di Agnés Jaoui
(Francia, Italia, 2004)
SINOSSI
Etienne è uno scrittore di gran successo, famoso ed egocentrico, sposato in seconde nozze con Karine, una ragazza molto più giovane di lui; l’uomo ha una figlia quasi maggiorenne, Lolita (timida, soprappeso, aspirante cantante lirica), avuta dal primo matrimonio con un’insegnante di yoga scappata nelle Antille, e una secondogenita di circa sei anni. Scorre parallela a quella di Etienne la vita di Pierre e Sylvia, lui scrittore che si sente fallito, con un terzo libro in stampa di cui prevede il sicuro flop, lei insegnante di canto frustrata. Quando Sylvia scopre che una delle sue allieve è Lolita, la figlia del celebre scrittore, convinta di poter aiutare in qualche modo suo marito, fa in modo di stringere amicizia con lei. In effetti, da quel momento in poi, le vite delle due famiglie si intrecciano: Etienne, in crisi di ispirazione, ma con una collana di una casa editrice da dirigere, conosce, apprezza e cerca di coinvolgere Pierre, la cui influenza cresce all’interno della “corte” del burbero scrittore quando il suo terzo libro ottiene ottime recensioni e fa le sue prime comparsate in TV; Sylvia segue Lolita, di cui diventa ben presto anche una confidente, e poco per volta si abitua ad una vita più agiata, fatta di feste, inaugurazioni, weekend in campagna; Karine lascia Etienne, di cui non sopporta la supponenza e la poca considerazione intellettuale che ha di lei, ma poco dopo torna sui suoi passi. Ma è soprattutto Lolita che incomincia un periodo della sua vita difficile, perché soprappeso, incapace di accettare il proprio fisico, con il terrore di non essere all’altezza del padre (che odia ma che prende costantemente a modello), con la certezza di ricevere avance dai ragazzi solo perché “figlia di”. Quando incontra Sebastien, un giovane giornalista senza troppe ambizioni e dall’animo semplice, cerca di tenerlo lontano per non illudersi. Si rivelerà l’unico ragazzo veramente interessato a lei, senza ipocrisie, senza doppi giochi e falsità. Gli altri riveleranno – specialmente nel corso della festa che segue il concerto del coro in cui canta Lolita – tutto il loro egoismo. Ma se così fan tutti…
PRESENTAZIONE CRITICA
INTRODUZIONE AL FILM
La stratificazione dell’animazione
Acida, corrosiva, perfida, non conciliata, la “commedia” scritta da Agnès Jaoui e Jean- Pierre Bacri colpisce nel segno mostrando, impietosamente, tutte le piccolezze egoistiche dell’intellighenzia francese. Etienne, ormai senza alcun’ispirazione letteraria e molti interessi economici da conservare, ama circondarsi di inetti e accondiscendenti assistenti (il malleabile Vincent) e di ragazze giovani e belle, di cui non riesce peraltro nemmeno ad apprezzare intelletto e curiosità, rinunciando – di fatto – a instaurare un vero rapporto paterno con Lolita (a cui ricorda frequentemente la sua obesità). Anche gli aspiranti intellettuali, ipoteticamente spinti da nobili passioni e ancora incorrotti dal dio denaro e dalla celebrità, non offrono un profilo migliore: Sylvia fa amicizia con Lolita solo quando scopre che è la figlia di un famoso scrittore (non dimostrandosi migliore dei ragazzi che la corteggiano solo per conoscere il padre), Pierre, scrittore di ormai svanite ambizioni, appena entra nel circuito giusto, accetta di buon grado di lasciarsi modellare a immagine e somiglianza dell’alta società che ha sempre criticato, abbandonando la vecchia editrice (che ha creduto in lui e lo ha portato al successo), non portando a termine i testi di un libro di fotografie promessi al suo migliore amico, crogiolandosi nell’idea di poter conquistare una modella che si è dichiarata commossa ed entusiasta del suo ultimo lavoro. Jaoui e Bacri pennellano, dunque, un quadro desolante di diffusa e quasi inconsapevole aridità di