Il soddisfacimento dei bisogni fisiologici dei bambini ha condizionato a lungo la storia del nido in Italia, tuttavia, dopo anni di esperienza sul campo e numerosi percorsi formativi intrapresi, le educatrici hanno capito l’importanza pedagogica della cura, considerandola una pratica educativa fondamentale ai fini della crescita e del benessere del bambino. È quindi venuto meno quel pregiudizio che per tanto tempo, troppo, ha attribuito il lavoro di cura all’istinto materno, di cui la donna è considerata naturale portatrice. All’interno della categoria di cura rientrano vari momenti, come l’entrata e l’uscita, il pranzo, il cambio e il sonno, ma anche alcuni gesti, come soffiare il naso al bambino, pettinarlo dopo che ha dormito, tirargli su le maniche della maglia prima di mangiare, lavargli le mani, essergli vicino quando si addormenta e si risveglia. Si tratta di esperienze essenziali nella vita del piccolo, che al nido vengono proposte in spazi e tempi prestabiliti, nel rispetto dei diversi ritmi di sviluppo di ciascuno.
Elisabetta Musi, l’autrice del libro in oggetto, considerando l’opera di cura l’essenza stessa dell’educazione, cerca di renderla visibile attraverso una riflessione che unisce la teoria alla pratica, in modo tale che tutti i gesti, gli sguardi e i contatti che sono alla base dell’attività di cura non siano solo fine a se stessi ma incidano sulle formulazioni teoriche. Da qui nasce il suggestivo e poetico titolo del testo Invisibili sapienze, proprio perché l’obiettivo principale che la studiosa vuole raggiungere è quello di portare alla denominazione e al riconoscimento tutti quei saperi nascosti sottesi al lavoro di cura che le educatrici esprimono nei confronti dei piccoli utenti.
Il volume è costruito su tre parti. La prima parte, intitolata Saperi originari, pone l’attenzione sui genitori e sul loro bisogno di essere sostenuti soprattutto subito dopo la nascita di un figlio. In questo caso emergono tutti quei saperi sottili, come per esempio riuscire ad accogliere l’altro, sapere ascoltare, incoraggiare ad andare avanti, avviare le prime relazioni, che rappresentano le fondamenta dell’esperienza educativa al nido d’infanzia. Questi aspetti, in effetti, trovano riscontro nel significato di “aver cura” di un individuo, nel senso appunto di rafforzare la sua autonomia e stimolare la sua indipendenza. La seconda, Voci, costituisce una sorta di vademecum sulla cura, perché raccoglie le testimonianze scritte, i diari e alcuni frammenti di dialoghi estrapolati da vari percorsi formativi ai quali hanno preso parte le educatrici. Solo attraverso la scrittura è possibile ri-pensare, ri-formulare e dunque ri-contemplare il lavoro fatto, in modo da attivare una nuova riflessione dalla quale possono svilupparsi originali e diversi stimoli. A tal proposito, l’autrice dopo ogni pensiero lascia uno spazio grafico riservato al lettore, in modo che egli possa annotare le proprie considerazioni in merito alla cura. L’ultima parte, Incontri, fa entrare all’interno di questo scenario di incontro-confronto-scambio comunicativo sulla cura anche i genitori, infatti raccoglie alcune conversazioni con mamme e papà realizzate nei nidi, nelle parrocchie e nei centri per le famiglie. Il libro presenta un ulteriore valore aggiunto, in quanto i capitoli offrono anche una serie di esercizi che si ritrovano raggruppati nella sezione Sottotraccia. Guida agli strumenti per la formazione e il confronto.
Alla luce dell’impostazione e dei contenuti affrontati, il testo si rivolge a varie e diverse figure professionali: alle persone che lavorano nei nidi d’infanzia, quindi in particolar modo ai coordinatori pedagogici, alle educatrici, ai formatori e agli psicologi; a tutti coloro che si occupano d’infanzia, come i docenti universitari e gli assistenti sociali; a coloro che condividono l’interesse verso questo periodo di sviluppo, come gli studenti; ai genitori che mandano il proprio figlio al nido.
Musi E., Invisibili sapienze. Pratiche di cura al nido, Azzano San Paolo, Junior, 2011.