Everything Put Together - Tutto sommato

19/05/2010 Tipo di risorsa Schede film Temi Famiglie e relazioni familiari Titoli Rassegne filmografiche

di Marc Forster

(USA, 2000)

Sinossi

La giovane Angie è incinta, e vive, insieme alle amiche Judith e Barbie, entrambe nella sua stessa condizione, il periodo trepidante e felice che precede la nascita di un figlio; per Angie si tratta della prima maternità, mentre Barbie, più anziana, ha già tre figli. Con la madre, che vive in un’altra città e pare totalmente assorbita dal lavoro, Angie ha solo sporadici contatti telefonici. Tra le amiche, Judith è la prima a partorire, e chiede ad Angie, che l’ha assistita al momento della rottura delle acque, di fare da madrina al bambino. Il momento del parto si avvicina: Angie prepara la cameretta e il lettino per il suo bambino. Quando il bimbo viene al mondo, tutto sembra essere andato per il meglio: ma il giorno successivo alla nascita, il piccolo, a cui è stato messo nome Gabriel, muore improvvisamente per un arresto cardiaco. Tornata a casa dall’ospedale, Angie è disperata; il suo rapporto col marito, Russ, fino a quel momento ottimo, inizia ad entrare in crisi. La ragazza cerca, disperatamente, una spiegazione che non esiste. Profondamente turbata, inizia a comportarsi in modo strano: una sera, Russ la trova sola, in piedi, nel buio della cameretta che era stata preparata per il bimbo, adesso vuota di tutto. Gli amici, con i quali, fino ad un attimo prima della tragedia, Angie aveva diviso ore allegre, iniziano ad allontanarsi: la ragazza si presenta al battesimo del figlio di Judith, ma quest’ultima ha scelto, all’ultimo momento, un’altra madrina; Bill, il marito di Judith, comunica a Russ, con molto imbarazzo, la sua decisione di interrompere i rapporti tra le loro due famiglie. Sempre più turbata, Angie vaga in un negozio di articoli per la prima infanzia: vi trova Barbie, e l’atteggiamento di quest’ultima, come quello di Judith in un incontro precedente, è formale e imbarazzato. Alla fine, stravolta e annebbiata, Angie ha un incidente stradale. Passa un po’ di tempo: Angie risente casualmente Judith al telefono: le dice di essere appena tornata da una vacanza e aggiunge di essere incinta. Judith chiama immediatamente Barbie: l’atteggiamento delle due donne, torna, improvvisamente, cordiale ed entusiasta; Angie le ascolta al telefono, con espressione seria, impassibile.

