Evil Il ribelle

30/03/2010 Tipo di risorsa Schede film Temi Aggressività e violenza Titoli Rassegne filmografiche

di Mikael Håfström

(Svezia, 2003) 

Sinossi

Svezia, anni Cinquanta. Erik Ponti, sedici anni, studente all’ultimo anno di liceo con un carattere eccessivamente violento, viene espulso da tutte le scuole pubbliche del paese dopo l’ennesimo pestaggio ai danni di un compagno. In realtà il ragazzo, che è orfano di padre, viene sottoposto quotidianamente a punizioni corporali dal severo patrigno che la madre non riesce a contrastare. Venduta una parte dell’arredamento del proprio appartamento, la madre iscrive Erik presso una prestigiosa scuola privata nella quale vige una rigida disciplina interna gestita dagli stessi studenti organizzati in gerarchie in base alla loro provenienza nobiliare o alla ricchezza. A capo dei “nonni” c’è l’altezzoso Silverhielm che prende di mira Erik a causa delle continue insubordinazioni da parte del ragazzo all’assurdo sistema di punizioni e alla sua amicizia con Pierre, un ragazzo dall’indole pacifica, seguace della nonviolenza che riesce a convincere il nuovo arrivato della bontà delle proprie convinzioni. Erik decide, così, di chiudere con il suo passato violento, anche perché ha scoperto l’amore con Marja, una giovane inserviente dell’istituto. Ma non è facile: le provocazioni di Silverhielm e della sua banda sono sempre più gravi (perquisizioni a sorpresa delle stanze, gavettoni a base di escrementi, punizioni corporali in pubblico) e a nulla serve appellarsi al corpo docente, indifferente o colluso con i prepotenti ad eccezione del professore di educazione fisica e di quello di biologia. Quando Pierre abbandona l’istituto in seguito all’ennesimo pestaggio e Marja viene licenziata a causa della loro relazione (il regolamento dell’istituto non ammette rapporti tra gli studenti e il personale), Erik torna sui propri passi ed è costretto a dare una lezione a due dei complici di Silverhielm. Il preside non lo punisce per il suo atto di violenza, ma a causa di una lettera speditagli da Marja, una prova incontestabile della loro relazione, viene espulso. Solo grazie all’aiuto di un avvocato amico di suo padre (che minaccia di denunciare il preside per aver sequestrato la lettera di Marja appellandosi alla legge sulla privacy) Erik riuscirà a restare all’istituto e a conseguire il diploma. Tornato a casa metterà con le spalle al muro l’odioso patrigno prima di iscriversi all’università di Stoccolma dove studierà per diventare avvocato.

