di Peter Medak
(USA, Irlanda, 2000)
Sinossi
Il piccolo David Copperfield nasce sei mesi dopo la morte del padre. Gli anni della prima infanzia trascorrono sereni in compagnia di Mrs. Peggotty, la nurse, fino a quando sua madre Clara si risposa con Mr. Murdstone, un uomo arcigno e severo. Le crudeltà del patrigno nei confronti di David presto conducono alla tomba Clara. Dopo la morte della madre, David è costretto a lavorare in un magazzino del patrigno a Londra: qui conosce Mr. Micawber che lo protegge fino a quando non è costretto ad andare in prigione per debiti. Abbandonato a se stesso, David decide di recarsi a Dover presso la zia Betsy che lo affida a Mr. Wickfield, un avvocato suo amico. Gli anni passano sereni, e David, ormai uomo, è uno scrittore sulla soglia del successo: inconsapevole dell’amore provato da Agnes – figlia di Wickfield – sposa Dora Spenlow, che però si rivela donna frivola e poco adatta alla vita matrimoniale. Quando alcuni anni dopo Dora muore, David aiuterà Mr. Wickfield a difendersi dalle mire del viscido segretario Uriah Heep e, infine, sposerà Agnes.
Presentazione critica
“L’eloquenza delle cose esteriori è sfruttata dal Dickens come lo sarà ai giorni nostri dai registi di cinema, che isolano un oggetto, un particolare significativo per fargli dire quello che le parole non saprebbero”. Così Mario Praz, uno tra i maggiori anglisti italiani, descriveva nella sua Storia della letteratura inglese la particolarissima arte dickensiana della descrizione attraverso notazioni minute di ambienti e personaggi, e della narrazione per mezzo di intrecci complessi ma al tempo stesso prevedibili nella loro meccanicità. Tali caratteristiche fanno delle opere dello scrittore delle vere e proprie sceneggiature bell’e pronte da usare, forse tanto ricche di avvenimenti rocamboleschi da risultare impossibili da ridurre all’interno dei tempi cinematografici e talmente infarcite di particolari da essere ridondanti nella trasposizione su pellicola. Prescindere dagli aspetti formali dei romanzi dai quali sono tratte le sceneggiature delle moltissime traduzioni cinematografiche delle opere di Charles Dickens sembrerebbe dunque impossibile: probabilmente fu proprio la preoccupazione di doversi confrontare con un testo dalle spiccate caratteristiche cinematografiche a spingere Gorge Cukor ad avvalersi, per il suo David Copperfield, del contributo dello scrittore inglese Hugh Walpole per la sceneggiatura – che, ovviamente, è un condensato della mole romanzesca originale – e del giovanissimo attore Freddie Bartolomew, anch’egli inglese, per la parte di David bambino. Ne risultò un film hollywoodiano con tutte le caratteristiche di certo cinema didascalico inglese, che regge ottimamente il confronto con l’originale letterario nel ritrarre una galleria di personaggi, alcuni dei quali restano memorabili perché fedelissimi alle descrizioni dickensiane: Micawber, zia Betsy, Mr. Dick, Uriah Heep, Mrs. Peggotty, Miss Murdstone, sono interpretati da attori scelti con tale sapienza da farci supporre che, paradossalmente, siano stati proprio loro i modelli per le illustrazioni che a metà dell’Ottocento accompagnarono la prima edizione del romanzo. Ciò in cui il film sembra non riuscire a seguire il romanzo, invece, è la capacità di ritrarre efficacemente, oltre che le singole figure che animano il racconto, anche il contesto sociale che fa da sfondo alle vicende del giovane David: parti essenziali del romanzo come quella sulla sua rigida educazione scolastica (con l’odiosa figura del maestro Creakle), o un’altra relativa al lungo periodo di lavoro in un magazzino di Londra, risultano imperdonabilmente ridotte di efficacia o addirittura tagliate irrimediabilmente dalla sceneggiatura. Così, quel valore di testimonianza storica di un’epoca che hanno i romanzi dello scrittore vittoriano – e ancor più il David Copperfield, nel quale, per larghi tratti Dickens riecheggia la propria infanzia resa difficile dai debiti contratti dal padre, del quale il personaggio di Micawber è un’affettuosa rievocazione – si perde nelle pieghe di un film che vive solo grazie ad alcuni momenti decisamente felici: tutti gli aspetti del racconto più crudamente drammatici, la denuncia delle ingiustizie subite soprattutto dai più deboli (i poveri, i bambini, le donne) in una società in vertiginoso ma cieco sviluppo, restano occultati a beneficio di una visione esclusivamente patetica della vita sfortunata del protagonista. Il film accentua, in tal modo, più o meno involontariamente, il carattere sostanzialmente remissivo di David, che sembra accettare, molto più supinamente di quanto non avvenga nel romanzo, le rocambolesche disavventure e gli altrettanto inaspettati colpi di fortuna che la vita gli propone. La materia del racconto ne esce, così, sostanzialmente infiacchita, priva di quell’equilibrio sapiente impostole dal suo primo creatore che riusciva a coniugare armoniosamente tanto l’ideologia positivista e progressista del tempo, sostanzialmente individualistica, quanto la pressoché illimitata fiducia nella provvidenza tipica di un atteggiamento cristiano di chiara matrice puritana. Memorabili sono invece alcune scene che l’uso del mezzo cinematografico riesce a rendere in tutta la loro vividezza: l’arrivo a Londra e l’incontro con la famiglia del bizzarro Mr. Micawber, quello con i Peggotty all’interno della nave-abitazione sulla spiaggia, il volo dell’aquilone di Mr. Dick, il confronto tra la zia Betsy e Mr. Murdstone, l’inquietante dialogo di David con l’untuoso Uriah Heep al lume di candela. In questi casi emerge al meglio l’abilità di un grande regista quale fu Cukor nel descrivere con sapiente ambiguità situazioni e personaggi che restano impressi indelebilmente nell’immaginario dello spettatore. Fabrizio Colamartino
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