Bulli e media

Bullismo, legalità e media

di Aldo Grasso

Per gentile concessione del prof. Aldo Grasso pubblichiamo la sua relazione per il Convegno "Piccoli e grandi immaturi? Adolescenti tra evoluzione e trasgressione. Quali responsabilità per genitori, insegnanti, educatori, mass media" organizzato dalla Provincia di Milano con l'Associazione Camera Minorile di Milano e l'Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia, Milano 24 settembre 2007.

Frammenti e percezioni dei media. Rappresentazione degli adolescenti e della legalità proposta dai media e il ruolo di questi ultimi

“Uno solo poteva ridere mentre Derossi diceva dei funerali del Re, e Franti rise. Io detesto costui. È malvagio. Quando viene un padre nella scuola a fare una partaccia al figliuolo, egli ne gode; quando uno piange, egli ride. Trema davanti a Garrone, e picchia il muratorino perché è piccolo, tormenta Crossi perché ha il braccio morto; schernisce Precossi, che tutti rispettano; burla perfino Robetti, quello della seconda, che cammina con le stampelle per aver salvato un bambino. Provoca i più deboli di lui, e quando fa a pugni, s’inferocisce e tira a far male. Ci ha qualcosa che mette ribrezzo su quella fronte bassa, in quegli occhi torbidi, che tien quasi nascosti sotto la visiera del suo berrettino di tela cerata. Non teme nulla, ride in faccia al maestro, ruba quando può, nega con una faccia invetriata, è sempre in lite con qualcheduno, si porta a scuola degli spilloni per punzecchiare i vicini, si strappa i bottoni dalla giacchetta, e ne strappa agli altri, e li gioca, e ha cartella, quaderni, tutto sgualcito, stracciato, sporco, la riga dentellata, la penna mangiata, le unghie rose, i vestiti pieni di frittelle e di strappi che si fa nelle risse. […] Egli odia la scuola, odia i compagni, odia il maestro. Il maestro finge qualche volta di non vedere le sue birbonate, ed egli fa peggio: provò a pigliarlo con le buone, ed egli se ne fece beffe. Gli disse delle parole terribili, ed egli si coprì il viso con le mani, come se piangesse, e rideva. Fu sospeso dalla scuola per tre giorni, e tornò più tristo e insolente di prima. […] Ma questa mattina, finalmente, si fece scacciare come un cane” (Edmondo De Amicis, “Cuore”).