Introduzione al Film

L’ombra della svastica sulla democrazia

Tratto dal romanzo autobiografico di Jan Guillou (edito in Italia con il titolo La fabbrica del male), Evil – Il ribelle è stato il vero e proprio “caso” della stagione cinematografica 2003-04 in Svezia. A fronte dell’iniziale rifiuto di finanziamenti da parte dell’Istituto per il cinema svedese (l’organismo statale che sostiene gran parte della produzione del Paese) a causa dei contenuti considerati eccessivamente violenti, il film è stato visto nella sola Svezia (la cui popolazione ammonta a otto milioni di abitanti) da quasi un milione di spettatori e, successivamente, candidato all’Oscar come migliore film straniero. Anche se spesso il successo di pubblico non garantisce tematiche profonde e rappresentazioni originali, Evil – Il ribelle è, per alcuni aspetti, un’eccezione che conferma (almeno parzialmente) la regola: il film tocca un argomento abbastanza inedito e, per chi non conosce in profondità la storia dei paesi scandinavi, probabilmente impensato. Quanti sanno, infatti, che la Svezia fu uno dei paesi in cui il nazionalsocialismo attecchì con maggior forza e che nel dopoguerra tale ideologia sopravvisse all’interno di alcune istituzioni continuando a determinare il comportamento di molti individui? Il film di Mikael Håfström racconta proprio questo aspetto (comune, sia chiaro, a tutti i paesi europei) della storia del secondo dopoguerra che, spesso, risulta rimosso, non risolto, a volte addirittura integrato all’interno di un sistema solo parzialmente democratico. Il film introduce l’argomento nel più classico dei modi, calando in una di queste realtà un personaggio scomodo, rabbioso, la cui violenza non è quella organizzata e integrata nel sistema, ma piuttosto dettata da un impulso irrazionale, una valvola di sfogo attraverso cui reagire al male subito in casa. Il tema della violenza attraversa il film a più livelli e risalta maggiormente proprio perché perfettamente integrata all’interno di un’atmosfera di rispettabilità borghese a prima vista tranquillizzante. Il cinema scandinavo, del resto ha sempre fatta propria la prerogativa di narrare i malesseri e le inquietudini (di origine sociale, morale, esistenziale o religiosa) che covano al fondo di una società nella quale il benessere sembra garantito e la democrazia pare un fattore acquisito. Da questo punto di vista Evil – Il ribelle lavora per sottrazione: le scelte di regia sono lineari e l’impianto generale del racconto è di tipo classico. Anzi, proprio attraverso quest’aura di normalità Håfström sembra voler da un lato mettere in evidenza quella che la scrittrice ebrea Hannah Arendt definì in un suo saggio la “banalità del male” (a proposito della figura di Otto Adolf Eichmann un oscuro gerarca nazista che aveva gestito i trasferimenti dei deportati ebrei da un campo di concentramento all’altro), dall’altro dare uno sfondo di indifferenza e normalità borghese sul quale far risaltare con ancor più forza i momenti di violenza. Il regista non risparmia niente allo spettatore dello spettacolo violento offerto dalle colluttazioni dei ragazzi: il sangue è l’elemento cromatico più evidente e dissonante della pellicola che, tanto a livello della fotografia (priva di note intense, impostata sui toni tenui della luce autunnale), quanto delle scenografie (gli interni sono caratterizzati da un arredamento freddo e razionale), quanto, infine, dei costumi (l’abbigliamento degli studenti, estremamente raffinato) trasmette il senso di un ordine e di un’immobilità difficili da scardinare. Forte di questa “classicità” che, pur non regalando grandi sorprese ed emozioni riesce a restituire atmosfere e stati d’animo tipici di una fase di passaggio come gli anni Cinquanta, il film regge bene fino al finale, sbrigativo nell’ansia di concludere su un lieto fine che lascia non pochi margini di ambiguità.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Dai “ribelli senza causa” al ribelle che fa causa

