alla radio la partita di calcio tra Jugoslavia e URSS, Mesa si apparta con Ankitza, nel frattempo diventata moglie di Zijo, e ha con lei un violento amplesso, a metà tra la vendetta per essere stato tradito, il desiderio sessuale represso, la voglia di far tornare tutto come un tempo. Ma questa volta, Malik scopre per caso il rapporto sessuale tra la donna e il padre. Per il bambino si tratterà della perdita del suo sguardo innocente. 

PRESENTAZIONE CRITICA

Opera seconda di Emir Kusturica, vincitrice della palma d'oro al festival di Cannes del 1985, Papà... è in viaggio d'affari sembra essere la continuazione di un discorso interrottosi nel primo film del regista di Sarajevo intitolato Ti ricordi di Dolly Bell?. Sebbene ambientato qualche anno prima, Papà...è in viaggio d'affari riprende una serie di elementi già centrali nell'opera precedente, riadattandoli al diverso contesto sociale rappresentato: lo sguardo di un bambino (nell'altro film era quello di un adolescente) per descrivere la situazione sociale di un Paese, la descrizione di una famiglia di stampo patriarcale, la scoperta dell'amore, la presenza fondamentale della radio (in un caso le partite di calcio, nell'altro la musica rock), la pesante invadenza della politica e del partito nella quotidianità delle persone. Le tesi dei due film appaiono inoltre affini se non complementari: se attraverso l'adolescente Dino si raccontava l'adolescenza di una nazione durante gli anni Sessanta, le illusioni, le scoperte, le 'prime volte' di un paese, qui sembra di assistere, grazie allo sguardo di Malik, all'infanzia dello stesso Stato, nato da pochi anni, che muove incerto i suoi primi passi (l'indipendenza di Tito da Mosca e l'autonomia rispetto sia all'asse sovietico che a quello americano) e che si scopre ancora terribilmente bambino: nei motivi futili (come la ripicca di un'amante gelosa) per i quali esilia e costringe ai lavori forzati ipotetici oppositori di regime, nei comportamenti di chi dovrebbe rappresentare il potere patriarcale (Mesa è un donnaiolo bugiardo), nelle azioni ancora troppo ottuse di chi gestisce la cosa pubblica (il cognato di Mesa che arresta l'uomo il giorno della circoncisione dei figli, ma anche il dirigente del partito che si lamenta perché Malik nel suo discorso ha preposto, per sbaglio, il partito a Tito). Malik dunque è la proiezione di un popolo ancora ingenuo e sprovveduto e perciò facile agli sbagli, ma anche un popolo che, proprio come un bambino, è guardato con occhi di benevolenza e comprensione dal suo narratore. Kusturica protegge e commisera il popolo slavo attraverso un funzionale e consapevole distacco della colonna sonora da quella video. I commenti in fuori campo di Malik, che dovrebbero facilitare la comprensione degli eventi, si discostano spesso da ciò che accade sullo schermo. In altre parole, il narratore ipotetico del film, Malik, dimostra di non capire, di non vedere, di non saper decifrare quello che gli succede intorno. Molto più importante è vedere come si comporta il narratore reale, ovvero Kusturica, dove decide di piazzare la macchina da presa. Si scopre così che molte situazioni cui assistiamo sono, di fatto, sconosciute al bambino e che il sostanziale avvicinamento dei due sguardi (quello di Kusturica e quello di Malik) nell'epilogo della pellicola è il risultato di un percorso di maturazione e perdita dell'innocenza da parte di Malik e, per traslazione, del popolo jugoslavo: Malik si accorge dell'amplesso tra la cognata e il padre ed in quel momento la sua infanzia (intesa come spensieratezza, capacità di vivere serenamente) termina per dar vita ad una probabile adolescenza problematica. A segnalare il passaggio e la nuova consapevolezza del bambino giunge l'ultimo e onirico sguardo in macchina del protagonista: nella sequenza finale del film si vede Malik, spalle alla cinepresa, salire in cielo e poi voltarsi e strizzare l'occhio allo spettatore. Il suo sembra essere il viaggio del sonnambulo (Malik soffre di sonnambulismo e più volte ne abbiamo seguito le passeggiate notturne), a metà tra la veglia e il sonno/sogno, l'incosciente onirismo di chi fugge dalla realtà, fuga per altro destinata al fallimento, visto che come un sogno è destinata prima o poi a terminare
Quest'ultimo movimento di macchina preannuncia anche il tentativo stilistico del regista di distaccarsi dal reale, di superare la crudeltà della Storia in un innalzamento dello sguardo, in un volo pindarico della mente e del corpo che è poi una qualità del popolo slavo che Kusturica ama sottolineare in tutti i suoi film. La musica, le scappatelle, i pestaggi tra donne per salvaguardare le proprie famiglie (come non esiterà a fare Sena nei confronti di Ankitza), il desiderio di realizzarsi attraverso le imprese altrui - questo è, infatti, il ruolo dei calciatori jugoslavi che, battendo la nazionale dell'URSS, permettono ad un intero popolo di affrancarsi e vendicarsi del gigante russo - non sono altro che il corollario dell'evasione, della fuga, della possibilità di vivere anche dove non ci sono le condizioni per vivere, di morire anche senza la certezza di esserlo. Il funerale di un oppositore amico di Mesa - che avviene senza che si abbia la certezza che l'uomo sia effettivamente morto e quindi con una bara vuota - lo conferma: l'assenza del corpo non è in fondo una sorta di riscatto postumo, di immortalità dell'uomo, di evasione dalla drammatica quotidianità della Storia?

Marco Dalla Gassa