Il ritratto di Franti tratteggiato in “Cuore” rappresenta uno dei momenti più interessanti in cui la figura del “bullo” diventa protagonista della pagina letteraria. Nei comportamenti del giovane scolaro della scuola di Edmondo De Amicis si riconoscono infatti tutti gli atteggiamenti tipici dell’adolescente problematico, che caratterizzano anche la definizione di “bullismo” formulata da psicologi ed educatori. Questa definizione si richiama all’inglese bullying, indica cioè la messa in atto di una serie di episodi di reiterata, squilibrata e intenzionale prevaricazione a danno di coetanei che si sviluppano in ambiente scolastico tra soggetti di età compresa tra i 6 e i 19 anni e prevalentemente in contesti di gruppo.1 Forte con i deboli, pauroso con i più muscolosi, irrispettoso dell’autorità scolastica, Franti incarna anche fisicamente (fronte bassa, occhi torbidi), anzi fisiognomicamente, il modello del prepotente prevaricatore. La sua dettagliata descrizione in un romanzo di metà Ottocento ne fa una significativa immagine di proto-bullo, rassicurandoci sul fatto che l’emergenza educativa e i numerosissimi episodi di bullismo giovanile che in questi mesi, in quest’ultimo anno hanno catturato l’interesse dell’occhio televisivo e occupato le pagine dei quotidiani non rappresentano un’esclusiva prerogativa delle giovani generazioni d’oggi. Il racconto di Franti inoltre può spingerci a qualche riflessione di ordine educativo: se in “Cuore” la sua vicenda si chiude definitivamente con l’allontanamento dalla scuola (con grande sollievo del diligente Enrico Bottini, tutto racchiuso in quel “finalmente”), gli episodi che in tempi recenti hanno visto protagonisti adolescenti dediti ad atti di bullismo e azioni al limite della legalità hanno scatenato una moltiplicazione di domande e di riflessioni degli specialisti, che si sono chiesti come interpretare il fenomeno e come porvi un freno anche con punizioni creative, messi di fronte a un fatto nuovo: la crescente mediatizzazione della sfera pubblica e della società ha reso quasi inevitabile l’estendersi del fenomeno bullismo anche al campo dei media, sempre più presenti nella vita dei più giovani. Il bullismo tradizionale si è dunque adeguato ai new media, alla crescente disponibilità di tecnologia digitale ad ampia accessibilità, che permette facilmente di produrre filmati con un oggetto di consumo di massa come il telefonino e di metterli in rete su siti come YouTube e Myspace, finalizzati alla condivisione di contenuti creati dagli utenti stessi (user generated content); l’interattività e il profilo di un’utenza sempre più partecipe del contenuto offerto dai media (prosumer) è caratteristica del periodo della storia dei media che John Ellis ha definito “età dell’abbondanza”. È un fenomeno recente il cyberbullying, che ha avuto come diretta conseguenza la sovraesposizione in ambito mediale del mondo adolescenziale e giovanile, sempre rappresentato nella sua dimensione più problematica e violenta soprattutto da generi televisivi improntati al realismo, come l’informazione e il talk show: È soprattutto nella cronaca e nell’informazione che il minore appartiene sempre più a un mondo estremo e fuori dall’ordinario. Lo stesso contesto, il tono a cui quasi sistematicamente si fa riferimento parlando di minori, è quasi sempre avvolto in un’atmosfera drammatica, estrema e sordida.2

È interessante dunque chiedersi come si comporta un medium tradizionale come la tv nel mettere in scena l’adolescenza, con tutto il suo portato di nodi problematici e comportamenti difficili, e ancora domandarsi se la modalità di tale messa in scena può condizionare il comportamento dei teenagers e incidere sul loro immaginario. L’analisi dei programmi che attualmente occupano il palinsesto della tv generalista italiana permette di organizzare il racconto dell’adolescenza intorno a due polarità principali. La prima è quella che si può ricondurre all’ambito finzionale: la serialità americana ha costruito intorno al teenager e all’adolescenza un vero e proprio genere narrativo, il teen drama, di grande successo tra un pubblico di 15-24enni. La seconda polarità attraverso cui la tv rappresenta il mondo degli adolescenti è quella legata al factual: si tratta di programmi che promettono di informarci sul mondo e sulla realtà e di metterci in contatto con essa. Si possono inscrivere in questa categoria prodotti televisivi come i servizi dei tg, che riprendono sempre più frequentemente le immagini filmate dagli stessi giovani e pubblicate su siti internet e assumono una costruzione diversa a seconda della modalità enunciativa del singolo tg, inchieste (come il patinato rotocalco di “Studio aperto”, “Lucignolo”) e talk show (si pensi alla versione del sabato pomeriggio de “L’Italia sul 2” che propone la formula del talk dedicato a tematiche giovanili, con protagonisti alcuni giovani spettatori, o a “Parlano loro” spazio simile nel contenitore “Buona domenica”). A differenza della modalità di messa in rete delle immagini prodotte dagli utenti, che per sua natura esclude qualunque forma di mediazione, la loro ripresa a opera della tv impone che vengano mediate per il telespettatore da un’autorità, che può essere quella oggettiva del telegiornale oppure quella che più strizza l’occhio al giovane telespettatore, proponendosi come amica e vicina, ma mai esente da moralismo e manipolazione, tipica di “Lucignolo”.

