a cura di Marco Dalla Gassa e Fabrizio Colamartino
Laura Halilovic è una giovane cineasta di origini rom che è salita agli altari della cronaca cinematografica grazie al suo primo documentario. Di impronta autobiografica, Io, la mia famiglia rom e Woody Allen (Italia, 2009, 50') narra la storia della sua famiglia che abita in un quartiere popolare alla periferia di Torino. Il racconto in prima persona esplora i cambiamenti e le difficoltà della nuova vita stanziale affrontando i contrasti e le incomprensioni che fin da bambina accompagnano Laura nelle relazioni con i Gagè, tutti quelli che non sono rom. Attraverso i ricordi dei suoi familiari, tra cui l'anziana nonna che ancora vive in un campo, le fotografie e i filmati del padre che documenta la vita quotidiana della piccola comunità, la regista ci conduce dentro una realtà che va oltre qualsiasi stereotipo o semplificazione, affrontando da una parte temi scottanti e purtroppo sempre attuali come gli sgomberi e l'espulsione dei cittadini di origine romani dalle grandi città e dall'altra tracciando le possibili strade di normalità e serenità che possono schiudersi anche alle famiglie nomadi, se solo le istituzioni e le comunità superassero diffidenze e generalizzazioni. Il documentario, Premio UCCA Venticittà al Bellaria Film Festival 2009, è anche - se non soprattutto - un omaggio al cinema, ad un mezzo di espressione che riesce ad essere ancora uno straordinario veicolo di passione e uno strumento di conoscenza anche per le nuove generazioni. In questi ultimi mesi, oltre a imbastire nuovi progetti di film e "farsi le ossa" in alcuni set cinematografici, la Halilovic è stata anche co-curatrice del programma Rom città aperta realizzato durante lo scorso Sottodiciotto Filmfestival - Torino Schermi Giovani, su iniziativa del Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza. CNDA: Ci può raccontare come è nata la sua passione per il cinema? Laura Halilovic: Ho scoperto il cinema a nove anni guardando Manhattan di Woody Allen. Da quel momento mi sono innamorata non solo di quel film ma anche del suo autore e interprete. Ho voluto vedere tutte le sue opere e la mia passione non ha fatto che crescere. In più - come si può vedere nel documentario - mio padre da giovane faceva delle riprese con una telecamera e le faceva rivedere alla sera in famiglia. Insomma da ragazzina divoravo tutti i film che passavano in Tv, almeno quelli che puoi guardare da bambina. C.: E come mai ha deciso di passare dal ruolo di spettatrice comune a quello di regista, realizzando Io, la mia famiglia rom e Woody Allen? L.H.: Il film nasce dall'ennesima scena di razzismo cui ho assistito e che ha coinvolto non me ma due ragazze romene. Stanca e arrabbiata per come erano state trattate, ho deciso che era arrivata l'ora di far sentire la voce dei rom, o almeno di provarci in qualche modo. C.: Come hanno reagito i suoi genitori quando hanno saputo che voleva girare un film sulla sua e la loro storia? L.H.: Per i miei genitori l'idea di girare un film sembrava una cosa bella e avere una figlia ventenne regista li ha resi orgogliosi e felici. Poi ciò che più contava anche per loro era che venisse raccontata la vita dei rom come è realmente, perché in TV e nei giornali si leggono delle cose false e infondate. Ho scelto la mia storia perché è quella che conosco meglio e poi perché volevo raccontare la vita dei miei genitori, di mio padre e del suo lavoro, di una famiglia che - come molte famiglie rom - è normalissima. C.: Perché scegliere il cinema e il video per "sfogare" questo desiderio di narrazione? Quali sono i vantaggi e gli svantaggi che offre questo media? L.H.: Tutti guardano la TV, tutti credono alla TV e ai media, la TV fa il lavaggio del cervello. Perché allora non utilizzare lo stesso mezzo - che è diretto e convincente - per mostrare veramente in che condizioni vivono i rom, quali sono i loro sentimenti e le loro ragioni? C.: Un aspetto centrale del film riguarda la questione abitativa, il problema degli sgomberi dei campi, ma anche la possibilità che lei ha avuto di trasferirti dal campo ad un