regia di Claudio Giovannesi
(Italia, 2009)
Sinossi
L’Istituto Tecnico Toscanelli di Ostia ospita una forte percentuale di allievi figli di famiglie immigrate che, giunte sul litorale romano in cerca di lavoro, vi si sono stabilite dando vita a piccole comunità in base alla provenienza etnica. Famiglie e comunità che, in qualche modo, si sono integrate nel tessuto sociale della cittadina, sorta di periferia estrema della Capitale, dando vita a piccole enclave culturalmente autonome rispetto al contesto. Il documentario racconta le storie di tre studenti di origine straniera e dei loro problemi di integrazione seguendoli nella loro quotidianità, simile a (eppure così diversa da) quella dei loro coetanei italiani. Alin, diciassettenne romeno giunto da quattro anni nel nostro Paese con la famiglia, vive con fastidio l’integrazione con i compagni di scuola e preferisce frequentare il gruppo di amici romeni, con i quali condivide le serate in discoteca e la passione per i motori; Nader, nato in Italia da genitori egiziani, vuole invece integrarsi a tutti i costi e fatica a far accettare alla madre il suo legame con una ragazza italiana; Masha, nata in Bielorussia e adottata da una famiglia italiana, ha ritrovato dopo molti anni suo fratello e vorrebbe andare a trovarlo nel suo Paese d’origine ma adesso teme questo incontro che potrebbe nuovamente cambiare la sua vita.
Presentazione critica - Il ruolo del minore e la sua rappresentazione
Come molti documentari contemporanei anche Fratelli d’Italia nasce dall’osservazione ravvicinata di una realtà particolare attraverso una prospettiva partecipante e partecipata che prova a mettere sullo stesso piano regista e protagonisti in un rapporto di mutua collaborazione. Il microcosmo dal quale il film prende le mosse è l’ITCS Toscanelli di Ostia, la cui popolazione studentesca è, come accade sempre più spesso anche in Italia, composta da ragazzi di nazionalità ed etnie diversissime. In questo contesto non degradato ma comunque difficile e marginale, ha operato per diversi anni l’Associazione Il Labirinto con una serie di laboratori di cinema guidati, tra gli altri, da Claudio Giovannesi. L’esperimento è cresciuto con il tempo dando vita dapprima a un cortometraggio documentario dal titolo Welcome Bucarest che aveva per protagonista il solo Alin e che è andato poi a comporre il primo dei tre episodi attraverso i quali si articola Fratelli d’Italia, frutto di un lavoro continuo di ampliamento e rielaborazione delle esperienze dei ragazzi davanti e dietro la telecamera. Un lavoro che è continuato anche oltre Fratelli d’Italia con la produzione del lungometraggio a soggetto (ma sempre radicato in profondità nel tessuto antropologico del litorale romano e con protagonisti alcuni degli studenti dell’Istituto Toscanelli), Alì ha gli occhi azzurri, che continua a raccontare quelle storie – in particolare quella di Nader – abbozzate nel documentario inserendole in un format narrativo a metà tra il racconto di formazione e lo spaccato sociale.
