Dal telecomando al mouse
Luciano Arcuri
Bologna, il Mulino, 2008
Se la TV e i media in generale siano in grado di influenzare la vita dei giovani utenti è da molti anni oggetto di discussione tra esperti e gente comune.
Tra questi alcuni sostengono che i media abbiano forte capacità di condizionamento e altri li ritengono una delle tante esperienze a cui i bambini sono sottoposti senza per questo provocare comportamenti negativi.
In particolare la diffusione della televisione in tutte le case ha esposto i più giovani a una serie di messaggi che erano rivolti agli adulti piuttosto che a loro e, in effetti, numerose ricerche hanno evidenziato che i bambini per il 40% di tempo che stanno davanti alla televisione guardano programmi rivolti agli adulti, con punte del 90% per gli adolescenti.
Ma quale effetto ha questa esposizione sui minori, soprattutto per le trasmissioni con contenuto violento? Esistono varie posizioni al riguardo, alcune argomentate con teorie, altre dedotte da test ed esperienze dirette: si va dall’opinione dei produttori televisivi che considerano le trasmissioni specchio di ciò che accade nella società e quindi conseguenza della violenza reale; alla teoria dell’apprendimento sociale di Bandura, secondo il quale i bambini apprendono facilmente dall’esperienza visiva i comportamenti violenti; alla teoria del “trasferimento dell’eccitazione” di Zillmann, secondo il quale il comportamento appreso permane solo nei soggetti che hanno una predisposizione, mentre ha durata breve negli altri soggetti e tende a essere sostituito da altri comportamenti.
In ogni caso tutti condividono l’importanza dell’intervento degli adulti nell’aiutare i bambini a interpretare il significato delle scene cui assistono, perché sono diverse le interpretazioni che i bambini danno delle scene che vedono in relazione al loro grado di sviluppo: mentre i più grandi riescono a distinguere tra finzione televisiva e rappresentazioni della realtà, i più piccoli non distinguono i diversi piani.
Una recente ricerca svolta dall’autore in collaborazione con la Provincia di Treviso – che ha coinvolto oltre 1.400 bambini e ragazzi da 6 a 14 anni divisi in tre classi d’età omogenee e i loro genitori – ha rilevato come sia diversa la rappresentazione che i bambini e gli adulti hanno di come e quanto i minori fruiscono della televisione.
Gli adulti sovrastimano il tempo in cui loro sono presenti accanto ai figli nel vedere la televisione e tendono a sottostimare il tempo in cui i figli stanno davanti al televisore. Si conferma che sono più soli i ragazzi tra 13 e 14 anni, e di più i figli di genitori con bassa scolarizzazione; così come guardano programmi con contenuto violento più i maschi che le femmine. Sono le notizie di incidenti quelle che rimangono più impresse, e quelle in cui sono coinvolti i bambini e i minori in genere.
Si conferma fondamentale la capacità dei genitori di accompagnare i figli nell’utilizzo del mezzo televisivo e di armonizzare le altre fonti di informazione, come la costruzione di palinsesti di buona qualità e in grado di essere compresi dai bambini.
Ma ci sono altre dimensioni molto importanti dei mezzi di comunicazione che preoccupano genitori e studiosi: dai videogiochi alla navigazione in Internet, all’uso dei telefonini, alle chat-line. In ciascuna di queste situazioni i minori possono essere esposti a rischi, dal vero e proprio abuso o raggiro, a forme di dipendenza dai giochi e dalle proposte del marketing dei nuovi media.
È anche universalmente riconosciuta l’importanza per bambini e ragazzi di sperimentare attraverso i giochi e i media, scoprendosi capaci di agire e interagire attraverso questi mezzi. Come nel caso della televisione, non è pensabile sottrarre i giovani utenti all’uso di tali strumenti. È necessario invece che scuola e genitori diventino competenti in misura sufficiente per guidare i minori e aiutarli a orientarsi nell’uso di questi strumenti comprendendone utilità, limiti e pericoli.
Tutte le segnalazioni di libri sono pubblicate anche nella rivista Rassegna bibliografica: infanzia e adolescenza