Introduzione al Film

Un “Dogma” addomesticato Il nome di Marc Forster, regista svizzero quarantenne formatosi alla New York University’s Film School, dice, probabilmente, ben poco sia al pubblico dei cinefili incalliti, sia a quello dei semplici appassionati: il suo lavoro più noto, Neverland – Un sogno per la vita (Finding Neverland, Gran Bretagna/USA, 2004) è un’originale biografia di James Matthew Barrie, l’autore letterario che creò Peter Pan. Lo spettatore italiano è, probabilmente, vittima di un pregiudizio, quando coltiva l’abitudine a ritenere che il cinema americano sia esclusivamente disciplinato in ben precise forme della rappresentazione (il genere spettacolare con dovizia di effetti digitali, ad esempio) che precludono l’approfondimento su aspetti apparentemente meglio deputati alla sperimentazione, come l’indagine sul quotidiano, la descrizione, non superficiale, della complessità dei sentimenti. In realtà, ogni anno, solo una parte della produzione americana giunge nelle sale cinematografiche del nostro paese: essa è variegata, spesso insolita nei suoi aspetti più indipendenti, rivela gemme insospettabili, come i primi film di Forster, peraltro distribuiti in Italia, Monster’s Ball – L’ombra della vita (Monster’s Ball, USA, 2002) e, appunto, questo Everything put together – Tutto sommato. Dal punto di vista dei codici visivi, il film rivela l’apertura nei confronti di certe famigerate tendenze che, in Europa, alla fine degli anni Novanta, hanno scosso il cinema, e oggi sono un po’ attutite: l’immagine sgranata, certi movimenti secchi della telecamera – il film è girato in video – rivelano, appunto, l’osservazione dei film di Lars von Trier, del suo gruppo “Dogma 95” e dei lavori dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne. Osservazione che è particolarmente attenta all’inizio, nell’affollata festa in piscina per il compleanno di Michael, uno dei figli di Barbie: proprio come in Idioti (Dogme 2 – Idioterne, Danimarca/Francia, 1998) di von Trier, la sequenza vive di frammenti caratterizzati dal decentramento, forzato e un po’ isterico, del soggetto ripreso, da un uso paratattico della scala dei piani, da ellissi significative, che rendono la narrazione leggermente meno intelligibile. Subito dopo, tuttavia, i movimenti della telecamera si fanno controllati, le riprese sono spesso fisse, ma ciò che compare nell’inquadratura è obliquo, non perpendicolare rispetto ai lati verticali del quadro; l’immagine resta sgranata, ma al suo interno non regna il finto caos tipico del “Dogma”, bensì una scenografia molto curata, che, comunque, riesce a richiamare le ruvidezze del quotidiano. Si crea un perfetto equilibrio tra la volontà di sperimentare e l’esigenza di narrare in modo tradizionale: la telecamera che sta addosso ad Angie si muove, con fluidità, in un mondo ordinato, geometrico; ne deriva una più ampia scorrevolezza di stile da cui sono assenti quei procedimenti del “Dogma”, spesso fastidiosi, che fanno percepire la presenza del dispositivo. Si tratta di un’intelligente piegatura dello stile del “Dogma” alle ragioni del cinema mainstream, in cui, a nostro avviso, la ricerca del suddetto equilibrio è un’operazione sperimentale ancor più interessante di quelle del “Dogma” stesso, contenute nel famoso decalogo redatto da von Trier e compagni. Non sempre tale equilibrio è mantenuto: quasi al termine del film, quando Angie si perde nel livido labirinto di un deposito sotterraneo, il regista opta per uno slow motion in postproduzione che vorrebbe conferire ancor più originalità. Forster, tuttavia, si limita ad applicare gli effetti in modo abbastanza convenzionale, e la figura della donna risulta intermittente ai colori, alle sgranature gettate negli occhi dello spettatore, come in un videoclip senza pretese.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Il valore della maternità Everything put together – Tutto sommato può consentire una proficua riflessione sul significato della maternità. Possiamo dividere il film in tre fasi: l’attesa della nascita; il parto, col quasi immediato evento traumatico della morte del piccolo; il drammatico periodo successivo, con le ripercussioni della tragedia sull’equilibrio psichico di Angie e sulla sua vita matrimoniale e sociale. Tra i due atteggiamenti, nei confronti della maternità, individuati da Joan Raphael-Leff all’inizio degli anni Novanta (e descritti in: Alda Scopesi, Paola Viterbori, Psicologia della maternità, Roma 2003, p. 54) possiamo senz’altro inserire Angie nella tipologia cosiddetta “facilitatrice”: «Le donne del primo tipo – scrivono Scopesi e Viterbori – più facilmente si abbandonano allo sconvolgimento emotivo rappresentato