“Maestri” del cinema. La figura dell’insegnante nel film e nel documentario

Risale solo ad alcuni anni fa il film di Laurent Cantet La classe, vincitore della Palma d’oro a Cannes nel 2008, nel quale emergevano una serie di questioni fondamentali per orientarsi nell’universo scolastico contemporaneo quali i problemi dell’integrazione, la divergenza dei linguaggi (tra generazioni diverse ma non solo), il rapporto tra autorevolezza e autorità. Un film che costituisce una sorta di punto di svolta dello sguardo cinematografico sulla scuola così come lo fu alcuni anni prima, nel 2002 per l’esattezza, Essere e avere di Nicholas Philibert che suggeriva, attraverso la sua stessa forma, un approccio “ecologico” alla scuola e ai suoi protagonisti. Dal 2008 ad oggi ovviamente non sono mancati i film sulla scuola, ma ciò che è interessante notare è come, forse anche sotto la spinta del successo del film di Cantet, siano decisamente più numerose quelle pellicole che centrano la loro attenzione sulle figure degli insegnanti e che, soprattutto, le ritraggono in maniera molto diversa che in passato.

Molti degli insegnanti apparsi all’interno di alcuni film, infatti, sono divenuti personaggi memorabili: può essere divertente oltre che utile suddividerli in tipologie a seconda del filtro più o meno deformante scelto dai diversi autori, nonché dei filtri culturali imposti dal contesto storico in cui i film sono stati prodotti.

La storia del cinema (ma non solo, si pensi per il nostro paese a un romanzo come Cuore di De Amicis, oggetto di numerose trasposizioni per il grande e piccolo schermo) è ricca di maestri o professori bislacchi, bizzarri, spietati con gli alunni e a volte vittime dei loro tremendi scherzi: si pensi alla bassa statura del direttore del collegio di Zero in condotta, capolavoro del 1933 di Jean Vigo, film che costituisce un vero e proprio prototipo rimasto pressoché ineguagliato. Figure caricaturali come quelle dei professori del liceo frequentato durante il Ventennio fascista da Titta, il giovane protagonista di Amarcord di Federico Fellini, una vera e propria galleria di personaggi deformi, eccessivamente severi o troppo timidi, maschere di un’altra epoca che il regista creò attingendo alla sua esperienza di vignettista satirico. In un’ottica decisamente più ideologica, anche se ancora legata ai ricordi dell’adolescenza dei rispettivi autori, proprio come nel caso del maestro riminese, sono Nel nome del padre di Marco Bellocchio, altro ritratto impietoso della scuola e degli insegnanti, questa volta nell’Italia degli anni Cinquanta, ma girato negli anni Settanta, pensando alla disgregazione dei valori tradizionali e della morale borghese. Stessa ispirazione per il quasi coevo Se… di Lindsay Anderson nel quale la critica al sistema dei college inglesi trova le sue icone negative, ma irrimediabilmente ridicole, nel corpo docente. Non è da meno il maestro che vessa di punizioni e umiliazioni Antoine Doinel, protagonista di I quattrocento colpi, capolavoro di François Truffaut ambientato alla fine degli anni Cinquanta, che diviene il simbolo di una cultura autoritaria e perbenista ancorata a valori che non trovavano più corrispondenza nella realtà sociale del tempo. Degli stessi anni è Il maestro di Vigevano, girato da Elio Petri nel 1963 dove Alberto Sordi dà vita a un personaggio di insegnante frustrato e vessato a scuola e in famiglia, specchio di un paese in pieno sviluppo economico ma con un sistema scolastico ancora inadeguato. Tralasciando la lunga (e ripetitiva) serie di commedie erotico/scollacciate degli anni Settanta (una teoria pressoché infinita di supplenti, ripetenti, liceali) che, per le figure degli insegnanti volgarizzano il prototipo felliniano, un’altra sfilata di professori, solo un po’ meno grotteschi ma probabilmente molto più volgari di quelli di Amarcord e Nel nome del padre, è quella che compare in La scuola di Daniele Luchetti, girato a metà degli anni Novanta (complice la penna dello scrittore-insegnante Domenico Starnone) in una fase di forte crisi della scuola italiana, con i professori alle prese con le croniche inefficienze, l’inutile burocrazia e l’insoddisfazione per la scarsa considerazione verso il loro lavoro. Per una galleria di figure di insegnanti d’altri tempi tratte dal cinema e messe a confronto con immagini di repertorio sulla scuola che spaziano dall’inizio del secolo scorso alle soglie degli anni 2000 è doveroso segnalare il documentario di montaggio di Italo Moscati Giamburrasca & C. – I primi giorni di scuola e anche i secondi.

