di Roman Polanski
(Gran Bretagna/Repubblica Ceca/Francia/Italia, 2005)
Sinossi
Inghilterra, prima metà dell’Ottocento. Oliver Twist è un orfano, ospite di uno squallido istituto diretto dal perfido mister Bumble fin da quando la madre, morta per le conseguenze del parto, lo ha messo al mondo. Compiuti i nove anni, Oliver è affidato dietro compenso dell’orfanotrofio alla famiglia Sowerberry, alla ricerca di un apprendista di bottega per l’impresa di pompe funebri che gestisce. I continui contrasti con Noah Claypole, un altro apprendista, le vessazioni e i violenti disaccordi, lo obbligano a fuggire verso Londra. Qui, appena arrivato, irretito dall’offerta di un posto dove dormire, entra a far parte della banda di ladruncoli organizzati da un uomo senza scrupoli dall’aspetto orripilante, l’oscuro Fagin. Oliver viene arrestato durante un colpo andato male ai danni di mister Brownlow, benché il ruolo del trovatello nel corso del furto fosse del tutto marginale. Vista la situazione, Oliver è dapprima scagionato, poi accolto da Brownlow nella sua dimora. Per la prima volta Oliver è trattato con affetto e rispetto. Qualche tempo dopo, tuttavia, Nancy e il violento Billy Sykes, appartenenti alla banda di Fagin, lo riacciuffano e lo riconducono dal capo mentre Oliver ha ricevuto un incarico di fiducia dal signor Brownlow, il quale rimane molto deluso a causa di quella che crede una fuga da parte del ragazzo. Sykes intende utilizzare Oliver per compiere una rapina a casa di Brownlow, ma la rapina fallisce. Oliver rimane ferito ad una spalla e condotto da Fagin, dopo aver rischiato di essere gettato in un fiume da Sykes. Temendo per la sorte di Oliver, Nancy avverte il signor Brownlow e per questo è uccisa da un rabbioso Sykes, sulle cui tracce si trova ormai la polizia. Sykes tenta un’ultima disperata fuga sui tetti usando Oliver come ostaggio, ma la sua fuga ha presto termine con un’accidentale impiccagione dovuta ad una disgraziata caduta. Assicurato anche Fagin alla prigione, Oliver può vivere finalmente la sua vita con il signor Brownlow.
PRESENTAZIONE CRITICA
INTRODUZIONE AL FILM
Lampi di un passato che ritorna
Charles Dickens è uno degli autori più trasposti al cinema. Che cosa può spingere un autore affermato come Roman Polanski a realizzare un’ennesima versione di uno dei capolavori dello scrittore inglese? Soltanto un’urgenza personale, una sorta di immedesimazione. Polanski, infatti, nelle vicissitudini e nelle traversie occorse al piccolo Oliver Twist rivede se stesso e la sua infanzia. Le caratteristiche abbinate solitamente al personaggio dickensiano si prestano a descrivere con estrema precisione l’infanzia vissuta dal regista polacco. Termini come solitudine, abbandono, maltrattamenti, povertà, senso di smarrimento delle radici e dell’identità si conformano allo stesso tempo per il giovincello creato dalla fervida penna di Dickens e per il passato del regista polacco. Oliver, infatti, con il suo pesante fardello di spensieratezza negata, di giovinezza vessata, sacrificata su un efferato altare in cui domina la pratica della sopraffazione del più prepotente nei confronti dell’indifeso (situazione drammatica resa figurativamente attraverso una Londra perennemente fangosa e illuminata da una fotografia cupa, mai luminosa, in cui predominano i toni opachi, ocra), è figura allegorica attraverso cui il regista rilegge se stesso, ammantando la sua infanzia di quell’aura fiabesca, di quell’inevitabile percorso di formazione attraverso cui rendere la sua stessa storia leggibile a più livelli, come se si trattasse di una sorta di confessione che risulti digeribile non solo al pubblico, ma anche ai suoi parenti più prossimi, ai suoi stessi figli. Un racconto che proprio per questo, e diversamente da quello del narratore inglese, non si esime da alcune apparenti contraddizioni rispetto allo svolgimento tradizionale e alle sue fedeli traduzioni in immagini, come quella messa in scena nel finale, quando Oliver apprende che l’orrido Fagin, che fino a poco tempo prima lo aveva costretto a rubare per le strade di Londra, è in carcere in attesa di essere giustiziato. Oliver, avvertendo l’esigenza di recarsi in un’ultima pietosa visita all’uomo, non si mostra particolarmente ostile nei suoi confronti, riconoscendo come, in fin dei conti, egli “sia stato buono con lui”: i rapporti tra oppresso e oppressore, sebbene definiti, non sono così moralmente antitetici, probabilmente perché di fronte al vuoto rappresentato dall’assenza di qualunque rapporto con l’adulto, anche il sopruso e la prepotenza possiedono la loro ragione d’essere.