Il teen drama rappresenta un formato testuale della fiction americana interessante da due diversi punti di vista: quello del consumo, perché si configura come un prodotto esplicitamente indirizzato al pubblico giovanile, e quello della produzione e ideazione, perché è proprio il mondo giovanile a diventare soggetto della messa in scena. Il teen drama infatti racconta la vita quotidiana di un gruppo di adolescenti (teenagers tra i 13 e i 19 anni), condensando nell’arco di 24 puntate stagionali la narrazione dei momenti che segnano il difficile passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Si tratta di un prodotto molto interessante, soprattutto perché il suo consumo da parte del pubblico giovane costituisce una stimolante prospettiva d’analisi per leggere il rapporto adolescenti-tv. Telefilm come “Buffy”, “Dawson’s Creek”, “The O.C.” diventano oggetto di un vero e proprio culto tra gli adolescenti di tutto il mondo, aggregando comunità di fans e proponendo modelli di comportamento e stili di vita. Se nelle serie americane degli anni Settanta e Ottanta la presenza dell’adolescente era sempre limitata all’interno di un contesto prettamente familiare e meno improntato al realismo della messa in scena (si pensi ad alcune storiche sit com come “I Robinson” e “Happy Days”), a partire dagli anni Novanta il racconto dell’adolescenza nella serialità americana è diventato sempre più centrale e articolato da prospettive sempre più originali e mature. Le situazioni di partenza che nel teen drama servono da innesco per lo sviluppo narrativo della serie sono le dinamiche interpersonali che si instaurano nel “gruppo dei pari”, all’interno del quale i protagonisti sono legati da una relazione profonda, caratterizzata dall’appartenenza e dalla solidarietà generazionale; il teen drama riconosce dunque che: gli adolescenti sperimentano la spinta verso l’amicizia come un bisogno profondo, una fame molto forte di relazioni orizzontali, che sostituiscano quelle verticali -con i genitori- dell’infanzia.3  

Nell’ambito del gruppo dei pari i protagonisti sviluppano le esperienze che porteranno alla formazione della loro identità: i primi tormenti sentimentali, le incomprensioni con la famiglia, rappresentata sempre più spesso come sostanzialmente incapace di dare risposte ai problemi tipici dell’adolescenza, la ricerca di protezione nel gruppo dei pari e soprattutto l’aspirazione alla “normalità”. La scuola diventa luogo di rappresentazione privilegiato perché concentra in sé le caratteristiche di area di incontro e formazione, ma anche di scontro. L’universo finzionale in cui sono calati i giovani protagonisti è molto realistico, anzi tende con il progredire degli anni a farsi sempre più realistico, coinvolgendo tematiche anche estreme come la droga e addirittura la morte, mettendo in scena la fine di uno dei protagonisti più amati dal pubblico di adolescenti (Marissa in “The O.C.”) proprio in seguito a un episodio estremo di violenza. I diversi “gruppi dei pari” rappresentati dai teen drama americani permettono di distinguere al loro interno caratteri ricorrenti: i protagonisti maschili sono quasi sempre tratteggiati secondo archetipi, immagini dell’adolescenza che lo studioso Hebdige ha organizzato, nel suo studio sulla “gioventù come categoria artificiale”, in due modelli, quello della gioventù come divertimento e quello della gioventù come ribellione.4

È proprio questa seconda immagine, questo secondo modello, che racchiude in sé le caratteristiche più interessanti nella rappresentazione televisiva di un’adolescenza problematica, che si trova a fare i conti con comportamenti al limite della legalità. Si pensi al personaggio di Ryan in “The O.C.”, una delle serie più amate dal pubblico giovanile: la sua adolescenza di bullo, di ragazzo difficile spesso coinvolto in risse e furti di auto è riscattata tramite il suo inserimento in una famiglia che lo guida e ne indirizza le scelte, seppur tra mille difficoltà. Il compito pedagogico che la famiglia di Ryan assume nei suoi confronti è per mimesi assunto dal telefilm stesso nei confronti del suo pubblico di giovani spettatori. In questo senso la tv contribuisce a mettere in forma il disagio adolescenziale, il testo televisivo si fa luogo di riflessione e cerca di mettere ordine tra le problematiche giovanili attraverso la loro organizzazione in un percorso drammaturgico e narrativo, facendosi così “buona maestra” e assumendo su di sé le prerogative che per molto tempo sono appartenute alla letteratura, al romanzo di formazione, spesso oggetto di allusioni e citazioni nei “teen drama”.5