Ondskan, che in svedese significa “male” – un male che il giovane protagonista dovrà combattere fuori e dentro se stesso – è il titolo originale del film di Håfström, che la distribuzione italiana ha deciso di far uscire con il titolo Evil – Il ribelle. È probabile che questa “traduzione” del titolo, tanto suggestiva quanto fuorviante, sia stata suggerita dai riferimenti nei dialoghi del film a quelli che, ancor oggi sono considerati i miti fondatori della ribellione giovanile: James Dean (evocato attraverso citazioni da Gioventù bruciata, film di culto di Erik e Pierre), Elvis Presley e, soprattutto, Marlon Brando al quale allude neanche tanto velatamente l’accusa di essere un “selvaggio” rivolta ad Erik dal preside della scuola pubblica dalla quale viene espulso (Il selvaggio fu il film di Laszlo Benedek del 1954 che lanciò il mito del giovane motociclista ribelle e insofferente verso le regole). Dunque, rispetto a cosa o a chi si ribella realmente Erik e quali sono le tappe di questo percorso? In effetti, fino alla sua entrata in collegio, Erik viene continuamente umiliato dal patrigno e trascurato dalla madre, ma è sostanzialmente incapace di ribellarsi sia alla violenza dell’uomo che al conformismo borghese incarnato dalla donna. La sua “ribellione” (ammesso che così la si possa chiamare, dato che i suoi sono semplici atti di bullismo) sembra più che altro rivolta a suscitare l’attenzione di una madre distratta e remissiva che il ragazzo soffre nel vedere tra le braccia di un uomo mediocre ed odioso. Erik, cioè, non si confronta direttamente con la radice di quel male che poi è portato a scaricare su altri (i propri coetanei) e attraverso altre vie (le zuffe a scuola), ma piuttosto preferisce usare il proprio disagio per ottenere un pallido simulacro di quell’affetto che gli viene negato. Solo quando il male gli si presenta nella sua veste organizzata, gerarchica, integrata in un sistema che stritola, oltre alla sua vita anche quelle di coloro che gli stanno a cuore, diviene consapevole della necessità di prendere le distanze da quei metodi violenti che anche lui ha condiviso fino a poco prima. Dal punto di vista della violenza in quanto sistema di controllo sociale Evil – Il ribelle contiene alcune suggestioni interessanti come, ad esempio, la contrapposizione tra Erik, desideroso di conquistarsi un posto privilegiato all’interno della scuola attraverso la sua bravura come nuotatore (il mito della prestanza fisica, dell’atletismo caro a tutte le ideologie totalitarie) e l’intellettuale Pierre che, al contrario, cerca l’invisibilità sociale tentando di restare il più possibile estraneo alle attività del collegio, chiudendosi a riccio nei propri interessi, la lettura e la musica innanzitutto. O, ancora, la divisione del salone della mensa in uno spazio concepito in modo che i professori possano condividere i pasti con gli studenti senza, tuttavia, assistere alle punizioni che i “nonni” impartiscono agli altri studenti, pur essendone tuttavia consapevoli e avallando con il loro silenzio tali pratiche odiose funzionali al mantenimento dello status quo. La traumatica esperienza vissuta nel collegio porterà Erik a una soluzione di compromesso: da un lato (rivolgendosi all’avvocato, decidendo di iscriversi alla facoltà di giurisprudenza) il ragazzo sembra rivalutare il ruolo delle regole democratiche poste dalla società a tutela dei più deboli; dall’altro finisce con l’usare comunque la forza per risolvere il conflitto con il patrigno. La ribellione di Erik, dunque, è solo parziale, destinata a rientrare in una normalità che – fortunatamente – si lascia alle spalle (per sempre?) qualsiasi velleità di eversione più o meno violenta. Del resto, Evil – Il ribelle analizza un fenomeno come quello dei residui delle ideologie totalitarie all’interno della società europea nel secondo dopoguerra decisamente limitato e che, per il suo carattere estremo, allude solo vagamente al conformismo diffuso e strisciante tipico delle società cosiddette “borghesi”.

Riferimenti ad altre pellicolole e spunti didattici

Moltissimi i film che hanno puntato il dito contro le istituzioni scolastiche repressive, attraverso storie ambientate a cavallo tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, ovvero quando l’universo giovanile incominciava ad assumere dei connotati propri, una propria cultura indipendente da quella degli adulti, inadeguata a riflettere desideri e ambizioni ormai mutati sotto la spinta dei cambiamenti avvenuti all’indomani del secondo dopoguerra. Tra tutti si segnalano il nostalgico L’attimo fuggente di Peter Weir e, soprattutto, Se…di Lindsay Anderson, ambientato in una public school inglese. Evil – Il ribelle si colloca a metà strada tra i due antecedenti (dei quali resta, tuttavia, un esempio decisamente inferiore), spietato nella rappresentazione della violenza quanto Se… (che, tuttavia, si avvaleva di uno sguardo freddo e impassibile per osservare la vita del collegio) e commosso nel ritrarre l’esitazione dei ragazzi di fronte alle scelte da compiere come L’attimo fuggente (con il quale, tuttavia, non condivide l’impianto corale e la capacità affabulatoria).  

E' possibile ricercare i film attraverso il Catalogo, digitando il titolo del film nel campo di ricerca. Le schede catalografiche, oltre alla presentazione critica collegata con link multimediale, contengono il cast&credits e una sinossi. Tutti i film in catalogo possono essere richiesti in prestito alla Biblioteca Innocenti Library - Alfredo Carlo Moro (nel rispetto della normativa vigente).