Le tre situazioni mostrate nel corso del documentario sono emblematiche di una condizione ambivalente e contraddittoria vissuta da tanti adolescenti di origine straniera che vivono in Italia: a un desiderio di integrazione spesso impellente si alterna il bisogno di rivendicare la propria appartenenza etnica, in una ricerca identitaria di per sé complessa, resa ancora più difficile dalla condizione di estraneità vissuta dai ragazzi. Fratelli d’Italia analizza due casi estremi e opposti. Da un lato Alin che, spinto dal desiderio di emancipazione, vede nei tempi lunghi del percorso scolastico e nell’ingenuità dei compagni italiani degli ostacoli per la propria affermazione in quanto soggetto adulto, capace di decidere per sé, anche perché agevolato da una famiglia permissiva e benestante che vede nel desiderio di consumo e di divertimento del figlio un riflesso del proprio successo. Dall’altro Nader, anch’egli desideroso di emanciparsi, ma dalla famiglia, tradizionalista e di modesta estrazione, che lo vorrebbe legare alla fede musulmana e alle usanze del proprio paese d’origine, impedendogli così di frequentare le ragazze italiane ritenute per la cultura nordafricana eccessivamente disinibite. Tra queste due opzioni estreme Giovannesi inserisce la vicenda di Masha, apparentemente distante dalle prime due, in realtà destinata a conferire ulteriore profondità al significato del documentario: la giovane, adottata da una famiglia italiana, e pertanto cittadina del nostro Paese a tutti gli effetti, si ritrova a fare i conti con il proprio passato, incarnato da un fratello che l’ha rintracciata dalla Bielorussia dove era rimasto in orfanotrofio non essendo stato adottato. Paradossalmente nel caso di Masha, italiana a tutti gli effetti, il conflitto tra le proprie radici e l’ambiente nel quale la ragazza è cresciuta è ancora più stridente ma è, allo stesso tempo, vissuto meno alla luce del sole di quanto non sia per i due protagonisti maschi. Se nel caso di questi ultimi due la ribellione si nutre di motivazioni sociali ed emerge come contrapposizione radicale alle istituzioni (scuola e famiglia), in quello di Masha siamo di fronte a un dissidio interiore che mette in dubbio le certezze della ragazza, integrata a tutti gli effetti nel tessuto familiare e sociale.
Riferimenti ad altre pellicole
Sono almeno due le direzioni al cui interno è possibile cercare riferimenti a pellicole analoghe a Fratelli d’Italia. Da un lato si può accostare il documentario a esperimenti simili per quel che riguarda il contesto didattico al cui interno si è sviluppato il progetto: il parallelo più evidente è con il film di Laurent Cantet La classe, vincitore dell’edizione del 2008 del Festival di Cannes. Anche in questo caso, sebbene con esiti molto diversi, il punto di partenza del film è un laboratorio didattico sul cinema tenuto dal regista francese in alcuni licei della banlieue parigina: anche Cantet sceglie di spingersi oltre i limiti della didattica del cinema, solitamente strutturata sulla visione del film e l’analisi del linguaggio cinematografico, per coinvolgere i ragazzi nella realizzazione di una docu-fiction basata sul libro-diario dell’insegnante François Bégaudeau, a sua volta “reclutato” per interpretare l’insegnante protagonista della storia. Il parallelo tra i due film trova una sua ragion d’essere anche in altri motivi: se nel film francese la scuola è uno degli avamposti nei quali si tenta l’integrazione basata sulla formazione dell’individuo-cittadino di fronte allo Stato (con conseguenze a volte imprevedibili) in Fratelli d’Italia la carenza delle strutture, la mancanza di materiali e di personale adeguatamente preparato e supportato da assistenti sociali, psicologi e mediatori culturali, mette in luce la profonda impreparazione della scuola italiana tanto nell’affrontare i singoli casi quanto nel mettere a punto strategie complessive volte all’integrazione. È all’interno del recinto del video partecipativo, dunque, che bisogna cercare le coordinate in base alle quali si può misurare l’efficacia di questa esperienza, ma il rischio che corre Fratelli d’Italia è quello di restare nel campo della semplice testimonianza, senza porre sotto i riflettori tutti gli elementi di criticità della situazione documentata. Il pur ammirevole desiderio di registrare la realtà nel suo farsi, lo spazio da protagonisti assoluti dato ai ragazzi coinvolti, l’opzione dell’invisibilità della macchina da presa, funzionali sul piano del coinvolgimento dello spettatore, ma lasciano un vuoto sulle responsabilità, soprattutto istituzionali, verso una realtà scolastica decisamente carente. Dalle vicende di Alin e Nader, e dal modo in cui ci vengono raccontate, affiora come, nel deserto culturale della periferia romana, non ci sia alternativa all’adesione supina al consumismo, al divertimento, al conformismo o alla ribellione fine a se stessa.
