di Lars von Trier
(Danimarca, 2000)
Sinossi
Selma, una giovane donna giunta negli Stati Uniti dalla Cecoslovacchia, lavora duramente ogni giorno, come operaia in una fabbrica, per guadagnare il denaro necessario a far operare chirurgicamente il figlio adolescente Gene, che si trova con lei: infatti il ragazzo, come la madre, è affetto da una malattia genetica che gli toglierà l’uso della vista. Selma sta diventando cieca, e questa nuova condizione le crea molti problemi sul luogo di lavoro, in cui è tormentata dal caporeparto Norman; la sua unica amica è Kathy, una donna più anziana di lei, che Selma chiama, simpaticamente, Cvalda. Selma ha molta passione per i musical, e nel tempo libero partecipa, appunto, alla messa in scena di un musical. Jeff, un coetaneo, la corteggia senza successo. Selma frequenta una coppia, Bill e Linda: lui è un poliziotto che ha ricevuto una cospicua eredità; lei, piuttosto bella, è una moglie viziata, abituata a spendere. Un giorno, Bill confida a Selma di essere rimasto senza soldi: lei, che lo ritiene un amico, gli confida a sua volta il suo segreto, cioè che sta diventando cieca, e che sta mettendo i soldi da parte per far operare Gene. Successivamente, Bill le chiede un prestito, richiesta che Selma non può soddisfare. Ben presto, la donna scopre che i soldi le sono stati rubati: solo Bill era a conoscenza della somma. Selma si reca, dunque, a casa di Bill, e si riappropria dei soldi: Bill minaccia Selma con la sua pistola d’ordinanza: ne segue una colluttazione, dall’arma parte un colpo che ferisce l’uomo; disperata, Selma, su richiesta di quest’ultimo, gli spara ulteriormente, e lo finisce colpendolo ripetutamente sul volto. Selma recupera i soldi: si reca all’ospedale e paga l’operazione di Gene. Viene, però, arrestata e sottoposta a un processo, durante il quale non fa nulla per giustificarsi, non racconta della vicenda del figlio, né spiega realmente per quale motivo stava mettendo i soldi da parte. Viene, quindi, condannata a morte per impiccagione. Kathy trova un nuovo avvocato, che si offre di riaprire il caso, e propone, per pagarlo, di utilizzare il denaro raccolto per l’operazione di Gene; Selma rifiuta e la sentenza di morte viene dunque eseguita.
Introduzione al Film
La difficile strada dell’avanguardia
Lars von Trier (nome d’arte di Lars Trier, Copenaghen, 1956) è uno dei più importanti e originali cineasti contemporanei: la sua opera ha scatenato, in eguale misura, grandi entusiasmi e profonde critiche; come, forse, ogni artista importante, è amato e vituperato. È importante precisare che le scelte stilistiche che von Trier opera alla metà degli anni ’90, confluite nei “dieci comandamenti” del suo manifesto denominato “Dogma 95”, sono il frutto di una ricerca iniziata almeno quindici anni prima. Se si osserva, ad esempio, un suo film del 1991, Europa (id., Danimarca/Francia/Germania/Svezia), si noterà, nella raffinata alternanza tra fotografia a colori e in bianco e nero, o nella combinazione tra esse, un’attenzione specifica per i problemi estetici legati alla composizione dell’inquadratura. Tali significativi presupposti indicano che il senso di improvvisazione che, in conseguenza dei parossistici movimenti della macchina da presa, sembra caratterizzare i film di von Trier da Le onde del destino (Breaking the Waves, Danimarca/Svezia/Olanda/Francia/Norvegia, 1996) a Manderlay (id., Danimarca/Svezia/Olanda/Francia/Germania/Gran Bretagna, 2005) è, in realtà, soltanto presunto, e che dietro ad ogni movimento di macchina vi è, probabilmente, una ponderata riflessione. In particolare, ciò risulta ne Le onde del destino, il primo, autentico film della “svolta” (ufficialmente, il primo film “Dogma” di von Trier è il successivo Idioti, Dogme 2 – Idioterne, Danimarca/Francia, 1998), in cui gli ancora misurati movimenti di macchina, la perdita di fuoco sugli oggetti che, ogni tanto, si genera, contribuiscono alla