IL RUOLO DEL MINORE E LA SUA RAPPRESENTAZIONE
La violenza come regola
Pur nella particolarità biografica cui si è accennato in precedenza (anzi, probabilmente proprio in virtù di questa), l’Oliver Twist di Polanski si confronta con tutta una serie di temi già fissati nell’opera di Dickens, percorsi quasi obbligati nella parabola del piccolo trovatello inglese. Il passaggio da un personaggio all’altro e, all’interno di questo passaggio, tra realtà differenti tra loro, inevitabilmente si concentra su una ricerca di equilibrio che può essere risolta definitivamente soltanto con un intervento super partes, laddove con questa locuzione dev’essere intesa una scelta di generoso amore, modalità che inevitabilmente stride con tutto il contesto illustrato di sopraffazione, violenza ed egoismo. Il primo tema fondamentale è la famiglia. Oliver è solo al mondo. Lo è sempre stato, fin dalla nascita, che ha portato con sé la morte della madre. Il primo nucleo con cui si confronta Oliver è il freddo orfanotrofio, da cui sarà trasferito (dopo aver palesato una lecita protesta circa la scarsità del vitto), dietro compenso, ad un altro nucleo, quello della famiglia Sowerberry, della premiata agenzia di pompe funebri. Questi, così come quello successivo, la masnada di borseggiatori capeggiata da Fagin, sono àmbiti in cui il trovatello, ancora ignaro di cosa significhi una vera ed amorevole famiglia, deve snaturare la sua indole per rapportarsi con un autentico percorso di crescita in cui affetto, generosità e amore sono cancellati e sostituiti da vocaboli mesti e dolorosi come violenza, umiliazione, prepotenza e indifferenza (nella migliore delle ipotesi) che trasportano il ragazzo in una dimensione di estrema solitudine, alla mercé di qualunque sopraffazione. La regola è l’abuso. Dovunque. Sia che si tratti della violenza istituzionale del signor Bumble, sia che abbia le fattezze grezze e prevaricatrici di Noah Claypole, oppure la destrezza mostrata a più riprese dai “Fagin’s Boys” o anche la perversità maligna di Bill Sykes. È la violenza la regola di comportamento e la chiave nei rapporti interpersonali. La gradevolezza è cancellata dall’universo di Oliver, il quale conduce un’esistenza particolare, come se la certezza di una segnata origine di orfano gli abbia fornito una specie di peccato originale dal quale non può più liberarsi (e questa è la tesi dell’amico del signor Brownlow, che non crede alla possibilità di redenzione per chi è stato troppo lontano dalle regole istituzionali e dall’educazione rappresentata da una vera famiglia). Il concetto di abuso, in Oliver Twist, tuttavia, non si sposa soltanto in situazioni lontane dalla legge: una delle particolarità del romanzo dickensiano e delle trasposizioni cinematografiche è quella di mostrare le varie forme di prevaricazione, immorali, becere o istituzionali che siano. Non c’è differenza tra Bill Sykes e il signor Bumble: entrambi sono facce della stessa medaglia di odio e pervicace scelleratezza condotta nei confronti dei più deboli. L’eccezione, in questa versione di Polanski è rappresentata da Fagin: egli, infatti, pur perseguendo un ideale di vita alieno da valori morali (con termine attuale si potrebbe definire un “corruttore di minorenni”), improntato al sopruso e al furto, ha il merito, agli occhi di Oliver, di essere tra i pochi (escludendo ovviamente il salvifico signor Brownlow) a non aver perseguitato Oliver, fornendogli addirittura l’illusione di una stabilità (sempre sui generis) altrimenti impossibile da ipotizzare. Non esiste una consolazione all’interno di un percorso irto di difficoltà e in cui risulta sconosciuto il concetto di pietà, solo gradi di triste consapevolezza pronti a diventare redenzione con la svolta definitiva imposta dal buon Brownlow. Giampiero Frasca