Se la caricatura e il grottesco ben si adattano a marcare lo scarto con il passato ma soprattutto a denunciare l’inadeguatezza di sistemi scolastici in ritardo sui tempi, è sul pedale del realismo che il cinema deve spingere per proporre figure di insegnanti che riescano a ritagliarsi un ruolo da protagonisti rispetto alla mediocrità dei colleghi. Se il capostipite di questa lista di eroi solitari può essere considerato il Richard Dadier portato sullo schermo da Glenn Ford nel film di chiaro stampo progressista (siamo negli Stati Uniti al principio degli anni Cinquanta) Il seme della violenza di Richard Brooks, colui che oggi incarna tale ideale agli occhi del grande pubblico è probabilmente il professor Keating de L’attimo fuggente di Peter Weir, figura eccessiva e debordante interpretata dall’istrionico Robin Williams. Entrambi i film sono ambientati negli anni Cinquanta, anche se nella pellicola firmata da Brooks siamo in una scuola professionale di un degradato sobborgo newyorkese (il problema qui è convincere i giovani ribelli a rispettare le regole scolastiche) e in quella di Weir, girata nel 1989, siamo in un prestigioso college nel quale si tratta, al contrario, di spingere i ragazzi a pensare autonomamente e a trasgredire le regole. Mantenendo la cornice degli anni Cinquanta, nell’elenco dei professori “impegnati” si inscrive di diritto la giovane professoressa Watson di Mona Lisa Smile di Mike Newell che al tentativo di sottrarre le sue studentesse all’omologazione del pensiero aggiunge quello di farne delle femministe ante-litteram e quella, pur diversissima, della giovane maestra impegnata nell’alfabetizzazione dei più poveri nel Mezzogiorno italiano degli anni Cinquanta in Del perduto amore di Michele Placido. Una figura interessante, anche se più defilata nella trama del film, è l’insegnante del piccolo Billy protagonista di Kes, una delle prime pellicole di Ken Loach, che distinguendosi dagli altri docenti, proni verso un sistema scolastico opprimente e autoritario, decide di incoraggiare il ragazzino a coltivare la sua passione per i rapaci. Ancora in un’ottica nostalgica, spesso non scevra dai toni retorici che accompagnano molte storie edificanti, sono delineate le figure “provvidenziali” del maestro di musica protagonista di Les choristes – I ragazzi del coro di Christophe Barratier, ambientato in un correzionale della Francia postbellica, così come, in ambito anglosassone, il professore omosessuale di The History Boys di Nicholas Hytner e quello integerrimo de Il club degli imperatori di Michael Hoffman, ambientati rispettivamente all’interno di un college inglese e statunitense.