La costruzione di un racconto mette dunque in forma il disagio adolescenziale, la violenza, il mondo dei giovani americani strettamente diviso tra persone di successo e loser (perdenti) e nerd (secchioni), e tenta di incanalarla in una narrazione, dandone ragione, risolvendola tramite storie che di norma evitano il moralismo retorico per proporre soluzioni attraverso la messa in scena. Queste forme di narrazione sono quelle che più spesso danno origine alle letture più interessanti e meno banali del fenomeno bullismo e del comportamento problematico degli adolescenti: la più straordinaria sit com animata degli ultimi anni, “I Simpson”, è riuscita spesso a mettere in scena temi complessi e scottanti come quello del bullismo giovanile da un punto di vista ironico e dissacrante, reso possibile proprio dalla natura animata della serie. La comicità che regge l’impianto narrativo de “I Simpson” è tutta basata sul rovesciamento ironico e parodico: i valori della tradizionale famiglia bianca americana, tutti i suoi stereotipi e luoghi comuni, sono ribaltati attraverso una comicità crudele. La presenza nella serie di due figli in età scolare permette che uno degli ambiti di vita quotidiana più frequentemente messo in scena sia la scuola frequentata da Bart e Lisa. In accordo al tono smaliziato della serie il bullismo e le prevaricazioni ai danni dei secchioni sono frequentemente raccontati con tono dissacrante, tentando di portarne in luce gli atteggiamenti più tipici per poi demolirli a colpi di ironia. Per esempio, in una puntata della XII stagione, “Bulli e secchioni” (“Bye bye nerdy”), Lisa fa conoscenza di una nuova compagna di scuola, Francine, una “picchia secchioni” che la prende presto di mira. Francine rappresenta un emblematico esempio di bullismo femminile, già diventato oggetto di racconto del cinema in film come “Thirteen” e “Mean Girls”. Nonostante i tentativi di Lisa di accostarsi alla nuova arrivata per fare conoscenza, Francine si rivela impenetrabile a qualunque gesto di avvicinamento amichevole (rinchiude Lisa e Milhouse in un armadietto della scuola e stacca persino la testa di Malibu Stacy, la bambola di Lisa – anche se: “They’re not dolls. They’re aspiration figures” ricorda Lisa alla madre Marge). Stanca delle continue angherie e per tentare di capire le ragioni del suo comportamento, Lisa adotta la soluzione che è più congeniale al suo personaggio di piccola intellettuale e che permette alla narrazione di concludere la puntata con un colpo di coda ironico e dissacrante. Partendo da una brillante intuizione, Lisa conduce un esperimento scientifico che vede protagonisti Francine e i secchioni della scuola: gli atti di bullismo di Francine sono scatenati da una particolare molecola sprigionata dal sudore di secchioni e losers. Infatti quando ha il naso tappato Francine si rivela mansueta come un agnellino. Dopo che la piccola scienziata ha illustrato la sua sbalorditiva scoperta al The 12th Annual Big Science Thing, un congresso scientifico in cui Francine viene portata come cavia – rinchiusa in gabbia come una bestia feroce, tramite uno stilema che sembra citare “The Elephant Man” secondo la caratteristica arte allusiva della serie – Homer le si avvicina e trae a suo modo le conclusioni in merito al comportamento di Francine, dimostrando di non aver compreso per nulla la spiegazione scientifica di Lisa: “Certo si comporta così perché non riceve abbastanza attenzioni, perché non si sente amata”. Ecco che Homer provvede a farsi portavoce della spiegazione più banale, proponendosi così come immagine della tv con poca inventiva, sempre alla ricerca della spiegazione più banale dei fenomeni. Lisa, con la sua esilarante trovata scientifica, rappresenta invece quella tv che si sforza di avvicinare queste problematiche da un punto di vista originale, con un linguaggio capace di parlare agli spettatori più giovani e mettere in discussione le opinioni consolidate degli adulti. Nell’anticipare la modalità rappresentativa legata all’area del factual, si è precedentemente accennato alla mediazione operata dalla tv nei confronti delle immagini amatoriali pubblicate su internet. Nel teen drama avviene qualcosa di simile: il racconto dell’adolescenza appare sempre e comunque mediato da una personalità adulta, quella di creatori e sceneggiatori, che costruiscono puntata per puntata una riflessione dell’adulto sugli adolescenti che sono stati, riflessione di cui si trovano tracce anche nell’estrema autocoscienza dei personaggi su se stessi e sulle dinamiche dei loro gruppi.

