di Emir Kusturica
(Jugoslavia, 1989)
Sinossi
Il giovane Penhan abita con la nonna, la piccola sorella Daza e lo strampalato zio in un accampamento Rom in Jugoslavia. Dopo aver accompagnato la sorella a Lubiana per un intervento chirurgico ad una gamba malformata, Penhan è costretto a seguire Ahmed, il boss dell’accampamento, in Italia. Qui, dopo un’iniziale resistenza, inizierà a commerciare in bambini e a costringerne altri all’accattonaggio e alla prostituzione, fino a soppiantare nelle funzioni di capo lo stesso Ahmed, rimasto nel frattempo vittima di un colpo apoplettico che lo ha ridotto alla paralisi. Dopo aver ucciso Ahmed, Penhan verrà ucciso a sua volta dalla moglie di questo per vendetta.
Analisi
Emir Kusturica, con il suo solito gusto iperbolico della narrazione, ne Il tempo dei gitani racconta di un percorso di formazione particolare che conduce alla perdita dell’innocenza il giovane Penhan, figlio naturale di una zingara cresciuto con affetto dalla corpulenta nonna. Il racconto cinematografico (esiste, infatti, una versione televisiva di oltre cinque ore) si divide idealmente in due parti nettamente distinte: la prima è quella relativa alla formazione adolescenziale, con la vita nell’accampamento Rom a contatto con la singolare famiglia, in una dimensione perennemente sospesa tra sogno e realtà, nella quale anche l’iniziazione amorosa assume le caratteristiche della fiaba gitana percepita in un contesto onirico e visionario; la seconda è quella del distacco dal proprio ambiente familiare con l’inganno di una possibile guarigione per la piccola Daza, nata con una malformazione alla gamba che Ahmed, il capo carismatico del villaggio, promette di risolvere grazie all’intervento chirurgico di un celebre ortopedico di Lubiana. Il distacco dalla famiglia e il conseguente trasferimento in Italia sanciscono per Penhan una discesa irrevocabile negli abissi dell’abiezione e della corruzione al seguito di un’autentica corte dei miracoli capeggiata da Ahmed senza alcuno scrupolo: all’atmosfera sognante della prima parte subentra un clima opprimente punteggiato da azioni riprovevoli condotte nei confronti dei minori (vendita di bambini ancora in fasce, coercizione all’accattonaggio, stupri condotti con l’intento di educare al mestiere giovani prostitute), alla spensieratezza caratteristica del villaggio Rom si sostituisce la cappa opprimente di un’innocenza non più recuperabile. Penhan, infatti, investito direttamente da Ahmed, non più in grado di gestire la situazione dopo l’infarto occorsogli, comincia a comportarsi da vero e proprio boss senza scrupoli, al punto che penserà di vendere il figlio che la sposa gli ha dato perché sospetta che non sia frutto del suo seme. Una progressiva e irreversibile discesa verso l’annullamento di se stessi, una formazione al contrario di un adolescente che aveva soltanto un’aspirazione, la guarigione della sorella, ma che in virtù di un inganno (la sorella, in realtà, è stata trasferita a Roma per chiedere l’elemosina sfruttando la pena che la sua gamba menomata provoca) ha gettato la sua intera vita.