di Louis Malle
(Francia, 1974)
Sinossi
Francia, seconda guerra mondiale. Lucien Lacombe, ragazzo diciassettenne di campagna, torna a Souleillac, suo villaggio natio, per una breve vacanza e scopre che con la guerra le cose stanno cambiando. I suoi fratelli si sono fatti partigiani e allora Lucien si rivolge al maestro del paese, organizzatore del movimento anti-nazista, per entrare nella Resistenza. Non accettato perché troppo giovane, il ragazzo, mentre torna alla cittadina dove lavora, finisce per caso in un albergo, sede del comando della Gestapo e di diversi collaborazionisti francesi. Accolto con affetto, dopo una notte passata a ubriacarsi e chiacchierare con il ciclista Aubert, anch’egli di Souleillac, denuncia il maestro alla polizia tedesca che, in sua presenza, lo arresta e tortura. Da lì in poi Lucien, dimentico della famiglia e del lavoro, entra nella Gestapo, prendendo parte alle azioni repressive. Egli però, perché troppo giovane, ingenuo e un po’ tonto, è assolutamente inconsapevole di quello che fa. Presentato da Jean-Bernard de Voisins, un nobile collaborazionista, al sarto parigino Albert Horn, un ebreo che vive nella macchia sotto la ricattatoria protezione del poliziotto, fa la conoscenza di sua figlia France e se ne innamora. Horn, schiacciato dagli avvenimenti e perplesso per l'amore di Lucien verso sua figlia, si presenta alla Gestapo e viene deportato. Il ragazzo, dopo aver ucciso il nazista che aveva arrestato France e sua nonna, fugge con i due verso la Spagna. I tre si fermano in un casolare abbandonato per far calmare le acque, vivendo per alcuni giorni in mezzo alla natura. Tuttavia, come ci dice un cartello prima della fine del film, il ragazzo verrà presto preso dai partigiani e fucilato.
Presentazione critica
Il film si apre e si chiude nella campagna francese. Lucien è un contadino, è cresciuto tra gli animali della fattoria, girando per le colline, cacciando conigli, pascolando le greggi. Quello è il suo habitat, e lì egli è padrone delle proprie azioni e della loro eticità. Abbattere un cavallo perché malato, uccidere un coniglio per gioco1, ma anche per mangiarlo, inseguire e spennare una gallina – così come avviene nelle prime scene del film – sono azioni moralmente giuste in quella situazione data. Anzi, la dimensione della morte e dell’omicidio fa parte di un universo più grande che coinvolge la ciclicità della vita, il movimento a-temporale degli eventi. Anche nel finale, che torna circolarmente alla situazione iniziale – Lucien che vive in campagna – ci accorgiamo di questo carattere a-storico: i due ragazzi, insieme alla nonna, vivono nascosti in un casolare di campagna, in attesa che tutto si calmi. Grazie ad un equilibrio di matrice panteistica, la loro storia d’amore trova finalmente un senso. Le azioni del ragazzo tornano ad essere comprensibili (le trappole mortali per gli animali), le differenze di cultura, religione, intelligenza si cancellano. Ma è un’illusione destinata a durare poco: il cartello finale del film – nel quale troviamo scritto che Lucien verrà catturato dopo pochi giorni dai partigiani e fucilato, mentre in secondo piano lo vediamo, tranquillo e contento, disteso sull’erba– ci dice che l’appuntamento con la realtà è stato rinviato solo di qualche tempo. Una realtà che, a differenza della vita in campagna onirica, aleatoria, inviolabile, è, all’opposto, contraddittoria e incomprensibile. Louis Malle, dopo aver raccontato in Arrivederci ragazzi la storia di un ragazzino che vede il suo miglior amico imprigionato e poi ucciso dalle milizie tedesche, prova il ribaltamento del soggetto, narrando le vicende di un giovane nazista e cercando, per di più, di spingere lo spettatore a parteggiare per il ragazzo. In questo modo, l’inconsapevolezza di Lucien – egli, di fatto, continua a comportarsi come aveva fatto in campagna, facendo agli uomini quello che faceva agli animali – diventa un grido di accusa e disperazione ancora più forte. Egli è vittima e insieme carnefice, è traditore (il maestro che si fidava del ragazzo viene catturato proprio per colpa di Lucien) e tradito (i partigiani in fondo uccidono un ragazzo che ha ammazzato un nazista e sta proteggendo un’ebrea). In altre parole, è la differenza tra bene e male, tra morale e amorale, tra comportamento giusto e sbagliato a venir meno ed è Lucien, in quanto innesco di un cortocircuito, a pagare il dazio maggiore, finendo fucilato proprio nel momento in cui ha raggiunto la sua redenzione. Egli non può, infatti, comprendere perché nel momento in cui un’azione potenzialmente corretta si scontra con la realtà, essa si contamina delle logiche illogiche degli adulti e diventa contraddittoria, dannosa, controproducente. Ecco allora che il nome della ragazza di cui si innamora Lucien, France – come il nome della patria di Malle –, non può che avere un valore simbolico e di accusa sociale verso il suo Paese. Come la ragazza ebrea si è dimostrata ancora più ingenua e debole di Lucien, accettando le avance dell’adolescente o per calcoli sbagliati (il padre non si salverà, né lei riuscirà ad andare in Spagna) o per ignavia, così la Francia e i francesi, sottomettendosi alla logica dell’odio e della guerra tedesca forse per tornaconto o per fiacchezza, sono diventati essi stessi complici della pazzia tedesca. Quando il film uscì nelle sale – era il 1974 – la politica di Giscard D’Estaing tentava di rivalutare il periodo dei collaborazionisti o comunque di avvicinare quest’anima a quella della resistenza (fu abolita dal presidente francese la festa della Liberazione), cercando di chiudere un periodo di forte contrapposizione nazionale. La pellicola suscitò dunque una polemica rovente giacché sembrava che giustificasse, almeno in parte, tale tentativo di riconciliazione o rivisitazione storica. Un ‘eroe’ della Gestapo, la resistenza lasciata sullo sfondo, senza neanche un’aura di mitizzazione e di giustizia, la povertà che spesso legittimava scelte di campo sbagliate (Lucien è affascinato inizialmente dallo sfarzo, dalle belle donne, dal vestito cucito dal sarto, non tanto da altri tipi di potere), parevano dare un’immagine della Francia universalmente colpevole (e all’opposto innocente). In effetti, il quadro che ne usciva fuori colpiva tutte le figure del film: il padre di France, un ebreo inetto e incapace di ribellarsi alla propria situazione; la madre di Lucien che non ha alcun ruolo educativo verso il figlio e che accetta i soldi che Lucien le da, sapendo che sono il frutto di furti e omicidi; il nobile francese che si è venduto ai collaborazionisti per mantenere il suo stile di vita; la stessa France. Tuttavia a distanza di tempo, con il senno di poi, l’assenza di buoni e cattivi, l’ellissi della morale, la sospensione del giudizio appaiono gli elementi che meglio rappresentano l’illogicità di quel periodo, quelli che rendono originale e motivante la visione del film e che meglio sopportano il passare degli anni. Marco Dalla Gassa