Con gli anni Settanta l’anacronismo di un insegnamento ancora basato su vecchi schemi, spesso autoritari e nozionistici (quelli che avevano dato l’occasione al cinema per alcune spietate caricature) lascia definitivamente spazio a un’idea nuova di scuola che, tuttavia, spesso fatica ad affermarsi. Esemplare sotto questo aspetto la docu-fiction Diario di un maestro (1972) del documentarista recentemente scomparso Vittorio De Seta, ispirato al romanzo autobiografico del maestro Albino Bernardini Un anno a Pietralata:ambientato nell’omonima borgata romana, il film narra attraverso uno stile e un metodo di lavoro semidocumentaristico le vicende di un giovane maestro che riesce a vincere abbandono scolastico e degrado grazie alla capacità di coinvolgere gli studenti attraverso una didattica antinozionistica, legata ai reali problemi delle famiglie dei ragazzi e del quartiere nel quale vivono. Sulla stessa scia, ma connotato dallo stile beffardo del regista Marco Ferreri e dall’umorismo crepuscolare dell’interprete Roberto Benigni, è Chiedo asilo (1979), storia di un maestro che utilizza metodi innovativi e antiaccademici. Gli anni in tasca di François Truffaut propone, nello scenario di un piccolo centro della provincia francese, figure di insegnanti che offrono ai propri alunni una didattica nuova anche se non rivoluzionaria, impostata sul dialogo e la comprensione, all’interno di un contesto corale e di una visione comunitaria sostanzialmente ottimista. Ambientato ancora nella provincia francese, ma questa volta in una zona economicamente depressa è Ricomincia da oggi di Bertrand Tavernier con un giovane e combattivo direttore di un asilo per protagonista che tenta di fare della propria scuola un punto di riferimento per la vita sociale della comunità. Scritto dal regista e da Dominique Sampiero, un vero maestro di scuola materna, al di là dei problemi concreti mostrati dalla vicenda, il film propone alcuni tra i temi più interessanti relativi al ruolo degli insegnanti nella scuola di oggi: il rapporto con le famiglie e con il territorio e, allo stesso tempo, con la burocrazia, con la rigidità dei programmi imposti dai ministeri spesso in contrasto con le necessità degli alunni.

 

È tuttavia soprattutto dalla domanda su quale sia il ruolo, la funzione dei docenti oggi al di là della semplice didattica che paiono animate alcune pellicole recenti decisamente molto diverse come il grottesco Election di Alexander Payne che vede un insegnante di educazione civica assistere impotente al naufragio del suo magistero sull’etica e sulla morale quando i suoi allievi decidono di cimentarsi nelle elezioni del rappresentanti degli studenti, oppure nel diversissimo, eppure attinente, L’onda di Dennis Gansel nel quale un giovane professore progressista si ritrova suo malgrado alla testa di un movimento reazionario formato dagli studenti impegnati in un esperimento di autocrazia da lui stesso organizzato per dimostrare la concretezza del pericolo di rigurgiti dittatoriali in Germania.

Gli insegnanti che si affacciano al grande schermo dagli anni Novanta in poi, dunque, sono figure dubbiose che si interrogano non tanto sulla funzione della scuola rispetto alla società quanto sul proprio ruolo in seno alla scuola: sono tutti abbastanza giovani (a differenza dei vecchi e grotteschi insegnanti con i quali abbiamo aperto questa rassegna), tutti sembrano domandarsi cosa fare del potere e della libertà loro concessa e se, in definitiva, questa libertà sia effettivamente tale. Anche in Italia il cinema sembra essersi accorto di questa nuova fase e ha portato sullo schermo insegnanti che, oltre ai problemi di un sistema scolastico poco efficiente come il nostro, devono spesso interrogarsi fino a che punto debba spingersi la loro funzione di supplenza nei confronti delle altre agenzie formative di cui dovrebbero disporre i ragazzi, famiglia in primis. È il caso di La scuola è finita di Valerio Jalongo, regista ma allo stesso tempo insegnante che ha riversato in questo film le proprie esperienze sul campo. Nella cornice di un contesto scolastico degradato, lo smarrimento degli insegnanti di fronte ad un ambiente sociale e familiare disgregato, è rappresentato attraverso le figure di due professori che si lasciano coinvolgere nel tentativo di recupero del classico “caso disperato” (uno studente con forti problemi familiari incapace di trovare prospettive valide), salvo farsene travolgere a causa della confusione tra il proprio ruolo di insegnanti e quello impossibile di amici, confidenti, genitori adottivi del ragazzo. Il medesimo canovaccio, anche se attraverso i toni di una commedia decisamente più brillante, è fatto proprio da Giuseppe Piccioni nel film  Il rosso e il blu (in uscita nelle sale proprio in questi giorni), con tre generazioni di insegnanti a confronto tra loro e con studenti che non riescono a trovare punti di riferimento stabili all’interno della famiglia. Anche in Genitori & figli - Agitare bene prima dell’uso di Giovanni Veronesi i ruoli appaiono confusi: il professore interpretato da Michele Placido, alle prese con i caprici di un figlio superficiale e prevaricante, decide di ricorrere all’aiuto dei propri studenti assegnando loro un compito in classe dal titolo "Genitori e figli: istruzioni per l'uso". Se nel film di Jalongo siamo di fronte a due insegnanti che decidono di supplire all’assenza dei genitori di un loro studente, di ricostruire una sorta di famiglia intorno al ragazzo, il professore della pellicola di Veronesi è un genitore poco competente che cerca in ambito scolastico la soluzione ai propri problemi familiari. Ancora più paradossale , ma ancora nel solco della commistione dei ruoli tra scuola e famiglia, insegnanti e genitori, è il caso di Scialla! di Francesco Bruni che vede un ex insegnante deluso dalla scuola dare ripetizioni private a uno studente che in seguito scopre essere suo figlio. Un doppio ruolo che, se nel caso di Scialla! è direttamente suggerito dall’intreccio della vicenda e dai legami esistenti tra i personaggi, in un film come Monsieur Lazhar del canadese Philippe Falardeau assume forme più problematiche e profonde: dove termina la didattica e dove incomincia il ruolo educativo di un docente; fino a che punto può spingersi un insegnante nel sondare i sentimenti della classe o degli alunni coinvolti in un evento drammatico; fino a che punto le vicende personali di un docente, il suo vissuto, possono costituire una base su cui instaurare il rapporto con i ragazzi?

