di Steven Spielberg
(Usa, 1982)
SINOSSI
Un’astronave extraterrestre in esplorazione sulla Terra è costretta a ripartire precipitosamente abbandonando uno dei suoi occupanti nei pressi di una cittadina americana. Il piccolo alieno rimasto a terra, dopo molte peripezie, trova in Elliott, un bambino di una decina d’anni, il primo contatto con gli umani. Questi, deciso a non rivelare agli adulti la presenza di ET – così ha ribattezzato la creatura – rivela il suo segreto soltanto al fratello Michael e a Gertie, la sua sorellina. Messa a punto una rudimentale apparecchiatura radio, ET ed Elliott tentano di richiamare l’astronave sulla Terra. L’atmosfera terrestre, tuttavia, si è rivelata nociva per l’alieno che, ammalandosi, mette in pericolo di vita anche Elliott, cui è legato da una sorta di simbiosi telepatica. Ai bambini non resta che rivelare agli adulti la presenza di ET: un’equipe scientifica interviene per salvare la vita a entrambi, ma invano. L’extraterrestre, infatti, decide di interrompere il legame telepatico per salvare il suo piccolo amico rinunciando, così, alla propria vita. Grazie all’amore di Elliott, tuttavia, la creatura torna, miracolosamente, a vivere: gli amici del ragazzino, dopo un lungo inseguimento da parte della polizia, riusciranno a condurre ET all’appuntamento con l’astronave che lo ricondurrà a casa.
Analisi
Diversamente da quanto se ne disse all’epoca della sua uscita, e di quanto si continui a credere ancor oggi, E.T. l’extraterrestre non è la classica superproduzione hollywoodiana a base di effetti speciali: costato relativamente poco (undici milioni di dollari) per essere un film che mette in scena astronavi e creature aliene, E.T. è più una fiaba, che stimola lo spettatore a completare con la propria immaginazione la storia narrata, che una macchina produttrice di visioni fantascientifiche tanto abbacinanti quanto sterili. Fin dalle prime inquadrature emergono una serie di elementi che, spontaneamente, portano ad ascrivere il film al genere fiabesco: l’astronave marziana che atterra nel bosco ha più la forma di una gigantesca trottola, le buffe sembianze di un’enorme zucca (un oggetto che rifarà la sua comparsa poco dopo durante la festa di Halloween) che quelle di un vero e proprio disco volante; il bosco all’interno del quale ET si smarrisce, animato dalle presenze amichevoli dei suoi piccoli abitanti, e che subito si popola di figure minacciose – gli uomini armati di torce elettriche – è un ulteriore tassello che va a comporre l’universo mitopoietico caratteristico delle fiabe; l’apparecchiatura radio tramite cui Elliott e il suo amico alieno tentano di stabilire un contatto con l’astronave è il risultato dell’assemblaggio dei materiali più eterogenei – tra cui anche dei giocattoli – un oggetto prodotto direttamente dalla fantasia infantile, decisamente estraneo al mondo della razionalità adulta. Elliott stesso è il classico eroe delle fiabe dato che, nella prima sequenza, ci viene presentato come emarginato e deriso dal gruppo di amici che lo circondano, escluso dal gioco perché troppo piccolo. Che siano i bambini i veri protagonisti del film è confermato dal fatto che fin quasi al termine della vicenda gli adulti rimangono, così come appaiono nella sequenza di apertura, delle presenze oscure e minacciose: mai ripresi in volto, sono dei puri e semplici indici di un mondo sostanzialmente estraneo a quello della storia narrata. ET, paradossalmente considerato l’eroe del film, è, in effetti, il classico aiutante dell’eroe delle fiabe: definito più volte come un folletto, un elfo, uno gnomo, è un puro e semplice prodotto della fantasia del bambino, provvisto di tutti i poteri tipici delle creature magiche (può far levitare oggetti, è dotato di un dito che, illuminandosi, riesce a rimarginare le ferite, eccetera). Una frase per tutte, poi, riesce a chiarire esemplarmente questo rapporto privilegiato esistente tra mondo alieno e universo infantile: “I grandi non possono vederlo, solo noi ragazzi” dice Elliott a suo fratello, alludendo certamente alla necessità di tenere nascosto agli occhi degli adulti l’alieno, ma anche a una possibilità esclusiva del mondo infantile, animato dalla fantasia e dai sentimenti, di entrare in contatto con il diverso. Che sia il mondo dell’infanzia l’unico adeguato ad accogliere degnamente l’essere venuto dallo spazio, ci è confermato dalla sequenza della prima uscita di ET all’esterno della casa di Elliott: è Halloween e, da sotto il lenzuolo che lo nasconde allo sguardo degli estranei, il piccolo extraterrestre osserva estasiato la fauna variopinta che lo circonda, arrivando addirittura a scambiare per un proprio simile un bambino travestito da Jedi, uno dei personaggi della saga Guerre stellari, creata da George Lucas. ET, dunque, non è solo un personaggio “di” fantasia – nel senso che è stato creato dalla fantasia di Spielberg così come qualunque altro personaggio cinematografico o di invenzione – ma è un personaggio “della” fantasia, nel senso che può abitare solo nell’immaginario di chi sia disposto ad accogliere il senso più profondo della sua venuta. Esemplare, a tal proposito, è la sequenza della morte di ET e della sua successiva risurrezione – con una serie di corrispondenze con la simbologia cristiana davvero impressionanti – durante la quale l’imponente apparato tecnologico nulla può contro la malattia che l’ha colpito: solo l’amore di Elliott, dal quale ET ha deciso di separarsi annullando il legame telepatico che li univa, riesce a riportarlo in vita. Con ET, dunque, Steven Spielberg firma la sua opera forse più personale e intima e non ci è difficile leggere come una vera e propria dichiarazione di poetica quella battuta – una delle pochissime concesse ad un adulto nel corso del film – dello scienziato che, di fronte ad ET, afferma di aver sognato quel momento fin da quando aveva dieci anni. Fabrizio Colamartino