dalla gravidanza, mentre quelle del secondo (la tipologia “regolatrice”) tendono a contrapporsi ad esso». Angie vive la sua gravidanza con entusiastica trepidazione, investendo una percentuale assai significativa delle proprie risorse affettive sul nascituro: durante l’attesa è già vivo ed intenso l’amore per il bimbo che ella porta in grembo. Non sembra esserci spazio per sentimenti ambivalenti: quando il piccolo viene al mondo, la gioia di Angie è ben espressa dalle parole con cui lo accoglie («Sono già innamorata! …Dio, quanto lo amo!»), un trasporto che sembrerebbe escludere malesseri successivi, come le lievi forme depressive denominate baby blues, o la più incisiva depressione post partum. Il toccante entusiasmo di Angie e l’espressione così genuina e immediata del suo affetto rimarcano con prepotenza l’incommensurabile valore della maternità, indicazione fondamentale quanto mai nel nostro mondo, squassato dalla terribile consuetudine degli omicidi in culla: tragedie di cui i media, forse, non restituiscono con adeguatezza l’orrore. Per Angie, dunque, la gravidanza è esclusivamente motivo di gioia: durante tale esperienza si compiono determinati riti che consentono alla futura mamma di iniziare ad esprimere la propria dedizione al figlio, prima che egli nasca, curando ciò che lo riguarderà da vicino, ad esempio l’ambiente: nella prima parte, infatti, il film dedica più di un punto all’attento ed emozionante arredamento della cameretta. Angie desidera amare ed essere riamata dalla sua creatura: se consideriamo il modello teorico elaborato, nell’ambito della psicologia sociale, da L. W. Hoffman e J. D. Manis (1979) «che individua nove categorie di valutazione relative alle funzioni svolte dai bambini o ai bisogni dei genitori che questi possono soddisfare» (Psicologia della maternità, cit., p. 46) le motivazioni che spingono Angie alla maternità sembrano riguardare esclusivamente il bisogno di sviluppare legami affettivi primari: il bisogno, cioè, di «soddisfare la richiesta di intimità e di affetto di un bambino e di essere oggetto degli stessi sentimenti» (Psicologia della maternità, cit., p. 46). Il film, inoltre, dedica spazio al rapporto, arido, tra Angie e la madre, una “donna in carriera” che, nei confronti della figlia, esprime ben poco interesse e un contegno formale: per una donna, la decisione di diventare genitrice può essere determinata dal bisogno di dimostrare che ella sa assolvere ai compiti di tale ruolo in modo migliore rispetto alla propria madre. Tuttavia, in Everything put together – Tutto sommato l’affettazione che la madre esprime nei confronti di Angie pare più che altro assolvere a una funzione drammaturgica, ossia far apparire ancor più prezioso l’amore che accende la stessa Angie verso il piccolo Gabriel e dunque ancor più traumatico il percorso che attende la ragazza dopo la morte di questi. Tornata, infatti, a casa dall’ospedale, Angie vivrà una devastante sofferenza interiore che minerà il suo equilibrio e la condurrà sulla soglia della follia: in più di un punto il film rappresenta con estrema efficacia l’imbarazzo che Judith e Barbie provano incontrando Angie: le amiche di sempre finiranno per voltarle le spalle, scansandola come se ella portasse con sé una maledizione. Dunque, il piccolo Gabriel assume un ruolo saliente, poiché il suo tragico destino smaschera ipocrisie e vigliaccherie tipiche di molti rapporti umani.

Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici

Everything put together – Tutto sommato si presta perfettamente ad essere utilizzato per riflettere sul valore della maternità, e sulle responsabilità che essa porta con sé. Potrebbe sicuramente essere interessante un confronto con un bel film del passato, Alle soglie della vita (Nära Livet, Svezia, 1957) di Ingmar Bergman in cui, come in parte nel film di Forster accade, l’attenzione si concentra su tre giovani donne che, in una clinica ginecologica, attendono di partorire. L’interessante documentario Sono incinta (Italia, 2004) di Fabiana Sargentini, consiste in una serie di rapide interviste, a uomini, sulle loro reazioni al momento della comunicazione, da parte della partner, di essere in attesa di un bambino. Una poeticissima descrizione di un parto, infine, è nel cortometraggio ЖИЗНЬ (Vita, Armenia, 1993) in cui il regista sperimentale Artavadz Pelesjan associa alle tenere immagini di una giovane donna sul punto di dare alla luce il suo bimbo, le note dell’Hostias del Requiem di Giuseppe Verdi. Everything put together – Tutto sommato è consigliato ad un pubblico di adolescenti e adulti, non ad un pubblico di bambini. Costantino Maiani  

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