costituzione di un universo formale basato su ben definite occorrenze e dunque retto da una rigorosa armonia interna. L’indicazione di usare la macchina da presa esclusivamente “a spalla”; il rifiuto dell’illuminazione artificiale e dell’uso di figure retoriche arricchenti quali, ad esempio, il flashback; il divieto di apporre il nome del regista nei titoli di testa e di attivare i codici del cinema di genere (disposizioni del “Dogma 95” che sono state chiamate significativamente “voto di castità”), in una parola la tentata riconquista di una presunta “verginità” del cinema, sono alcuni tra i motivi per i quali si è voluta vedere, nel Dogma, da parte dei cinefili più che della critica, un’autentica rivoluzione del linguaggio cinematografico, paragonabile a quella della Nouvelle vague francese, peraltro richiamata – e minimizzata – da von Trier e soci nella premessa al decalogo. Ciò che, invece, rende improponibile il confronto tra Godard e von Trier è, nel cinema di quest’ultimo, la sostanziale assenza di elementi che scardinino, in modo realmente incisivo, la sintassi del linguaggio cinematografico: non vi è, cioè, in von Trier, niente di paragonabile ai falsi raccordi (jump cut), agli arditi scavalcamenti di campo, alle originalissime, complesse e armoniose panoramiche che distinguono il godardiano Fino all’ultimo respiro (A bout de souffle, Francia, 1960). Nel contesto di un percorso d’autore, abbiamo detto originale e interessante, che ha in Le onde del destino e Idioti i risultati probabilmente più alti, la ricerca della “verginità” del cinema si riduce, ben presto, in primo luogo a un’intelligente rielaborazione dei disdegnati codici di genere: Dancer in the Dark è, infatti, un musical in piena regola, con canzoni e coreografie; Selma è una commovente ragazza cieca, che, ritenendo una “colpa” l’aver trasmesso al figlio la malattia genetica, si “sacrifica” per lui lavorando instancabilmente, uccidendo Bill e, infine, rifiutando l’aiuto del nuovo avvocato: ed è superfluo sottolineare quanto le peripezie di una ragazza cieca e i temi della “colpa” e del “sacrificio femminile” siano costitutivi della letteratura d’appendice ottocentesca e, conseguentemente, del melodramma cinematografico, in particolare italiano.
Il ruolo del minore e la sua rappresentazione
Il “sacrificio femminile”
L’intera vicenda narrata in Dancer in the Dark, col suo drammatico decorso, ruota attorno al personaggio di Gene: infatti, è per l’amore nei confronti di quest’ultimo che Selma è costretta ad uccidere Bill, in modo da riappropriarsi del denaro necessario a far operare il figlio. Il personaggio di Gene è rappresentato, da von Trier, sicuramente con partecipazione personale e autenticità: il ragazzo appare introverso, chiuso in se stesso; non lo vediamo quasi mai sorridere; attraverso alcuni atteggiamenti (il fatto, ad esempio, di marinare la scuola insieme ad altri coetanei perditempo, o il porsi, con la madre, in conflitti che, a volte, sembrano quasi cercati) il film suggerisce che nell’animo di Gene alberga un disagio. Il suo sguardo dimesso e intristito da spessi occhiali trasmette la medesima malinconia espressa dal disadorno paesaggio di provincia in cui ha luogo l’azione; i colori di esso, anonimi e poco vivaci, sintetizzano efficacemente gli umori di una condizione umana in cui la serenità è assente, poiché domina l’ansia di contrastare la quotidiana minaccia dell’indigenza. Gene avverte su di sé gli effetti negativi di quest’ultimo spettro, ad esempio quando, nelle sequenze iniziali, Selma, per non crearsi obblighi, fatica ad accettare la bicicletta che Jeff intenderebbe regalargli. Ad una vita avara di quella spensieratezza che dovrebbe, invece, caratterizzare l’adolescenza, il ragazzo oppone la tendenza a chiudersi in un mutismo che appare doloroso in modo pungente; sarebbe stato interessante, dunque, osservare una più dettagliata descrizione, ed eventualmente