Dunque il racconto dell’adolescenza appare governato da due autorità: a quella creativa e autoriale si affianca quella formale. Infatti la struttura formale del telefilm, chiusa, simile a opere definite da soglie come il film o il libro, mette ordine nel caos del flusso palinsestuale, proponendo una sistema valoriale gerarchico (amicizia prima di tutto, poi valore dei sentimenti e della famiglia), che si differenzia per esempio dal talk show o dai reality, dove invece non viene mai tratteggiata una scala di valori, dove una chiacchiera e un punto di vista ne valgono un altro, dove si può dire tutto e il contrario di tutto. Dunque il telefilm sembra in qualche modo tentare di arginare una deriva di autorità e di prospettiva valoriale che ha investito allo stesso tempo il settore educativo e quello di alcuni generi televisivi: Siamo testimoni di una sofferenza legata, diremmo, a un’eclissi – o forse a un tracollo – del principio di autorità. A scuola, alle medie come alle superiori, il professore o l’educatore non sembrano più rappresentare un simbolo sufficientemente forte per i giovani: la relazione con l’adulto è infatti percepita ormai come simmetrica.6

L’esempio più vischioso e per certi versi più interessante a questo proposito è indubbiamente costituito dall’inchiesta patinata “Lucignolo”, in onda in seconda serata su Italia 1.7 Si tratta di una trasmissione che si propone di entrare nelle pieghe del composito universo giovanile, di raccontarne i lati nascosti, le pratiche sconosciute, la trasgressione. Il tono del racconto è ammiccante e discorsivo, le immagini, spesso scabrose e pruriginose, sono commentate e montate con un misto di moralismo e sensazionalismo che consente di raccontare a brevissima distanza (e secondo la stessa prospettiva) alcuni casi di bullismo scolastico e le vicende della porno star Moana Pozzi. La cronaca nera e quella rosa, come in “Studio aperto”, sono affrontate con enfasi sensazionalistica, considerata l’unica modalità per accostarsi ai giovani, che si pretende di attrarre con lo stile più accattivante e seducente (si pensi all’etimologia latina del termine se-ducere, “condurre a sé”). Anche il telegiornale “Studio aperto” ricalca le modalità di racconto di “Lucignolo”: si consideri per esempio l’edizione delle 18,30 del 9 giugno 2007. L’anno scolastico si conclude, e anche “Studio aperto” pone termine a una stagione di esasperata attenzione al fenomeno bullismo e adolescenti problematici. Viene riproposto in un servizio un video pubblicato su YouTube, che mostra alcuni studenti entrare nelle aule in sella agli scooter. È interessante analizzare il commento alle immagini della giornalista, per dare ragione della particolare mediazione della tv nei confronti dei video amatoriali: “La scuola si è chiusa in una paradossale coerenza. Ragusa: ci mancava solo questo. La lacuna è stata colmata. Guardate!”. L’invito a guardare uno spettacolo intrigante e sensazionale si affianca a un tono moralistico, stemperato immediatamente dal finale del servizio: “E meno male che tra le sgommate la scuola è finita. Buone vacanze!”. Subito dopo l’anchorman in studio lancia un servizio dedicato alla fine della scuola e alle prime gite in spiaggia. Il commento del giornalista pare ribaltare e stravolgere la prospettiva moralizzante del servizio precedente: “Ma sì, se le sono meritate queste vacanze, e dopo la guerra d’uova fuori dall’istituto possono abbandonare finalmente i libri”. Risulta del tutto evidente la prospettiva amicale di questo tipo di tv, l’assenza di un’autorità, di una mediazione valoriale che metta ordine a temi legati all’adolescenza ma molto diversi fra loro, per cui se in un primo tempo si condanna il bullismo degli studenti siciliani, già nel servizio successivo la guerra d’uova che imbratta macchine e strade è raccontata bonariamente come un aneddoto divertente. A prevalere è l’idea di prossimità rispetto al telespettatore, di una tv che da maestra (come si proponeva nei primi anni di vita del servizio pubblico) diventa amica. “Lucignolo” del 29 maggio 2007 propone come tema della puntata il concetto di scandalo: per esemplificarlo sono scelti alcuni video girati a scuola da alcuni studenti, che insultano e aggrediscono professori, si spogliano, compiono atti di prepotenza. Il servizio che l’inchiesta costruisce intorno a questo materiale prende a pretesto la divulgazione e la stigmatizzazione di comportamenti al limite della legalità (alcuni commenti della voce over: “La scuola è sotto scacco”, “Per questi giovani il concetto di scandalo è molto spostato in avanti”). È quasi paradossale la scelta di oscurare i volti dei protagonisti, che su internet compaiono a volto scoperto e affermano di aver avuto sin dall’inizio l’intenzione di mostrarsi. L’esasperata ricerca del sensazionalismo nella messa in onda di questi video amatoriali ha portato la testata anche a compiere grossolani errori: un video di alcuni studenti apparso su YouTube viene raccontato in un servizio come un episodio di violenza nei confronti di un disabile. Poche settimane dopo, “Striscia la notizia” rivela la montatura di “Studio aperto”: si trattava di una semplice goliardata tra amici.

