La bestia nel cuore

di Cristina Comencini

(Italia, 2005)

Sinossi

Sabina, che conduce una vita soddisfacente accanto ad un compagno che ama, comincia a fare incubi strani nei quali le appare il padre intento a richiederle prestazioni sessuali. Entrambi i genitori sono morti da tempo ed il fratello maggiore si è trasferito negli Stati Uniti

, dunque Sabina si trova a condurre la ricerca della verità sul proprio passato solo con l’aiuto di Emilia, amica d’infanzia cieca e perdutamente innamorata di lei. Il tentativo di evocazione della quotidianità familiare rimane incompleto e insoddisfacente, mentre i suoi incubi sono sempre più pressanti tanto da incrinare il rapporto con Franco. Sabina, che nel frattempo ha scoperto di aspettare un bambino, decide allora di passare le festività natalizia dal fratello Daniele negli Stati Uniti. Lì si addentra in una quotidianità complessa e a tratti incomprensibile e scopre che il fratello si è sottoposto ad una lunga terapia psicanalitica. La notte del 31 dicembre, finalmente, il fratello rivela a Sabina quello che lei aveva rimosso per molti anni: il padre abusava di loro da quando avevano pochi anni, mentre la madre taceva per la vergogna e per la paura. La rivelazione sconvolge Sabina e la porta ad una crisi personale che mette fortemente in crisi il suo rapporto di coppia. Nel momento in cui, ormai al termine della gravidanza, rivela le ombre del suo passato a Franco, lui le confessa di averla tradita durante il suo viaggio con una collega attrice. Sabina scappa, delusa e amareggiata, e finisce per cominciare il travaglio a bordo di un piccolo treno locale. Dopo il parto è ormai riappacificata con il proprio passato e rinnovata, pronta per riaccogliere Franco e per cominciare la sua nuova vita, consapevole e matura.

Presentazione Critica

Nel nome del padre

Cristina Comencini, figlia di Luigi Comencini, uno dei più importanti autori della commedia all’italiana, dimostra di avere ampiamente appreso la lezione del padre e di essere ormai in grado di dare la propria personale impronta autoriale. La bestia nel cuore, nono film della regista, è un lavoro di ottima fattura che dimostra una straordinaria capacità di dirigere gli attori, tutti perfetti e ben scelti, ed una altrettanto felice scelta dell’inquadratura e dei movimenti di macchina. Si percepisce una forte impronta femminile nella stesura del soggetto e della sceneggiatura: la quasi totalità dei personaggi maschili finiscono per fare una brutta o una pessima figura. Franco è bello e bravo ma alla prima occasione cede al proprio impulso sessuale senza riuscire a controllarsi; il regista Negri è frustrato ed insicuro, depresso dal fatto di lavorare in televisione ma non abbastanza coraggioso per tentare con il cinema; il marito di Maria, la collega e amica di Sabina, ha abbandonato la moglie per una ragazza molto più giovane; per non parlare del padre della protagonista, meschino e squallido mostro dalla doppia faccia; in fondo, persino Daniele ci viene mostrato come un personaggio irrisolto e dai punti oscuri. Di contro, ovviamente e poco plausibilmente, i personaggi femminili sono tutti positivi, giusti, giustificati con benevolenza dall’autrice anche nei lati negativi, nelle scelte sbagliate. Tuttavia, la contrapposizione è utile nell’economia del racconto per smorzare, con una forte dose di ironia, la pesantezza della vicenda. È senza dubbio una visione dolorosa per lo spettatore, una sorta di gabbia ipnotica che avvolge e che non lascia spazio, soffoca e sconvolge, nella quale la presenza di personaggi divertenti diventa necessaria e salvifica. In questo senso sono decisamente azzeccate le scelte di Angela Finocchiaro, già strepitosa comica televisiva, e di Giuseppe Battiston, stralunato caratterista di tanta commedia italiana recente. Eppure non bastano questi inserimenti ad equilibrare il tutto. Comencini gioca alla sovrapposizione, all’aggiunta, al parossismo, utilizzando il materiale narrativo che, probabilmente, sarebbe bastato per un paio di fiction televisive da venti puntate ciascuna. Le pause citate, allora, finiscono per non essere sufficienti, per non lasciare respiro. Ed è una visione in apnea quella a cui è costretto lo spettatore, portato ad un innato, liberatorio sollievo sui titoli di coda. Una sovrabbondanza di temi e di drammi a cui, fortunatamente, non corrispondono sequenze tese ad amplificarne la portata. Anzi, le scelte di regia, anche se in parte discutibili, vanno in senso quasi contrario. Ciò che vediamo non fa mai troppo “male”. Non c’è il gusto perverso del mostrare i particolari scabrosi. Si nota anzi un’attenta ricerca per il simbolismo, la metafora, l’ellissi, il suggerimento mai spinto troppo oltre. Così è per la rivelazione di Daniele, sequenza semplice e lineare che lascia spazio, ma non troppo, al flashback; e così è anche per il momento topico, quello in cui la rottura delle acque, una vera e propria cascata che sembra fluire direttamente da Come l’acqua per il cioccolato di Aranda, scende impetuosa a purificare e a ripulire la vita e i ricordi. Un risciacquo esistenziale e surreale che può anche sembrare avulso ma che dimostra, almeno, una ricerca di originalità. Solo di recente il cinema si è avvicinato al tema della pedofilia, di scottante attualità, con risultati altalenanti. Dal perfetto e cinico precursore Happiness di Todd Solondz, in cui si sceglieva la strada del politicamente scorretto senza però evitare le mille implicazioni e complicazioni dell’argomento, al più recente La mala educaciòn, un film di Almodovar “alla Almodovar”, surreale e divertente ma con poco senso dell’orientamento sui sentieri del senso. La bestia nel cuore porta invece, ed è questo insieme un pregio ed un difetto, un marchio fortemente italiano, in cui anche le parti più leggere nascondono un appesantimento e viceversa.