l’evoluzione, di una personalità tratteggiata in modi, abbiamo detto, sicuramente sentiti e non superficiali: purtroppo, però, il film abbandona ben presto la figura di Gene e il suo malessere, per concentrarsi su Selma. Nondimeno, il ragazzo fa avvertire la centralità del suo ruolo attraverso la scelta, da parte di Selma, di dedicare ogni energia ed ogni pensiero alla costruzione del futuro benessere del figlio. La narrazione viene strutturata entro i parametri del tema del “sacrificio femminile”, aspetto che il cinema riprende dalla citata letteratura d’appendice dell’Ottocento (che in Italia ebbe i più significativi esponenti, probabilmente, in Francesco Mastriani e Carolina Invernizio [si veda l’esauriente antologia: Riccardo Reim, L’angelo e la sirena. Il doppio ruolo della donna nel romanzo d’appendice italiano, Roma 1998]). Ovviamente, è un cinema concepito come puro spettacolo popolare a fare uso di questo ed altri simili espedienti strappalacrime: in Italia, gli esempi più noti di questo ampio filone del cinema commerciale, che tanto successo ebbe negli anni Cinquanta, sono i melodrammi di Raffaello Matarazzo, insieme a quei tanti prodotti, di cui si sta perdendo memoria, spesso esclusivamente concepiti per una distribuzione locale (in particolare a Napoli). Si tratta di un paragone che non deve scandalizzare: von Trier, infatti, applica con precisione le norme caratterizzanti il tema prescelto – appunto il “sacrificio femminile” – per le quali il personaggio principale, in questo caso Selma, rinuncia a costruirsi una propria vita e una propria felicità per donare tutta se stessa, tutto il proprio tempo e le proprie energie, alla causa del figlio. Fin dalle primissime sequenze siamo, appunto, informati che Selma ha un corteggiatore, il giovane Jeff: con lui, però, la donna taglia corto: «Non voglio un boyfriend – gli dice – Io non ho tempo per i fidanzati». La rinuncia ad una felicità mondana richiama il tema del voto, che la fanciulla protagonista dei romanzi d’appendice (ma anche la Lucia de I promessi sposi) offre nelle austere mura di un convento: e similmente a tale “antenata”, Selma, perseguendo con abnegazione totalizzante la sua scelta altruistica, assume i tratti della santità. Come la santa visionaria, o la strega, Selma diviene, nella società a cui appartiene, un’estranea: le persone che la circondano non ne comprendono la natura e, nel caso specifico di Selma stessa, la grandezza dei sentimenti. Von Trier, dunque, descrive il minore rinunciando ad approfondirne i tratti realistici così ben abbozzati all’inizio del film, ma attraverso i sentimenti che la madre nutre nei suoi confronti, in una prospettiva, però, antirealistica, che vorrebbe coinvolgere emotivamente lo spettatore in virtù dell’attivazione di meccanismi drammaturgici ben collaudati: l’amore di Selma, tanto puro e illimitato, quanto incompreso dal mondo, la sprofonda in una solitudine che riesce a commuovere.
Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici
A guardar bene, il personaggio di Selma ricorda molto da vicino quello di Bess, la protagonista del citato Le onde del destino: in entrambi i casi, si tratta di personaggi femminili che scelgono di sacrificarsi e donare la propria vita per salvare quella di un congiunto (nel caso di Bess, il marito rimasto gravemente ferito in un incidente sul lavoro): la loro è un’incondizionata scelta d’amore, dominata da un altruismo puro. Si tratta di sentimenti assoluti, tipici del melodramma. La visione di Le onde del destino è consigliabile, poiché, affrontando un argomento simile, almeno idealmente, a quello di Dancer in the Dark, consente allo spettatore di farsi un’idea abbastanza chiara del percorso di von Trier. Sempre sul tema dell’altruismo, dell’amore per il prossimo, incondizionato, senza alcuna natura ideologica, vi è l’esempio altissimo di Europa 51 (Italia, 1952) di Roberto Rossellini. Costantino Maiani