di Asia Argento
(Italia, 2004)
Sinossi
Jeremiah all’età di sette anni viene strappato alla propria famiglia adottiva per essere riconsegnato a Sarah, la madre naturale. Per lui comincia una vera e propria discesa all’inferno: abituato ad un ambiente familiare rassicurante e borghese, si trova a dover fare i conti con una madre allo sbando che non esita a terrorizzarlo e a portarlo con se in un percorso di progressiva autodistruzione. Costantemente in fuga dalla società, Sarah vive di prostituzione saltuaria e di piccoli furti senza mai separarsi dall’amato-odiato Jeremiah, nato da un incesto con il padre quando era ancora adolescente. La situazione dei due precipita verso l’abisso e verso l’incubo amplificato dall’alcol e dall’uso di stupefacenti. Quando Jeremiah subisce un abuso sessuale dall’ennesimo fidanzato temporaneo della madre viene ricoverato in ospedale e aiutato da una psicologa tutt’altro che equilibrata; l’affidamento ai nonni non migliora però la situazione e Jeremiah si trova intrappolato tra metodi educativi da inquisizione medievale e avviato alla predicazione della parola di Dio agli angoli delle strade. La madre riesce a trovarlo e riprende con sé conducendolo fino al punto di non ritorno della tossicodipendenza e dello stato di continua allucinazione. Un nuovo ricovero in ospedale, un nuovo possibile affidamento ai nonni, ma Sarah, ricoverata tra i malati psichiatrici, lo rapisce ancora una volta e scappa dall’ospedale verso nuove inquietanti avventure.
Introduzione al Film
Raccontare l’irraccontabile
Figlia d’arte e cresciuta fin da piccola a stretto contatto con il mondo del cinema e con i suoi personaggi dalla personalità titanica e problematica, Asia Argento firma il suo secondo lungometraggio dopo il poco convincente esordio con Scarlet Diva (Italia, 2000). Ingannevole è il cuore più di ogni cosa tenta una dolorosa versione cinematografica dell’omonimo romanzo scandalo, presumibilmente autobiografico, di J.T. Leroy. Da sempre affascinata dal lato oscuro della mente umana e dalla poetica del maledettismo, la regista sceglie coraggiosamente di mettere in scena una storia ai limiti del rappresentabile che tocca tutti i temi più scabrosi a proposito dell’infanzia: dalle sevizie e violenze fisiche all’abuso di droghe, dall’educazione castrante e perbenista alla mancanza di punti di riferimento sessuali credibili ed edificanti, dall’incesto alla paurosa assenza delle istituzioni. Una discesa agl’inferi che affascina lo spettatore con la forza che deriva dall’urgenza di una storia che ha necessità di essere raccontata, come sfogo, come rivelazione e come gesto catartico. Un racconto che sapientemente non indugia in particolari shockanti o in immagini insopportabili, ma si limita a portare lo spettatore sull’orlo del baratro per poi lasciarlo precipitare sull’onda di immagini mentali che si pongono come percorsi obbligati nei vicoli ciechi della narrazione. Asia Argento non esita, un po’ narcisisticamente, ad assumere i panni di Sarah, la madre sbandata vittima di se stessa e delle tante violenze fisiche e psicologiche subite, che diventa a sua volta carnefice del figlio in un meccanismo sadomasochistico folle eppure lucidissimo. La regista sfrutta nell’interpretazione tutta la sua perturbante presenza scenica e si serve di collaborazioni amichevoli che amplificano il lato inquietante e “maledetto” del film: dalla colonna sonora disturbante e lirica firmata da Morgan (già leader dei Bluvertigo e ex-compagno della regista), Billy Corgan (Samshing Pumpkins) e dei Sonic Youth, in cui il rumore viene assunto come strumento fondamentale di una partitura musicale in grado di scendere negli abissi come di elevarsi al di sopra di tutto; passando per i cameo di tanti personaggi ai margini dello starsystem come Marilin Manson (che autoironicamente interpreta proprio il pedofilo) o Winona Ryder (ormai più nota come cleptomane che come attrice), personaggi che hanno fatto della diversità un marchio di fabbrica ed un prodotto di largo consumo; concludendo con i tanti omaggi al cinema dei margini, caro all’autrice, da Jim Jarmush ad Abel Ferrara, vero e proprio autore di culto e padre spirituale del battesimo registico della Argento. Lo stile del film, sempre disturbato sia nelle inquadrature che nei movimenti di macchina al limite dell’onirico, si deve molto proprio al culto della regista per un cinema ai margini dei meccanismi produttivi e di uno stile narrativo tradizionale. Nondimeno, quello proposto dal film diventa anche uno sguardo sull’America contemporanea; sguardo esterno e affascinato che cerca di comprendere quella realtà eppure non riesce a penetrare fino in fondo tra le pieghe di una cultura così diversa e così distante. Gli ambienti – desolati e deprimenti spazi urbani che si alternano ad infiniti spazi aperti nel bel mezzo del nulla – rappresentano un meravigliato sguardo sulla parte nascosta degli Stati Uniti. Lontano dai luoghi visti e raccontati milioni di volte dal cinema Hollywoodiano c’è una straordinaria quantità di non-luoghi popolata da anti-eroi brutti sporchi e cattivi o, semplicemente, normali. Una normalità fatta di povertà e di ignoranza spaventose, una sottocultura che genera mostri, nei gironi infernali di chi non può o non vuole adeguarsi al sogno americano.