I contenuti tratti da internet e presentati in questo tipo di programmi sono spesso pubblicati da un sito, www.scuolazoo.it, che è utile visitare per cercare alcune risposte sul rapporto tra adolescenti, media e legalità. “Scuolazoo” è il portale che ha inaugurato in Italia il fenomeno del cyberbullying: i suoi ideatori sono studenti di diciannove anni, intervistati proprio da “Lucignolo” il 29 maggio 2007 insieme ai giovani che hanno prodotto e inviato al sito filmati che sono spesso testimonianze di atti di bullismo, esplicite molestie sessuali a compagni e insegnanti, esibizione volontaria e provocatoria di nudità da parte di ragazze. La risposta più ricorrente alla domanda sul perché si siano resi protagonisti di video pubblicati in rete è: “Volevo esibirmi davanti agli altri”. Gli ideatori del sito spiegano di aver iniziato per divertimento e per sfruttare le potenzialità di un medium democratico come internet per “denunciare” le magagne della scuola italiana. “Con la tecnologia – spiegano Francesco e Paolo, i due curatori dello spazio web – noi oggi possiamo far vedere veramente come vanno le cose, mostrare la realtà e metterla nuda e cruda on-line”. All' insegna della “democrazia digitale”, invitano gli studenti italiani ad armarsi di videofonino e a mobilitarsi: “Facciamo uscire il marcio che c’è dalla nostra scuola, filmiamolo e mettiamolo in rete, confrontiamoci e parliamone nei forum e nei blog”. Ma dietro questa spinta all’inchiesta e al documentario di denuncia si nasconde una pulsione più remota, che chiama prepotentemente in causa lo stretto legame del bullismo cibernetico con l’universo televisivo: la didascalia che compare nella home page del sito è infatti “il reality show della scuola”. La volontà di esibirsi, di essere parte dell’universo di immagini e simulacri che popola in modo sempre più pervasivo la vita degli adolescenti, prende il sopravvento: il videofonino, da macchina di denuncia, diventa testimone di violenza e strumento per divulgarla. La significatività di un genere televisivo come il reality show e la sua incidenza nell’immaginario giovanile sono tragicamente testimoniate anche dalla vicenda dell’adolescente torinese che si è tolto la vita esasperato dai continui atti di bullismo che ne prendevano di mira i modi effeminati. Il suo soprannome era diventato “Johnatan”, per accomunarlo a un concorrente del “Grande fratello” che aveva partecipato al reality giocando molto sull’ambiguità di genere sessuale. La rete informatica ha tra le sue caratteristiche mediologiche l’interattività cui è chiamato il fruitore; in più, riprendersi e mettere le immagini a disposizione di tutti costituisce un attestato di esistenza, una mimesi della forma del reality show, una condivisione di esperienza ma anche una forma di esibizionismo consona alla personalità del bullo. La pulsione a esibirsi, a comunicare tramite strumenti