di Maria Luisa Bemberg
(Argentina, 1993)
Sinossi
Argentina, anni Trenta. Nel villaggio di San José de los altares la vedova Leonor si dedica all’educazione della propria figlioletta Charlotte affetta da nanismo. La donna si ritrova alle prese con una realtà bigotta e conformista che tende a individuare in Charlotte il “diverso” da emarginare o, tutt’al più, da trattare con condiscendenza ed un malcelato senso di superiorità. Donna Leonor, caparbiamente, decide di opporsi a tutto ciò imponendo agli abitanti del villaggio di trattare la figlia senza considerare il suo handicap. In questa sua opera trova in Ludovico d’Andrea, affascinante scapolo di mezza età, benestante e bon vivant, un alleato: l’uomo conversa con la ragazzina descrivendole i suoi viaggi all’estero, la sostiene nella passione per la musica, si incarica di procurare un cavallo adatto alla sua modesta statura. Poco a poco l’uomo si innamora di Charlotte (che, nel frattempo è cresciuta, tranne che in altezza) e, quando dopo un lungo viaggio all’estero capisce di non poter vivere senza di lei, decide di chiederne la mano a donna Leonor che, superato un primo momento di stupore, acconsente. Quando muore l’ormai decrepito sindaco di San José del los altares, donna Leonor, che ormai ha assunto un ruolo di primo piano nella vita sociale del villaggio, propone come successore il genero Ludovico: la felicità coniugale di Charlotte viene coronata, così, dall’elezione del marito. Un giorno, tuttavia, all’arrivo di un circo equestre nel villaggio, donna Leonor mette in guardia Ludovico, ammonendolo di non portare Charlotte allo spettacolo. Il divieto, tuttavia, acuisce la curiosità della ragazza che, nottetempo, si reca nei pressi del tendone restando affascinata da quel mondo popolato da strani personaggi tanto simili a lei. Partirà insieme agli artisti del circo lasciando la madre e Ludovico in preda allo sconforto.
Presentazione del film
Pervaso da quell’atmosfera enigmatica tipica del cosiddetto “realismo magico”, la corrente di pensiero che ha caratterizzato tanta parte della letteratura e del cinema sudamericani degli ultimi decenni, Di questo non si parla è il risultato dell’incontro tra la visionarietà surreale dello scrittore argentino Julio Llinás, dal cui romanzo omonimo è stata tratta la sceneggiatura, e la sensibilità femminile della regista María Luisa Bemberg nell’affrontare una tematica forte come quella della diversità e del conformismo sociale. È solo apparentemente stridente il contrasto tra questi due registri, tra lo sguardo orgogliosamente critico della Bemberg, che mette alla berlina i vizi della borghesia del proprio paese, bigotta e benpensante quanto altra mai, e la visione nostalgica di quello stesso mondo in quanto dimensione mitica e affascinante. Queste due opposte tensioni, che sfociano in una rappresentazione grottesca delle vicende narrate, si incarnano perfettamente nelle due figure principali (oltre a quella di Charlotte) della pellicola: quella di donna Leonor, vedova dal carattere pragmatico e dal forte temperamento, capace di tenere testa a un’intera cittadina affinché la propria figlia venga trattata con il rispetto che si deve a chiunque altro e quella di Ludovico d’Andrea, uno scapolo di mezza età, benestante, grande seduttore che, invece, si innamora della giovane protagonista perché in lei vede quella purezza d’animo e quella “bellezza” che non è riuscito a trovare in nessuna altra donna, malgrado abbia girato il mondo in lungo e in largo facendo strage di cuori. Nel mezzo, un microcosmo provinciale e una serie di figure grottesche che echeggiano situazioni e personaggi di stampo felliniano: a incominciare dalla casa di appuntamenti nella quale tutti gli uomini del paese si ritrovano all’insaputa delle mogli, alla figura del sindaco, un vecchietto arzillo che non vuole rinunciare ai piaceri del sesso, alle beghine del paese pronte a emarginare coloro che non si conformano ai canoni della normalità borghese, per finire con il personaggio di Charlotte, nana dalla grazia innata attorno alla quale ruota l’intera vicenda. Le sequenze in cui la protagonista è in groppa a un cavallo bianco, vere e proprie visioni che provocano l’innamoramento di Ludovico e l’apparizione del circo, “non-luogo” simbolico che il cinema - e non solo - ha spesso assunto come emblema della diversità (si vedano, ad esempio, film diversissimi come La strada di Federico Fellini, Freaks di Tod Browning e The Elephant Man di David Lynch) aggiungono un tocco magico e suggestivo ad un racconto sapientemente in bilico tra polemica sociale e fascinazione fiabesca.