Il ruolo del minore e la sua rappresentazione

Rimuovere la rimozione

I protagonisti del film sono adulti, ma è proprio uno scavo nel passato, un ritorno all’infanzia, che la storia racconta. Sabina e Daniele sono fratelli, lui maggiore di pochi anni. Il loro passato nasconde una macchia indelebile e gigantesca. L’abuso sessuale subito da parte del padre è un macigno che è rimasto loro dentro ma che i due trasportano in maniera molto diversa. Daniele ha presumibilmente una decina d’anni quando il padre comincia ad interessarsi a lui, a visitarlo durante la notte. Dopo molti anni confessa alla sorella di ricordare una persona trasfigurata che veniva a svegliarlo, una versione del padre quasi inconciliabile con l’uomo schivo, serio e riservato del giorno. Egli vive già le incursioni paterne come un abuso, è cioè consapevole dell’anormalità delle sue richieste e cerca quindi di proteggersi. La reazione violenta, lo sfogo, esplode però nel momento in cui vede la stessa sorella vittima delle attenzioni del genitore. Più che a proteggere se stesso, Daniele pensa a proteggere la sorella, tentativo inutile, come vedremo. Proprio nel momento in cui i suoi sonni potrebbero essere tranquilli perché il padre ha trovato in Sabina una nuova e più invitante destinataria delle proprie attenzioni perverse, l’ira cieca di Daniele si manifesta. Il flashback mostra il bambino che scaglia un fermacarte sulla testa del padre. Il gesto è ancora più violento perché premeditato ma va analizzato con attenzione. Daniele tende a scindere i due “padri”: quello del giorno, professore disponibile ad aiutare i figli nei compiti a casa, dal visitatore notturno. Il gesto di Daniele non avviene di giorno proprio perché non è quello il padre da punire. Inoltre il fermacarte sotto il cuscino rappresenta una risorsa di emergenza, un estremo mezzo in caso di necessità; probabilmente Daniele vorrebbe fino all’ultimo evitare di compiere quel gesto così innaturale, così poco conforme alle leggi familiari, ma di fronte all’ennesimo stravolgimento di quelle stesse leggi non può far altro che agire, arrivando addirittura ad una minaccia di morte. Il suo peso Daniele una volta adulto lo porta dentro e trova un modo per ridurlo e smontarlo. È solo dopo una lunghissima analisi psicologica che riesce ad affrontare in maniera, quasi, normale la propria esistenza. Tuttavia il suo rapporto con i figli è ancora complicato. Avendo sperimentato il male più grande, la ferita più profonda che si può infliggere ad un bambino, lui ha paura di se stesso, quasi come se non si potesse ritenere immune da un malattia che il padre potrebbe avergli trasmesso. La difficoltà è nel contatto fisico, che Daniele, lavorando su se stesso con pazienza, cerca di compensare con un affetto di parole e di stima più che di gesti. Sabina, invece, ha reagito nella maniera opposta. Il suo è un tipico meccanismo di rimozione: ha semplicemente cancellato dalla memoria quello che la sua mente si rifiutava di ricordare. Laddove i tentativi del fratello maggiore per proteggerla dal male hanno fallito, la sua psiche ha innestato un meccanismo automatico. Meccanismo affascinante ma niente affatto perfetto, visto che i ricordi, nascosti nell’inconscio, tornano a galla dopo molti anni, facendole visita nei sogni notturni. Il fattore scatenante è la riesumazione dei genitori, una macabra metafora dello scavo nel proprio passato. Sabina è confusa ma sente dentro di sé che con quegli strani sogni è come se la sua mente stesse cercando di svegliarla. Capisce che solo con l’aiuto del fratello potrà venire a capo della questione, ed è proprio con l’aiuto di quest’ultimo che torna a ricordare. La sua mente tuttavia ha nascosto talmente bene tutta la parte relativa all’abuso, che Sabina apprende, letteralmente, dal fratello i suoi ricordi. Non è tanto una riscoperta di cose che non sapeva di avere dentro ma una nuova, per usare una metafora informatica, “installazione di memoria”. Lei, che grazie alla rimozione ha probabilmente avuto una vita più facile del fratello, si trova ora a dover compiere uno sforzo doppio: prima quello di recuperare la propria memoria perduta e poi quello di curare la parte malata di questi “nuovi” ricordi. La sua salvezza è la nuova vita che porta in grembo. Sabina sceglie di rigenerarsi in quella nuova vita, di partorire e “partorirsi”. Ma è anche l’estraneità dal suo passato a salvarla. La ferita, raccontatale dal fratello, è ormai qualcosa di esteriore che non può più bruciare. Così ora diventa da parte della protagonista una scelta consapevole quella di dividere i ricordi positivi da quelli negativi; eliminando questi ultimi Sabina può permettersi di guardare ancora le foto dei suoi genitori e ricordarli con affetto. Ludovico Bonora

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