spirito utilizzando, però, colori brillanti, tratti leggeri, impressionismi che, almeno inizialmente, ingannano gli spettatori. I personaggi che calcano la scena, come nella commedia greca, sono simpatici e arguti, ritratti nelle occupazioni tipiche delle élite culturali (una festa, una cena, un aperitivo, un week-end in campagna, un concerto di musica classica, una lezione), finanche sensibili e umani nelle loro manifeste debolezze o nei goffi tentativi di rendersi belli agli occhi degli altri. È questa soffusa luce naturale, questi volti normali e perfino bruttini, questa banalità di occupazioni e comportamenti che accomuna i personaggi agli spettatori in sala (chi se non i borghesi radical chic va a vedere i film d’autore francesi premiati al festival di Cannes?), una luce che, di fatto, si tramuta poco per volta in una lugubre rappresentazione della piccolezza e della bassezza dei personaggi e – quindi – dello stesso pubblico in sala. Verrebbe da pensare che le generazioni più giovani possano alterare questo quadro, portare una visione altra, una speranza per il futuro, ma non è così.
IL RUOLO DEL MINORE E LA SUA RAPPRESENTAZIONE
Grasso è brutto
Lolita – esattamente all’opposto di quel che farebbe pensare il suo nome – è un’adolescente grassoccia, molto poco sensuale, perfettamente consapevole di ciò che le accade attorno, risoluta nel non accettare la propria conformazione fisica. Benché sia il bersaglio preferito del padre (che, con pochissimo tatto e una supponenza insopportabile,le rammenta continuamente la sua obesità e sembra accettarla in famiglia solo perché vi è costretto) e malgrado si trovi a competere con una matrigna di pochi anni più grande di lei, bionda, bella, attraente (e che per di più si lamenta in sua presenza quando si accorge di pesare qualche etto in più di quanto non desideri) Lolita non è totalmente estranea al mondo ipocrita e bieco in cui è nata e cresciuta. Non esita a sfruttare le conoscenze del padre per organizzare un concerto di musica classica in una chiesa nei pressi della loro tenuta di campagna, ha con il padre un rapporto conflittuale ma costantemente alimentato da telefonate, conversazioni, arrabbiature, litigi, si lamenta (giustamente) perché i ragazzi le si avvicinano solo perché è figlia di uno scrittore, ma questo non le vieta di giocare con Sébastien e Mathieu, senza peraltro rendersi conto della grande differenza che corre tra i due. Lolita, in altre parole, non è un personaggio portatore di un’altra verità all’interno di un contesto marcio: non rinuncerebbe a certi privilegi di cui gode (si pensi alla scena iniziale della festa), anche se farebbe volentieri a meno di un rapporto con i genitori arido o inesistente e di una corporatura che lei stessa giudica poco gradevole. Un persona ggio dunque credibile, non costretto ad un posticcio percorso di formazione o ad una sensibilità d’animo che si presuppone arrivare da elementi di diversità o discriminazione. Lolita è figlia di determinati modelli sociali per i quali il successo è potere e diventa perciò un valore in sé che giustifica qualsiasi incoerenza, qualsiasi narcisismo, qualsiasi bassezza. Lolita è perfettamente integrata in questo sistema, non ne concepisce altri (perché altri non ce ne sono, evidentemente), eppure si sente inadatta perché nel mondo dell’apparenza in cui vive (il successo deriva dalle feste, dalla TV, dalla riconoscibilità) grasso è brutto, per quanto ci si sforzi di volere e affermare il contrario. Una contraddizione vivente che, pur non risolvendosi (non basta l’inseguimento di Sébastien nella notte dopo il concerto per ridare sensibilità al personaggio), evidenzia le restanti contraddizioni che la circondano e che investono – come si è gia detto – anche gli spettatori in sala. Noi per primi. Marco Dalla Gassa