accessibili solo al gruppo dei pari, caratterizzati anche da un preciso e separato codice linguistico (si pensi alle cifre degli sms), appare caratteristica dell’universo adolescenziale, e la digitalizzazione dei media ha provveduto a garantire sempre più opportunità per questo tipo di comunicazione. La voglia di riunirsi nel gruppo dei pari, inaccessibile agli adulti e a chi non è stato accolto, è stata afferrata anche da un operatore di telefonia, che ha inaugurato la tribù degli utenti, pensata proprio per l’universo adolescenziale, mettendo in scena negli spot seriali, basati sulla logica dell’infotainment, il gruppo dei pari. È significativo che a inaugurare l’idea della comunità cibernetica in tv sia stato proprio un programma giovanile, “TRL”, trasmesso da una rete che seleziona tra i giovani il suo pubblico, MTV. Con “TRL” nasce l’idea di una comunità televisiva a cui gli spettatori possono partecipare con messaggi, video e chiamate, contribuendo così alla sua creazione. “TRL” ha convinto i giovani telespettatori che il loro intervento può fare la differenza, imponendosi così in breve come un fenomeno della teen culture.8

Rimane innegabile che la prossimità e la facilità di accesso all’universo dei new media può dare origine ad aree pericolose, a zone non controllate dove la rete di comunicazione elettronica (lontana dal controllo dell’autorità adulta) si intreccia con violenza e sopraffazione. Il celebre studioso americano di nuove tecnologie, Paul Saffo, spiega bene le problematiche che si aprono con la diffusione dei cosiddetti personal media, tra cui internet: “nell’era di internet le tecnologie digitali sono il solvente che scioglie la colla delle istituzioni tradizionali”. Tra queste istituzioni si può a buon diritto inscrivere la scuola, un tempo forte del suo ruolo educativo, ma ormai sempre più contestata come modello di autorità. Aggiunge Saffo: La società dei creatori può produrre valori che durano, un nuovo impegno sociale, o essere un fallimento: un altro caso di grandi civiltà che cadono perché trasformano tutto in intrattenimento. […] C’è il rischio di sviluppi negativi in vari campi: da quello sociale, nel quale assistiamo a una sorta di abolizione del concetto di privacy da parte dei più giovani, a quello politico.9

Anche gli educatori e gli operatori scolastici hanno recentemente riservato sempre maggiore attenzione al rapporto tra media e giovani, tanto che il preside di uno storico liceo milanese, il Berchet, ha proposto come punizione per due studenti che avevano pubblicato un video disdicevole su YouTube la messa in rete di un filmato di pubbliche scuse. Il ruolo fondativo della tv come luogo di confronto e arena di dibattito è sottolineato anche dallo psicologo Gustavo Pietropolli Charmet: “Non sarebbe male se ogni scuola avesse la sua tv privata per fare dibattiti e approfondimenti. Altro che giornalini”.10