Il ruolo del minore e la sua rappresentazione
Il titolo Di questo non si parla offre due chiavi interpretative opposte sul significato del film: da un lato sintetizza l’atteggiamento maligno degli abitanti di San José de los altares, sempre pronti a spettegolare sulle disgrazie altrui senza avere il coraggio di esprimere chiaramente e schiettamente il proprio pensiero; dall’altro, invece, è proprio ciò che donna Leonor risponde al parroco del paese quando costui tenta di parlarle dell’handicap di Charlotte e di come certi suoi atteggiamenti abbiano provocato lo scandalo tra i benpensanti (per vendicarsi delle maldicenze la donna ha distrutto e successivamente sepolto dei nanetti di terracotta che decoravano il giardino di una delle bizzoche del paese). Quello di donna Leonor è un comportamento che soltanto a uno sguardo superficiale può apparire contraddittorio: a differenza dei propri compaesani che sparlano alle sue spalle ma poi non hanno il coraggio di dirle in faccia ciò che pensano, ella non solo nega l’handicap della figlia rifiutandosi di parlarne ma arriva a confutare la realtà dei fatti considerandola in tutto e per tutto uguale agli altri ragazzini. Anzi, donna Leonor fa di tutto per dare a Charlotte un’educazione di prim’ordine (lezioni di lingue, di pianoforte, di equitazione, così come si conviene a ogni ragazza che debba, prima o poi, fare il suo debutto in società) e si compiace dei successi della figliola davanti a tutto il paese, come in occasione di un concerto di beneficenza durante il quale la ragazzina si mette in evidenza per la grande bravura. Questo atteggiamento, tuttavia, produce degli effetti imprevedibili: vietando a chiunque di accennare alla diversità di Charlotte, donna Leonor mette in campo un meccanismo di negazione e dunque quasi di cancellazione dell’identità della ragazza. Charlotte viene “accettata” nel microcosmo borghese del paese, ma non in quanto tale, bensì come “prodotto” della ferrea volontà della madre (che, ad ogni occasione la protegge dai giudizi altrui ricordando a tutti che sul conto della figlia esiste una sorta di tabù), dunque spogliata della propria reale identità (ne è un indizio l’insistenza con cui donna Leonor ricorda ai propri amici di chiamare la ragazzina Charlotte e non Carlotta, quasi che la francesizzazione del nome possa ingentilirne l’aspetto a dire il vero alquanto goffo). Se il matrimonio con Ludovico sembra confermare e rafforzare la supposta normalità - anzi l’eccezionalità - di Charlotte sostenuta strenuamente da donna Leonor, esso non è altro che un ulteriore abbaglio: Ludovico, infatti, ha un atteggiamento più da padre che da vero e proprio innamorato. L’uomo, che afferma di aver trovato nella ragazzina quegli ideali di purezza e ingenuità alla cui ricerca s’era dedicato, inutilmente, per tutta la vita, è ancora il produttore di una visione idealizzata di Charlotte che, pura e ingenua lo è certamente ma non così perfetta come Ludovico è pronto a giurare davanti a tutti e contro ogni evidenza. Si tratta in ogni caso di due visioni viziate da un eccesso di affetto, abbagliate dall’amore, destinate a scontrarsi con la dura realtà di una presa di coscienza, tardiva ma definitiva, da parte di Cahrlotte, della propria reale natura.
Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici
Il film si presta a essere utilizzato nell’ambito di attività didattiche tese a mettere in evidenza la necessità di riconoscere l’handicap senza tuttavia discriminarne i portatori: il film è utile per comprendere che il rispetto della diversità non passa attraverso la negazione della stessa. Molti sono i film che trattano questo argomento nei modi più diversi: si va dai toni allegorici di Il ragazzo dai capelli verdi di Joseph Losey a quelli grotteschi de Il tamburo di latta di Volker Schlöndorff a quelli decisamente realistici di The Mask - Dietro la maschera di Peter Bogdanovich.