Il ruolo del minore e la sua rappresentazione
La fuga impossibile
Jeremiah all’inizio del film è un bambino di sette anni e la narrazione copre un periodo di circa tre anni. Essendo stato educato amorevolmente dai genitori adottivi, che si suppone abbiano fatto ancora più attenzione alle sue esigenze emotive e psicologiche, vive come un trauma insopportabile l’allontanamento dalla famiglia, in particolare dalla mamma, e fatica ad adeguarsi al ricongiungimento famigliare in una situazione che è diametralmente opposta rispetto a quella di origine. Il rapporto con Sarah, la madre naturale cui il piccolo viene affidato, è conflittuale fin dall’inizio perché Sarah si impone come la vera madre e non tenta una mediazione, un passaggio graduale tra le due condizioni emotive. Jeremiah non ha i mezzi psicologici per poter interpretare e gestire la situazione e si trova completamente vulnerabile ed in balia di ciò che gli adulti decidono per lui. Quando Sarah gli dice che i suoi genitori adottivi non lo vogliono più perché è stato cattivo e che non hanno fatto di tutto per trattenerlo, Jeremiah dà fede a questa versione perché incapace di capire come stanno veramente le cose e perché scarica su sé stesso la responsabilità di quello che gli sta succedendo. In un meccanismo psicologico piuttosto semplice il bambino è portato ad addossare su di sé le colpe di ciò che di male gli avviene, e questo lo porta ad affidarsi senza difese e acriticamente all’unico affetto che gli rimane. La madre in una situazione come questa ha campo totalmente libero sulla psicologia del bambino e, irresponsabilmente, si serve di questa libertà per traviare la sua giovane mente con violenze e distorsione della realtà. La violenza fisica diventa una consuetudine che Jeremiah impara ad accettare anche dagli estranei, sempre come conseguenza di sue mancanze (per esempio l’incontinenza notturna), tanto che ad un certo punto l’automatismo lo porta a porgere personalmente la cinghia all’adulto di turno per essere punito. Quando subisce un abuso sessuale per la prima volta e viene ricoverato in ospedale per essere seguito da una psicologa, il lavoro della dottoressa tenta proprio di mettere in luce le reali responsabilità, addossando le colpe sull’adulto e cercando di alleggerire il peso psicologico della vittima. I suoi metodi si rivelano però tutt’altro che costruttivi, e Jeremiah si trova a ripetere a pappagallo le frasi della psicologa sotto la minaccia di essere lasciato solo. Del resto la sua situazione non migliora nemmeno a casa dei nonni, cui viene affidato per qualche tempo. Lì Jeremiah si scontra con una realtà assolutamente rigida che cozza con quella anarchica e caotica della madre, tanto che al nonno che gli chiede di recitare i salmi che ricorda a memoria Jeremiah non trova di meglio che cantare una canzone dei Sex Pistols sull’anticristo. I suoi riferimenti culturali, dopo mesi di frequentazione della madre, sono incompatibili con la dura disciplina religiosa imposta dal nonno, nonostante le violenze fisiche e psicologiche continuino ad essere all’ordine del giorno. Il nuovo incontro con la madre trova il bambino ormai a dieci anni ed avviato a diventare quel “soldato di Dio” che il nonno vorrebbe. La fuga rappresenta una nuova ubriacatura di libertà, ma segna anche un rapporto sempre più simbiotico di identificazione con Sarah. Quest’ultima non esita ad assecondare il processo di mimetizzazione del bambino, spingendolo a truccarsi il viso come lei e ad indossare abiti femminili. Affascinato dalla madre e deluso dall’assenza di figure maschili decenti, il piccolo Jeremiah mette in discussione la propria sessualità e si identifica nelle modalità comportamentali di lei, arrivando addirittura a sedurre il suo fidanzato. Persi completamente i normali punti di riferimento educativi, il piccolo cresce con la convinzione che del corpo si possa fare una merce e che la mente vada sofisticata con ogni mezzo possibile. Nella progressiva e definitiva perdita di lucidità di Sarah, Jeremiah abbandona definitivamente qualsiasi contatto con la realtà inseguendo la madre nei suoi deliranti percorsi mentali. L’ultimo ricovero, con l’incubo della presenza della nonna, si risolve con una nuova fuga, presumibilmente definitiva. Ingannevole è il cuore più di ogni cosa offre un ritratto estremo eppure molto credibile dei meccanismi malati e dei risultati di un’educazione completamente fuori da ogni logica. Alla delirante sequenza di avvenimenti che riguardano la vita del protagonista si affianca un costante riferimento ai suoi meccanismi psicologici e alle sue ripercussioni emotive, in una rappresentazione dell’interiorità del personaggio efficace e assolutamente necessaria.
Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici
Al di là del divieto ai minori di 18 anni, la visione di questo film può risultare disturbante per molte categorie di spettatori ed è quindi sconsigliata agli alunni delle scuole. Può risultare però molto utile come approfondimento per gli educatori e gli insegnanti che volessero trattare anche solo alcuni dei moltissimi temi affrontati nel film. Inoltre sono decisamente pochi i film che abbiano il coraggio di affrontare in maniera credibile e senza falsi pudori temi quali la pedofilia, la tossicodipendenza, l’omosessualità, la violenza fisica e psicologica sui minori. Per un maggiore approfondimento si consiglia la visione di La mala educatión (id, Spagna, 2004) di Pedro Almodovar che affronta il tema degli abusi sessuali sui minori, Aprimi il cuore (Italia, 2002) di Giada Colagrnade che affronta il tema di un rapporto simbiotico tra due sorelle e della prostituzione infantile e Sleepers (id, USA, 1996) di Barry Levinson che affronta il tema delle conseguenze degli abusi sessuali subiti nell’infanzia e sposta l’attenzione sul tema della vendetta. Ludovico Bonora