di Guillermo Del Toro
(Spagna/Messico/USA, 2006)
Sinossi
Spagna, 1944. Uno sparuto gruppo di resistenti combatte ancora contro le truppe di Franco. Ofelia, una ragazzina di dieci anni, sta accompagnando sua madre Carmen, incinta e malata, dal suo nuovo patrigno, il sadico comandante delle truppe franchiste Vidal, che si trova accampato nei pressi di un vecchio mulino. Ofelia, che è appassionata di fiabe e di racconti fantastici, vede un piccolo insetto volante che segue la loro vettura e si convince che si tratti di una fata. Una volta arrivati al mulino, l’insetto guida Ofelia lungo un misterioso labirinto che si trova nei pressi dell’accampamento. Qui incontra una creatura fantastica, un Fauno, che afferma di conoscerla e di sapere che Ofelia è in realtà la principessa di un regno nascosto e magico e che deve superare tre prove prima che la luna diventi piena. Il fauno consegna ad Ofelia un libro magico e si raccomanda di non dire a nessuno quello di cui hanno parlato, né a sua madre, né ai suoi nuovi amici: Mercedes, la cameriera, e il dottore, che aiutano segretamente i partigiani. La prima prova consiste nell’uccidere un grosso rospo che vive in un tronco, e prendere una chiave nel suo stomaco. Ofelia riesce nel tentativo. Carmen intanto sta molto male e il dottore è pessimista sull'evoluzione della malattia. Vidal, che dalla donna vuole solo avere un erede maschio, dice al dottore di fare di tutto per salvare il bambino e sacrificare la madre se necessario. Ofelia intanto, con l’aiuto del fauno, tenta di salvare la madre con una radice di mandragola. La ragazzina affronta la seconda prova, ma per poco non fallisce e il fauno la rimprovera. Intanto Vidal scopre la mandragola sotto il letto di Carmen e punisce Ofelia con violenza. Carmen inizia allora a peggiorare. Il capitano, intanto, uccide il dottore, avendo scoperto che l'uomo aiuta i partigiani, e minaccia Mercedes che riesce però a fuggire. Un ufficiale medico fa nascere il bambino ma non riesce a salvare Carmen. Intanto il fauno chiede a Ofelia la terza prova: la bambina dovrà portare il fratellino nel labirinto. Il fauno la aspetta e chiede il sangue del bambino, Ofelia rifiuta. Intanto Vidal la raggiunge e la vede parlare all’aria. Le intima di dargli il bambino e la uccide, ma in quel momento Mercedes e i ribelli lo circondano, gli tolgono il bambino e lo uccidono a loro volta. Mercedes soccorre Ofelia morente, che sogna ora di trovarsi all’interno del palazzo del regno magico dove è finalmente tornata principessa.
Introduzione al Film
La fiaba e la Storia
Uno degli elementi più interessanti del film rivela la particolare poetica del regista messicano Guillermo del Toro, quella di un cinema capace di fondere insieme visionarietà e tematiche contemporanee, fiaba e Storia. Il cinema di del Toro, infatti, trova nella fiaba il genere attraverso il quale le visioni e le immagini si possono liberare, possono creare forme ed atmosfere capaci di emozionare, impaurire, inquietare, ma anche e soprattutto affascinare, mostrandosi così come parte integrante dell’esperienza interiore di ogni persona. La fiaba è, in questo senso, non un allontanamento dalla realtà, ma, al contrario, una modalità attraverso la quale il reale si dispiega come allucinazione, come fantasia, come deformazione o come schermo. Allo stesso tempo, in un film come Il labirinto del fauno – che segue idealmente un altro film di del Toro caratterizzato dallo stesso mélange tra fiaba e Storia, vale a dire La spina del diavolo (El Espinazo del diablo, Spagna/Messico, 2001), ambientato in un orfanotrofio infestato da un fantasma negli ultimi giorni della guerra civile spagnola – la dimensione fantastica acquista una straordinaria ambiguità. Il mondo del fauno che solo Ofelia può vedere rimane un’incognita: lo spettatore non saprà mai se ciò a cui ha assistito è il frutto della fervida immaginazione della bambina (e dunque l’immaginario rifugio da un mondo crudele da cui non si riesce a fuggire veramente) o è realmente, nell’universo filmico, un luogo e un mondo appartenenti ad una dimensione alternativa. Ma questo non è in fondo importante; l’ambiguità deve rimanere tale, proprio perché è la contrapposizione (stridente e crudele) tra i due mondi a costituire la forza espressiva del film, la sua potenza. La dialettica delle immagini del film è infatti una dialettica tra due finzioni del desiderio: quella dei ribelli che si oppongono ancora alla dittatura di Franco (in realtà, nel 1944 la guerra civile era già terminata e non esistevano più sacche di resistenza combattenti), e quella di Ofelia, il cui mondo magico costituisce un’ulteriore resistenza alla ferocia del potere dittatoriale. Non si tratta quindi di opposizione tra due mondi, ma di parallelismo. In entrambi i casi, una visione, un desiderio diventano la molla per combattere contro la tirannia, la dittatura – lo fanno i partigiani che combattono anche se ormai il Paese è nelle mani di Franco e lo fa Ofelia che rifiuta di versare il sangue innocente del suo fratellino per entrare nel mondo magico. Il regista messicano, in questa prospettiva, rivela la forza del cinema come fantasia e desiderio, senza però mai pensare (o far pensare) che fantasia e desiderio siano un modo per fuggire il reale: essi sono parte del reale, ne costituiscono, anzi, la necessaria linfa vitale. E questa dialettica è in fondo ciò che costituisce il cinema, che forma le sue immagini; immagini che sono, come nel film di del Toro, al tempo stesso reali e immaginarie, immateriali e necessarie.