Per quanto riguarda i film a soggetto, Monsieur Lazhar ci pare quello che meglio risponde a tali domande, anzi, che meglio riesce a porre tali domande a genitori, alunni e insegnanti che si vogliano interrogare sul tema. Tuttavia è ancora una volta dal mondo del documentario che arrivano una serie di stimoli a riflettere sulla funzione della scuola e sullo statuto dell’insegnante nella società contemporanea. Da documenti come A scuola, La casa dei bambini, Per chi suona la campanella, Signori Professori si affermano nuove figure di insegnanti capaci non solo di confrontarsi con i problemi logistici e burocratici che da sempre affliggono un sistema scolastico apparentemente al collasso – e tuttavia capace di offrire competenze e professionalità di buon livello – ma anche di accogliere gli stimoli del mondo esterno e convogliarli positivamente sulla classe, di andare oltre la semplice didattica e i programmi ministeriali per diventare promotori di attività legate alla realtà del territorio, di guardare al di là dell’orizzonte del presente per intuire le potenzialità di un futuro sempre più complesso ma anche sempre più stimolante. È interessante notare, a tal proposito, la sempre maggiore attenzione degli autori verso le biografie degli insegnanti: si pensi ai brani di Sotto il Celio azzurro di Edoardo Winspeare che attraverso le fotografie di famiglia ricostruiscono a ritroso il percorso di vita dei maestri, oppure ai ricordi dell’infanzia e della giovinezza del maestro protagonista di Essere e avere consegnati alla memoria della macchina da presa. Non più semplici figure istituzionali ma anche soggetti con un passato (e un presente) proprio che influisce sul rapporto con gli studenti e sull’attività didattica, gli insegnanti protagonisti di questi e altri documentari confermano una nuova attitudine alla riflessione su un ruolo non più basato sull’autorità, sull’autorevolezza o sulla semplice competenza ma anche sui vissuti personali, sulla propria storia non solo in quanto adulti ma anche come bambini e ragazzi.

Un’ultima notazione sul tema dell’intercultura, presente in documentari già segnalati nelle pagine di questo sito come Sei del mondo, Sotto il celio azzurro, Una scuola italiana, Le parole non mi conoscono, La classe dei gialli, La sospensione, esempio cruciale per comprendere come la funzione dell’insegnante oggi non possa ridursi a quella di semplice divulgatore di nozioni ma debba estendersi anche a quella di tramite tra culture e mondi diversi la cui convivenza è, più che una necessità, una formidabile occasione.

 

Fabrizio Colamartino