Nato nel 1940 in un quartiere popolare di Napoli, Antonio Capuano compie le sue prime esperienze nel mondo dello spettacolo lavorando in teatro e in televisione come scenografo. Regista, autore di testi, attore, appassionato di pittura e grande conoscitore dell'arte moderna e contemporanea, vive e lavora nella sua città dove insegna scenografia presso l'Accademia di Belle Arti. Dal punto di vista cinematografico il percorso di Capuano si inserisce all'interno di quel "movimento" composto da una serie di individualità autonome (De Lillo e Magliulo, Mario Martone, Pappi Corsicato) ma tutte legate alla realtà partenopea che, con una serie di film innovativi, all'inizio degli anni Novanta sembrano suggerire una rinascita del cinema italiano, anche e soprattutto dal punto di vista dello stile. Tra i film d'esordio della cosiddetta "scuola napoletana", Vito e gli altri è certamente quello più crudo e incisivo: presentato al festival di Venezia del 1991 vince la Settimana della critica ma è penalizzato da una pessima distribuzione. Fin dal suo esordio il regista si impone come autore di un cinema scomodo, che analizza la società calandosi all'interno delle realtà più degradate attraverso lo sguardo di bambini e adolescenti ma che, allo stesso tempo, rifugge gli stereotipi del film di denuncia preferendo affidare a scelte linguistiche forti e a uno stile provocatorio il senso del suo discorso. I luoghi di una Napoli semisconosciuta e i corpi adolescenziali dei giovani protagonisti diventano, così, i testimoni di una condizione di degrado vissuta con amara consapevolezza: una poetica, questa, nella quale è impossibile non riconoscere una lucida rielaborazione delle concezioni cinematografiche di Pier Paolo Pasolini. Pianese Nunzio, 14 anni a maggio (1996), probabilmente il suo film più noto, è un piccolo scandalo: ancora ambientato a Napoli, in un quartiere a forte presenza camorristica, si ispira ad un fatto di cronaca e narra la passione del prete della locale parrocchia per uno dei ragazzini che la frequentano. Attraverso il film il regista dichiara tutto il suo affetto per Napoli soprattutto in quanto luogo ricco di ambigue suggestioni e, per mezzo di una scrittura filmica dalle tonalità barocche, sembra voler scavare negli animi tormentati dei suoi protagonisti oltre che nei meandri più nascosti della città. Il suo interesse per Napoli e per i bambin si accosta a quello per la grande tradizione cinematografica italiana ed emerge in Polvere di Napoli (1998), film a episodi ispirato, tra l'altro, a L'oro di Napoli di Vittorio De Sica. Non si tratta, tuttavia, di un'operazione nostalgica, bensì di una sorta di "verifica" della città e dei suoi stereotipi attraverso una galleria di situazioni paradossali e personaggi grotteschi che dimostrano, malgrado tutto, quanta vitalità animi ancora la capitale partenopea. Sperimentatore di generi e formati, nonché esperto di teatro, presenta in concorso al festival di Venezia del 2001 Luna rossa, una rielaborazione in "chiave camorristica" del mito tragico di Oreste: girato interamente in digitale, il film propone una parabola sul potere straniata ed eccessiva che fonde con disinvoltura suggestioni alte (la tragedia) e basse (la soap-opera, la sceneggiata). Con La guerra di Mario (2005), incentrato sul tema dell'affido temporaneo e quindi ancora sulla figura di un bambino, Capuano sembra aver abbracciato, infine, il cinema di impegno civile, senza tuttavia rinunciare alla propria visione inquieta e personalissima, distante da quel "cinema medio" cui non ha mai sentito di appartenere. Capuano è stato, tra l'altro, autore di uno degli spot di L'unico paese al mondo, film militante realizzato nel 1994 per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla situazione dell'informazione radiotelevisiva in Italia, e dell'episodio Sofialorén per il film collettivo I vesuviani (1997). Nel 2005 il Museum of Modern Art di New York gli ha dedicato una retrospettiva.