appartamento. L.H.: Ho letto pochi giorni fa che è stato sgomberato l'ultimo campo a Roma e molte famiglie sono state costrette ad andare a vivere fuori dalla capitale. Una situazione ancora peggiore si sta verificando in Francia con gli ultimi interventi di Sarkozy. Mi piacerebbe che il sindaco di Roma, il presidente francese e chiunque decida politiche così assurde subisse per una volta la stessa sorte: un bel giorno alle sei del mattino viene svegliato e gli viene buttata giù la casa, costretto a trasferirsi non si sa dove in poche ore, portando con sé solo pochi effetti personali. Come si sentirebbe? Che reazione avrebbe? Da quale giustizia si sentirebbe tutelato? Gli sgomberi sono una di quelle cose che mi fa montare la rabbia. Tutti si lamentano che i rom non riescono a socializzare con le persone. Per forza! Come fanno a socializzare se li mandano continuamente via da un luogo all'altro, se ti fanno sentire esclusi, diversi, non accettati? Come fanno i rom a mandare i figli a scuola o a fare amicizia con il vicinato se vivono lontani chilometri dalle case, dai quartieri e dalle scuole? La ragione è semplice: la comunità vuole così, la gente vuole così e i politici li accontentano. Vorrei solo che vivessero in prima persona uno sgombero e poi capirebbero. Per quanto riguarda la mia situazione, noi siamo stati più fortunati: non abbiamo subito uno sgombero ma abbiamo deciso di andare a vivere in un appartamento perché ci è stata data la possibilità di scegliere. Ad altri questa possibilità non viene offerta. C.: Tra tutti i "personaggi" del documentario, ci pare che lei dedichi una particolare attenzione (e soprattutto un grande affetto) a sua nonna. Che ruolo ha nella sua vita e quanto è stata importante nell'incoraggiarla nel suo progetto? L.H.: Sono cresciuta in un campo. La maggior parte della mia infanzia l'ho trascorsa con i miei nonni. E mia nonna è un punto di riferimento, un esempio, una voce da ascoltare. C.: Come mai sceglie, nel film, di scrivere una lettera autobiografica a Woody Allen? L.H.: E come un bambino con il suo primo amore. Woody Allen è la mia piccola scuola, sono cresciuta con i suoi film. Come si vede nel documentario, sono andata a Venezia per incontrarlo. La lettera è vera, non è una finzione narrativa, l'ho scritta davvero. L'idea di poter comunicare con lui è per me un sogno. Forse irraggiungibile, visto che non mi ha ancora risposto! (ride). C.: Dopo il successo del film è cambiato il suo rapporto con la comunità rom e quello con i gagé? L.H.: Devo dire di no. È vero che quando giri un film ottieni più rispetto in confronto a prima, ma non sei diverso. Non mi sento diversa, resto con i piedi ben piantati per terra. Per me non è cambiato niente. E non credo sia cambiata nemmeno l'immagine che gli altri hanno di me. Sono sempre stata vista come quella un po' diversa. Quella che si veste all'occidentale, che lascia un po' le tradizioni da parte per adeguarsi a un mondo, beh a un mondo in cui alla fine siamo tutti attori. È come se recitassi una parte, una parte che mi è stata cucita addosso perché sono tra due fuochi e tra due mondi, anche se non mi ci trovo bene. Non mi è mai piaciuto recitare. Preferisco stare dietro la videocamera e non davanti. C.: Quali sono state le reazioni al film che le sono piaciute di più e quali quelle che l'hanno meno soddisfatta? L.H.: Per la verità negli incontri a scuola, tante volte ho ascoltato domande da parte dei ragazzi e delle ragazze che mi hanno buttato giù di morale. Troppe frasi fatte, troppi giudizi già espressi prima di incontrarmi, troppa superficialità. Ma è altrettanto vero che sono state molte le soddisfazioni, specie quando s'incontrano persone che si appassionano alla tua storia e vedi che vogliono sapere, sono curiose e attente nei tuoi confronti. C.: Quali sono i suoi progetti futuri? Continuerà a lavorare in ambito cinematografico? L.H.: In effetti sto lavorando ad un nuovo film. Lo sto già scrivendo. Ma il vero regista non anticipa mai nulla dei suoi futuri lavori! (ride). Quello che posso dire è che s'intitolerà Profumo di pesche. (Crediti foto)