La seconda direzione della ricerca è quella tematica dell’integrazione degli stranieri nelle scuole italiane. Rimandiamo per un approfondimento in questa direzione all’articolo sull’integrazione scolastica e la produzione documentaristica in Italia pubblicato sul numero 1/2010 della Rassegna bibliografica infanzia e adolescenza. Qui ci limitiamo a suggerire alcuni titoli sulla scuola superiore evidenziando come la produzione di documentari su questo tema si concentri soprattutto sulle scuole materne ed elementari dove la presenza di alunni stranieri tocca spesso livelli altissimi e immotivato allarme sociale e, appunto, le superiori dove gli alunni stranieri a volte arrivano con un bagaglio culturale e identitario già formato. Per questo può essere proficuo affiancare alla visione di Fratelli d’Italia (anche per compensare le domande che, come detto, questo documentario lascia inesauste) il documentario di Camilla Ruggiero Sei del mondo, di fattura più classica, basato sulle interviste agli studenti stranieri di una scuola superiore romana, volto a offrire, pur senza ignorare le contraddizioni, il volto più positivo e riuscito dell’integrazione scolastica. Sul piano della fiction oltre al già ampiamente citato La classe di Cantet è utile ricordare La schivata di Abdel Kechiche che descrive sapientemente e con leggerezza i rapporti di amicizia e sentimentali tra adolescenti di diverse etnie che abitano la banlieue parigina sullo sfondo di una recita scolastica, nonché Good Morning Aman di Claudio Noce, che fa proprio lo sguardo di un giovane immigrato somalo di seconda generazione alle prese con le scelte dell’adolescenza gravate da i problemi dell’integrazione e dal senso di inferiorità che grava inevitabilmente su chi parte non solo da condizioni sociali svantaggiate ma anche da un colore della pelle diverso.
Giova, infine, segnalare, per completare un quadro di rimandi al tema dell’immigrazione e al formato documentario come strumento di scoperta della realtà, Il mondo addosso di Costanza Quatriglio che, come Giovannesi, segue le vicende di quattro giovani immigrati in Italia. I ragazzi de Il mondo addosso, tuttavia, appartengono alla categoria giuridica dei minori stranieri non accompagnati, tutelati dalla legge /attraverso l’automatico diritto d’asilo che scatta nei confronti di qualsiasi minore giunga nel nostro Paese) fino al compimento della maggiore età quando divengono clandestini, come qualunque altro migrante. Nel loro caso la via per l’integrazione e l’emancipazione passa attraverso le lunghe trafile burocratiche necessarie per il diritto all’accoglienza, l’apprendimento della lingua, la ricerca di un lavoro stabile.
Spunti didattici
Fratelli d’Italiapuò offrire l’occasione per riflettere non solo sul tema dell’immigrazione e dell’integrazione degli studenti stranieri nella scuola (per il quale si rimanda ai titoli citati pocanzi) ma anche sul tema della scuola in Italia e, su un piano più formale, sul cinema come strumento di partecipazione sociale. Queste ultime due questioni possono essere affrontate attraverso una serie di titoli che allo stesso tempo mostrano il lato più autentico della scuola italiana (grande carenza di mezzi, disorganizzazione imperante ma anche un’idea della scuola come sede di una formazione più libera che altrove e un grande valore delle risorse umane in campo): si va dalla docufiction Diario di un maestro di Vittorio De Seta (Italia, 1972) ispirato al diario del maestro Albino Bernardini Un anno a Pietralata, cronaca della sua esperienza in una scuola della periferia romana, all’impietoso A scuola di Leonardo Di Costanzo (Italia, 2003) che fotografa il degrado sociale in cui vivono gli studenti di una scuola media dell’hinterland napoletano, a Scuolamedia di Marco Santarelli (Italia, 2010) che mette in evidenza la positiva esperienza di un istituto del tarantino nel quale alla didattica, docenti e genitori, hanno affiancato un progetto sociale volto a confrontarsi con il difficile territorio e con i problemi di chi lo abita.
Link di approfondimento
- Trailer >>>
- Videointervista al regista Claudio Giovannesi>>>
- Percorso di visione sugli alunni stranieri nelle scuole italiane pubblicato su Rassegna bibliografica infanzia e adolescenza >>>
- Filmografia sulla scuola pubblicata su www.minori.gov.it >>>