Il ruolo del minore e la sua rappresentazione
Il mondo salvato
Ofelia è, senza dubbio, l’assoluta protagonista del film. Orfana di padre, con una madre sposata ad un uomo che non la ama ed è pronto a sbarazzarsi di lei, la piccola protagonista è il centro del film, perché è attraverso lei che si intersecano i due mondi che costituiscono l’universo de Il labirinto del fauno. Ofelia rappresenta nel film anzitutto l’innocenza dello sguardo. I suoi gesti e i suoi comportamenti sono tutti tesi a fare del bene (come quando cerca in tutti i modi di salvare la madre o il suo fratellastro dalla morte) o a individuare nel mondo i segni della magia e della bellezza (è lei a riconoscere in un piccolo insetto volante una fata). La bambina è colei che rifiuta la logica della violenza e della guerra, pur non riuscendo ad impedire che la violenza abbia spesso la meglio (non riesce ad impedire che il patrigno tolga la mandragola dal letto della madre morente, non riesce ad impedire la morte del dottore o l’aggressione a Mercedes), ma, allo stesso tempo, con la sua avventura nel mondo magico, grazie alle tre prove da lei superate, Ofelia si immerge in (o crea, il che è lo stesso), un mondo che diventa il luogo dove salvarsi, dove scoprire e preservare l'innocenza. L’ultima prova, infatti, quella che Ofelia si rifiuta di eseguire (uccidere il bambino che ha portato al fauno), è il gesto finale attraverso il quale la violenza viene bandita, rifiutata appunto. Attraverso quel gesto Ofelia è salva, ella vive come principessa del mondo incantato, e muore come ragazzina immersa nel mondo storico. Nel finale del film le due immagini di Ofelia non si fondono insieme, proprio per evitare qualsiasi catarsi, qualsiasi interpretazione “buonista” del mondo di fantasia in cui la bambina si muove. Il mondo magico è in fondo un mondo anche crudele, dove si può morire (le fate muoiono nel tentativo di salvare Ofelia dal mostro che la sta inseguendo); la rappresentazione fantastica della realtà è di fatto un raddoppiamento del reale, ma qui Ofelia (che è soggetta al potere degli adulti nella vita reale) è protagonista, può appunto decidere il suo fato, agire per cambiare il suo destino. L’impotenza della bambina nel mondo reale si rovescia nel mondo di fantasia, realizza, nel senso proprio del termine, il desiderio di agire nel mondo, di avere un ruolo, di avere il potere di cambiare gli eventi. In questo senso, dunque, l’universo del labirinto del fauno è un universo che rende visibile l’immagine del desiderio infantile, l’immagine del gioco (ma di un gioco dal quale, come si è detto, la violenza e la paura non sono escluse), in cui il bambino esprime se stesso come volontà di essere, anzitutto un soggetto. In questo modo il mondo, viene in un certo senso salvato, perché accanto alla prospettiva tragica delle guerra (di una guerra già combattuta e già perduta), se ne fa strada un’altra che, lungi dall’essere mero rifugio, si pone come possibilità di riscatto e di salvezza.
Riferimenti ad altre pellicole
Il cinema come creatore i fiabe moderne, di favole adulte ha prodotto spesso film notevoli e vere e proprie tendenze cinematografiche, a partire dal cinema di Tim Burton, uno dei registi che può essere accostato per sensibilità allo sguardo cinematografico di Guillermo del Toro. In particolare, un film come Big Fish – Storie di una vita incredibile (Big Fish, USA, 2003) può essere avvicinato a Il labirinto del Fauno, proprio per la sua capacità di fondere inseme la fantasia del racconto capace di reinventare la realtà e la visione “prosaica” del mondo, che altri personaggi hanno della vita del protagonista. Anche nella Hollywood classica il connubio tra realtà e reinterpretazione fantastica della stessa è stato spesso affrontato, ad esempio in Sogni Proibiti (The Secret Life of Walter Mitty, USA, 1947) di Norman Z. McLeod, o ancora nel classico Il mago di Oz (The Wizard of Oz, USA, 1939) di Victor Fleming, tratto dal famoso romanzo di Franck Baum, film le cui immagini fantastiche del regno di Oz sono di fatto la rappresentazione del punto di vista di una bambina, proprio come nel film di del Toro. Proprio il contrasto tra brutalità della storia e sguardo infantile è alla base di una delle trasposizioni più famose de Il diario di Anna Frank (The Diary of Anne Frank, USA, 1959) di George Stevens, in cui l’orrore della guerra si contrappone ad uno sguardo – quello della piccola ragazza ebrea Anna – che lucidamente immagina un altro mondo possibile. Daniele Dottorini