di Gianni Amelio
(Italia, 1982)
Sinossi
Milano, primi anni Ottanta. Emilio è un quindicenne figlio di una famiglia di intellettuali: il padre Dario, cinquantenne, insegna Lettere all’università, la madre è una traduttrice molto presa dal suo lavoro. Durante un week-end in campagna, Emilio conosce Sandro e Giulia, due ex allievi del padre, venuti a far visita al loro vecchio professore e a parlargli di qualcosa che il ragazzo non riesce a intuire. Pochi giorni dopo, però, tornando a casa in tram Emilio scopre che, nel corso di un attentato terroristico, Sandro è stato ucciso dalle forze dell’ordine. Sconvolto, decide di andare dai carabinieri per una deposizione spontanea, ottenendo come unico effetto quello di compromettere la posizione del padre. Di fronte al sospetto del figlio, Dario nega qualsiasi coinvolgimento nella vicenda, affermando di ignorare dove si trovi Giulia che, intanto, s’è resa irreperibile. Emilio, tuttavia, riesce a scoprire dove ha trovato rifugio la ragazza e, dopo averla pedinata, la sorprende mentre parla con Dario. A questo punto i rapporti tra padre e figlio precipitano: neanche una tardiva presa di coscienza di Dario delle proprie responsabilità di padre riuscirà a evitare che Emilio lo denunci alla polizia, provocando il suo arresto e quello di Giulia.
Analisi
Quello di Emilio non è un personaggio molto simpatico: raffigurandolo come introverso, diffidente, misogino, testardo, intelligente fino ad apparire indisponente con le sue risposte caustiche, Amelio costruisce un modello di adolescente che vuole spaccare il mondo in due, che tenta di separare nettamente il bene dal male, senza ammettere la possibilità che esistano sfumature intermedie che si sottraggano al suo giudizio implacabile. Escluso dal mondo degli adulti cui, tuttavia, pare non voler appartenere, Emilio è un osservatore, una spia munita di macchina fotografica pronta a inchiodare alle proprie responsabilità i “grandi”, arrivando a denunciarli. I giudizi di Emilio – e anche quelli dello spettatore, il cui sguardo è legato a quello del ragazzo – si basano, infatti, solo sulle apparenze, su una “realtà” che restituisce la verità illusoriamente. Questa fede assoluta nel dato fenomenico, che non lascia spazio all’interpretazione, è l’unico strumento di cui si possa avvalere chi, come Emilio, ha un estremo bisogno di certezze che maschera una pur legittima insicurezza, esasperata da una situazione politica e sociale dai contorni quanto mai confusi quale era quella dei cosiddetti “anni di piombo”. All’atteggiamento compromissorio di Dario, un intellettuale che fa del suo vivere continuamente in crisi con il mondo una sorta di stile di vita, Emilio oppone la richiesta, apparentemente paradossale per un adolescente, di un padre autoritario, giungendo fino al punto di cercare questa figura proprio in quello Stato cui coloro che gli stanno attorno guardano con diffidenza in un clima di generalizzato sospetto. Il ragazzo (piccolo “mostro” che preferisce denunciare il padre anziché vivere nell’incertezza) diviene il simbolo di quelle svolte autoritarie che spesso sono la risposta a un’eversione violenta di tanti regimi totalitari, che sanno di poter contare proprio su chi, come Emilio, rappresenta uno degli anelli più deboli della catena sociale. È probabile che esista anche una componente edipica nel rapporto triangolare che si instaura tra Emilio, Giulia e Dario: il ragazzo, infatti, è disposto ad ammettere solo la possibilità che Dario abbia con la giovane terrorista (o presunta tale) un rapporto di tipo ideologico, escludendo la possibilità che il padre sia rimasto accanto a lei per dei motivi che hanno a che fare con la sfera dei sentimenti. Questa ipotesi è rafforzata dall’assenza di una vera e propria figura materna nella vita di Emilio: la madre, assorbita dal suo lavoro, è letteralmente sorda alle richieste d’aiuto del figlio (nelle poche inquadrature in cui appare, gli volge sempre le spalle e indossa delle cuffie che le impediscono di ascoltarlo). Colpire al cuore è un film duro, pessimista, che non lascia illusioni allo spettatore sulla possibilità di colmare, razionalmente o con i sentimenti, la distanza tra due generazioni, quella dei cosiddetti “cattivi maestri” e quella dei figli costretti a scegliere di schierarsi con l’eversione violenta o con uno Stato impotente se non addirittura segretamente colluso con coloro che avrebbe dovuto combattere. Anche se non si tratta della cronaca di avvenimenti realmente accaduti – nel film c’è solo un fuggevole riferimento all’omicidio del giornalista Walter Tobagi – Colpire al cuore è sicuramente una delle pochissime pellicole italiane che sono riuscite ad affrontare, senza essere pesantemente retoriche o inutilmente didascaliche, il tema del terrorismo. (FC)
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