Non sempre dunque comunicare è un bene e se i media possono da una parte contribuire a dare coscienza di episodi di violenza e rottura della legalità, dall’altra comportano un alto rischio di emulazione e adesione a modelli negativi. La colpa, comunque, è sempre dell’altro. - … Ma la colpa non è mia: la colpa, credilo, è tutta di Lucignolo!… - E chi è questo Lucignolo? - Un mio compagno di scuola. Io volevo tornare a scuola ed essere ubbidiente: io volevo seguitare a studiare e a farmi onore… ma Lucignolo mi disse: “Perché vuoi tu annoiarti e seguitare a studiare? Perché vuoi andare alla scuola?… Vieni piuttosto con me, nel paese dei balocchi: lì non studieremo più: lì ci divertiremo dalla mattina alla sera e staremo sempre allegri (Carlo Collodi, “Le avventure di Pinocchio”). Tre brevi osservazioni per concludere: 1) Il bullismo è sempre esistito, ora si è adeguato ai nuovi media; 2) l’effetto emulazione esiste, ovviamente, ma non va sopravalutato, spesso è solo un alibi. È evidente che si cerca sempre un modello, anche negativo, a cui adeguarsi, ma non esiste un rapporto immediato di causa ed effetto così come facilmente si vorrebbe immaginare; 3) le news non innescano processi profondi e complessi come la serialità, e quindi, se proprio vogliamo trovare un colpevole, possiamo ragionevolmente sostenere che l’informazione è molto più “pericolosa” della fiction nello scatenamento dell’emulazione.

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Note

1    L. Gaggi, “Machismo di classe”, Presenza, marzo-aprile 2007, pp. 14-15.
2    A. Pellai, Teen television. Gli adolescenti davanti e dentro la Tv, Franco Angeli, Milano, 1999, p. 37
3    G. Pietropolli Charmet, Amici, compagni, complici, Franco Angeli, Milano, 1997, p. 15. Si veda anche il contributo di Pellai: “Il confronto con il gruppo dei propri pari, di coloro che sono simili a lui, diviene un processo fondamentale attraverso il quale verificarsi, interrogarsi, mettersi in gioco”. A. Pellai, Teen tv, op. cit., p. 31
4    D. Hebdige, Hiding in the light. On images and thing, London, Routledge, 1998.
5    Solo per citare un esempio, Seth ricorda in una puntata di O.C.: “la letteratura è piena di adolescenti che s’imbarcano su un battello e vanno via”.
6    Miguel Berra Sayag, Gérard Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano, 2004, pp. 25-26.
7    Si pensi solo al titolo della trasmissione, che si fa vanto di richiamare il personaggio del romanzo di Collodi che spinge Pinocchio a seguirlo nel paese dei balocchi: “Ora bisogna sapere che Pinocchio, fra i suoi amici e compagni di scuola, ne aveva uno prediletto e carissimo, il quale si chiamava di nome Romeo: ma tutti lo chiamavano con il soprannome di Lucignolo, per via del suo personalino asciutto, secco e allampanato, tale e quale come il lucignolo nuovo di un lumino da notte. Lucignolo era il ragazzo più svogliato e più birichino di tutta la scuola: ma Pinocchio gli voleva un gran bene”. Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio.
8    Si veda R. K. Olsen, “TRL and the creation of a virtual community”, in G. Davis, Dickinson K. (a cura di), Teen Tv. Genre, consumption, identity, London, British Film Institute, 2004.
9    M. Gaggi, Il tramonto della privacy, “Corriere della Sera”, 11-6-2007, p. 29.
10  A. Sacchi, Ridicole le vecchie sanzioni. Bisogna essere creativi nei castighi, “Corriere della Sera”, 11/6/07, pag. 2.