di Sofia Coppola
(USA, 1999)
Sinossi
Provincia statunitense, anni Settanta. I coniugi Lisbon sono una tranquilla coppia di mezza età (lui insegnante, lei casalinga) con cinque bellissime figlie di età compresa tra i tredici e i diciassette anni: Cecilia, Lux, Bonnie, Mary e Therese. Affettuosi ma rigidamente cattolici, i coniugi impongono alle ragazze una severa disciplina morale, che lascia ben poco spazio ai contatti con il mondo esterno, se non quelli limitati alle ore di scuola. Dopo un primo tentativo di suicidio Cecilia si butta dalla finestra della sua stanza e muore infilzata sulla cancellata sottostante. Superato il dolore, la famiglia torna alla vita di sempre e, quando alcuni ragazzi invitano le sorelle al ballo scolastico di fine anno, i genitori decidono di acconsentire. Tuttavia Lux contravviene al rigido coprifuoco imposto dalla madre e causa il ritiro da scuola e un periodo di isolamento per sé e le sorelle. I ragazzi, tuttavia, riescono a comunicare con loro e organizzano una fuga: proprio la notte della partenza le quattro sorelle si tolgono la vita.
Presentazione Critica
Il giardino delle vergini suicide è un film che unisce alla sensibilità di una visione femminile dell’adolescenza l’inclemenza di uno sguardo che sa mettere a nudo la fragilità di un mondo apparentemente sano e rassicurante. Uno sguardo, dunque, che sa ricostruire con cura maniacale tutti gli elementi di questa sicurezza effimera (le strade dei quartieri residenziali su cui si affacciano le villette con i prati perfettamente tosati, i rituali quasi liturgici della vita borghese), per poi gettare improvvisamente lo spettatore nel dubbio e nella frustrazione attraverso immagini crude fino all’iperrealismo (Cecilia infilzata sulla cancellata di casa, la desolante quotidianità della famiglia dopo la tragedia). La relatività (e, a tratti, addirittura la falsità) di questo sguardo appare chiara fin dalla prima sequenza quando, l’ineffabile voce over che commenterà buona parte delle vicende (una voce che, enigmaticamente, è quella di un adolescente ma che, se si presta fede a quanto afferma, dovrebbe essere quella di un quarantenne) dichiara, sull’immagine di Cecilia distesa (apparentemente) senza vita nella vasca da bagno, che fu lei la prima ad andarsene. Subito dopo, tuttavia, scopriamo che quell’inquadratura si riferisce “solo” a un tentativo di suicidio e che la ragazzina morirà invece qualche mese dopo in un modo ancor più orribile. La pellicola è letteralmente disseminata di indizi visivi tesi a frustrare le attese dello spettatore: verso la fine del film, la sequenza dell’entrata dei ragazzi nell’abitazione delle sorelle Lisbon è seguita dalle immagini di quella che pensiamo sia la fuga in automobile del gruppo verso la libertà. Si tratta invece soltanto di una proiezione onirica, di un desiderio che si rivela tragicamente irreale quando vediamo penzolare dal soffitto il cadavere di una delle ragazze. Del resto, le immagini che descrivono le cinque fanciulle sono talmente abbaglianti da risultare a tratti stucchevoli (riprese in ralenti, sovrimpressioni, silhouette che si stagliano in controluce): immagini che, per grazia e bellezza, risultano distanti, inavvicinabili, e fanno presagire come dietro di esse si celi un’ombra di angoscia e che nell’accostamento di due termini apparentemente distanti come “vergini” e “suicide” non vi è contraddizione bensì una profonda coerenza, quella di chi non riuscendo ad avvicinarsi alla vita può arrivare al punto di preferire la morte. Se i giovani ammiratori delle cinque sorelle non riescono a spiegarsi come fosse possibile che i Lisbon avessero potuto dare vita a tali esempi di perfezione, nell’atteggiamento dei genitori verso le ragazze pesa un tremendo senso di responsabilità, se non addirittura un senso di colpa, per quanta grazia il cielo ha potuto concedere loro. Il merito principale del film è proprio quello di non assumere un atteggiamento moralistico nei confronti di queste figure, dato che l’enormità del gesto finale delle cinque sorelle non si può giustificare caricando di un giudizio negativo due personaggi pur determinanti nell’evolversi della vicenda: si tratta semplicemente della più tradizionale delle coppie americane, con una madre eccessivamente autoritaria e un padre troppo debole. Una spiegazione plausibile al suicidio delle cinque sorelle non esiste, dunque, e neanche i loro pretendenti, che a distanza di anni vivono ancora nella venerazione del loro ricordo e nel tentativo di dare un senso al mosaico di punti di vista di coloro che furono vicini alle ragazze, riescono a trovarla. Invece, ciò che sorprende nel ritratto collettivo di questo gruppo di amici è la capacità di comprendere meglio di quanto non facciano gli adulti le loro coetanee: i cinque adolescenti che seguono a distanza le vicende della famiglia Lisbon sono animati da un’attrazione verso le sorelle che travalica il puro e semplice desiderio sessuale, sfociando in una sorta di curiosità complice che le accompagna impotente fino al tragico epilogo. È l’ennesimo elemento che contribuisce a fare di Il giardino delle vergini suicide (lungometraggio di esordio di Sofia Coppola) un film anomalo e straniante: tutti i luoghi e le situazioni canoniche del genere (quello che potremmo definire come “ritratto generazionale”) vengono rispettati (le festicciole in casa sotto lo sguardo attento dei genitori, il ballo di fine anno scolastico con l’elezione della reginetta della festa, i ragazzi con le loro partite a football e le ragazze che ascoltano canzoni sentimentali al giradischi) e al tempo stesso messi in scena da uno sguardo freddo e angosciante nella sua lucidità. Tutto il film, del resto, è costruito come una sorta di indagine articolata su più livelli: finte interviste ai protagonisti della vicenda, conversazioni telefoniche tra i vicini di casa che commentano l’accaduto, finti notiziari la cui funzione evidente è quella di fare del sensazionalismo sugli eventi. L’indifferenza del mondo apparentemente senza difetti che circonda le ragazze, la banalità del male che si annida tra le pieghe di una società che si vorrebbe perfetta, sta tutta in un’inquadratura: quella in cui il sistema di annaffiamento automatico del prato davanti a casa dei Lisbon entra in funzione proprio mentre la piccola Cecilia muore infilzata sulla cancellata. Fabrizio Colamartino