di Louis Malle
(Francia,1987)
Sinossi
Francia, 1941. Julien, dodici anni, di famiglia alto-borghese, viene iscritto ad un collegio gesuita fuori Parigi, perché la vita, nella capitale, è diventata troppo pericolosa per via della guerra. Le giornate degli alunni passano in maniera abbastanza serena, tra lezioni e intervalli, piccoli commerci clandestini e molte letture. Il conflitto bellico sembra lontano da loro, se non fosse per gli allarmi aerei e i consueti ritiri in un rifugio. Julien, nel frattempo, fa amicizia con Jean, un ragazzo taciturno ma molto intelligente. I due adolescenti imparano a condividere alcune passioni comuni, come le letture e la musica tanto da renderli quasi inseparabili. Non diventa difficile così, per Julien, accorgersi che il giovane compagno ha un’identità celata, in quanto ebreo, e che il priore del collegio lo protegge, insieme ad altri due ragazzini, dai raid della Gesptapo: Jean deve nascondersi quando i tedeschi perquisiscono il collegio, fingersi un altro per poter entrare nei bagni o nei ristoranti giacché ogni luogo pubblico è occluso agli ebrei. Proprio nel momento di massima amicizia tra i due (dopo un’avventura nel bosco e una notte passata a leggere “Le mile e una notte”), Joseph, un inserviente del collegio licenziato perché sorpreso mentre rubava, si vendica del priore spifferando alla Gestapo la presenza nel collegio dei tre ragazzini ebrei. Per Jean significa l’arresto, insieme al rettore e agli altri due ragazzini semiti. Julien non può che assistere impotente alla separazione dall’amico, con la consapevolezza che da quel giorno non potrà essere mai più il ragazzino di prima. L’augurio dei quattro rivela la profonda ingiustizia che stanno vivendo, un “arrivederci ragazzi” che non si trasformerà mai più in incontro.
Presentazione critica
C’è una sottile linea rossa che unisce il cinema francese dagli anni trenta agli anni Ottanta, un filo lieve che lega età e stagioni cinematografiche, all’insegna di tratti comuni che diventano espressioni non più solo di una singola produzione o di un singolo autore, ma di un intero Paese, un piccolo filamento che, attraversando tre importanti film francesi, ha dato un’interessante rappresentazione dell’adolescenza transalpina (nonché mondiale): si tratta di Zero in condotta di Jean Vigo, di I quattrocento colpi di François Truffaut e di Arrivederci Ragazzi di Louis Malle. Sebbene lontani per tempi di realizzazione, stile, motivazioni poetiche, le tre pellicole hanno un’orditura fitta che li tiene uniti nonostante le diversità, un intreccio di fibre che si costituisce attorno all’autenticità del racconto, che fa delle storie narrate piccole cartine di tornasole della Francia dell’epoca. Come pochi altri film che non appartengano ad un medesimo genere, soggetto, autore, essi hanno molte caratteristiche complementari: la radice accentuatamente autobiografica (le esperienze indelebili dei registi stanno alla base della storia di un riformatorio come nel caso di Vigo, di un ragazzo solo come nel caso di Truffaut, o di una amicizia tragicamente recisa come nel film di Malle); l’autenticità della narrazione data dalla capacità degli autori di aderire ai personaggi e, nel contempo, oggettivare lo spunto biografico; la presenza di uno spirito nazionalista ben delineato (nella rivolta dei ragazzi che ringiovanisce lo spirito riformatore da cui è nata la Repubblica transalpina, nella solitudine e insieme nella capacità di crescita di un ragazzino che ben esprime una sorta di centralità isolata rappresentata dalla Francia in l’Europa, nell’amicizia spezzata dai moti di una guerra nella quale la Francia è stata soprattutto vittima più che protagonista); la rappresentazione degli aspetti più vitali e positivi di un’età, il richiamo al cinema e al suo profondo legame con l’adolescenza (si pensi alla camminata alla Charlot dell’insegnante di Zero in condotta, ai film visti da Antoine e Renée in I quattrocento colpi, alle comiche dello stesso Chaplin viste dai ragazzini di Arrivederci ragazzi), l’opposizione tra mondo dell’infanzia e mondo degli adulti e in particolare tra l’innocenza dei bambini e la corruzione o l’ottusità delle figure che rappresentano le istituzioni. Da questo punto di vista, Arrivederci ragazzi, anche se non è un capolavoro del cinema, per stile, narrazione, innovazione del linguaggio cinematografico come lo erano Zero in condotta e I quattrocento colpi riesce a tenere testa ai suoi due illustri predecessori, proprio perché lo spirito di Malle sembra essere molto simile a quello che ha guidato la mano di Truffaut o di Vigo. Louis Malle è Julien. Ben consapevole dell’epilogo della storia perché vissuto in prima persona, il regista lavora per accompagnare lo spettatore in un finale volutamente assurdo e amaro. La voce fuori campo (che nella versione originale è dello stesso Malle), presente solo in conclusione della storia, racconta con poche e fredde parole la fine tragica di Jean. I termini con cui si accomiatano i due amici appaiono beffardi, nel augurarsi un arrivederci che suona come un desiderio reciso prima ancora che una speranza di vita. Altrettanto amaramente derisoria appare la faticosa costruzione dell’amicizia tra Julien e Jean così come la lieve vitalità dei ragazzi, capaci di trovare il coraggio della serenità anche in assenza dei genitori (quelli di Jean perché rinchiusi in lager, quelli di Julien perché insensibili), sotto i bombardamenti nemici o tra una perquisizione e l’altra. Appare sproporzionato il nesso causa-effetto che porta all’esito finale, giacché da una piccola illegalità (quella del commercio di viveri che esercitano il cuoco e i collegiali) ne consegue, attraverso l’attuazione di un provvedimento legittimo (il licenziamento di Joseph) un’immensa ingiustizia, quale la cattura e la successiva uccisione di persone innocenti. Tutti gli aspetti che riguardano l’amicizia tra i ragazzi – la scoperta dell’altro, la crescita, il gioco, la sessualità, la passione, l’avventura – si scontrano così con il profondo senso di ingiustizia che caratterizza ciò che sta loro attorno, dai divieti di ingresso nei bagni pubblici per gli ebrei al rimprovero fatto a Julien perché rientrato tardi in collegio, quando invece stava partecipando ad un gioco organizzato dagli stessi religiosi. Il risultato di questa contrapposizione provoca la tragedia per i più deboli (in questo caso Jean), e la definitiva perdita dell’innocenza da parte dei privilegiati. Il dolore di Malle è anche quello di essere stato risparmiato solo perché ricco e di buona famiglia, una differenza di classe che, in questo caso più che in altri, appare ingiusta e profondamente inumana. Marco Dalla Gassa