di Vittorio Taviani, Paolo Taviani
(Italia, 1082)
Sinossi
Una donna, durante una limpida notte stellata estiva, inizia a raccontare al figlio una storia accaduta molto tempo prima, durante la Seconda guerra mondiale. 10 agosto 1944. Nella campagna toscana, gli abitanti del paese di San Martino sono costretti a fuggire perché le loro case sono state minate dai tedeschi. L’obiettivo dei fuggitivi è di incontrare le postazioni americane sinonimo di Liberazione, ma il loro tentativo si scontra con una serie di tragiche vicissitudini, tra cui una battaglia campale con i fascisti in mezzo ad un campo di grano. Ma i reparti americani sono alle porte: dopo la Liberazione gli abitanti di San Martino possono ritornare al loro paese.
Presentazione critica
«Stanotte è la notte di San Lorenzo, amore mio...e devono cadere le stelle. Da noi qui in Toscana si dice che ogni stella che cade esaudisce un desiderio. [...] Sai qual è il mio desiderio stanotte? Di riuscire a trovare le parole per raccontare a te di un’altra notte di San Lorenzo di tant’anni fa...». È con queste parole che il film dei fratelli Taviani inizia. Già in questo piccolo preambolo sono evidenti i motivi fondamentali della storia: una donna decide di scavare nella sua memoria per raccontare al figlio (per ora semplicemente la tonalità amorevole delle parole lo fa supporre, soltanto alla fine del film lo si saprà con certezza) una vicenda speciale occorsa molto tempo prima. Memoria del passato e quindi infanzia di colei che racconta, desiderio che passa attraverso la caduta delle stelle e la trasfigurazione nel più ampio ed ideale desiderio di libertà, ricorso storico che prende le mosse da una data analoga, collocata in un contesto di fatto differente. Cecilia, la donna che racconta, è una bambina di sei anni. La vicenda che la vede protagonista viene narrata dal suo punto di vista, anche se ci sono delle evidenti eccezioni, dei comprensibili scarti, dato che per completezza drammatica la bambina non sempre può essere presente in tutti i luoghi e nella totalità delle situazioni che il film rappresenta (ed infatti, a conclusione della storia, la donna avviserà il figlio che “non sa se le cose andarono proprio in quel modo, perché lei aveva solo sei anni”). Si rappresenta, dunque, la guerra e le sue conseguenze viste dalla prospettiva dell’infanzia, una prospettiva, questa, che non sempre permette di comprendere tutto dato che Cecilia fugge con gli altri quasi venisse trasportata (a volte, infatti, lungo il duro tragitto é presa sulle spalle), ma che riesce a far sedimentare nello spazio della memoria gli elementi determinanti di un racconto arricchito di ingredienti epici (la battaglia in mezzo al campo del grano che nella mente della bambina si trasforma in uno scontro tra greci e troiani), di illusioni fanciullesche e popolari (la filastrocca detta per allontanare la paura), di incomprensioni sul mondo dei grandi (la bambina non capisce perché la battano dopo aver inavvertitamente rotto le uova che servivano per la sopravvivenza dei fuggitivi, e reagisce schiacciando gli ultimi due esemplari rimasti interi). Cecilia, veicolo attraverso il quale si rinnova la memoria degli avvenimenti passati, nell’ambito dell’investimento sul piano simbolico rappresenta l’innocente anelito verso la libertà che garantisce un mondo migliore. In diametrale opposizione si colloca il piccolo fascista che, perfettamente in linea con la sua età, si mostra intrepido nelle condizioni favorevoli e pavido di fronte alla minaccia della morte. Questo personaggio, il quale a tutta prima potrebbe essere inteso come un oscuro messaggero di morte, in netta antitesi quindi con Cecilia, non è altro che l’ennesimo ragazzo sconfitto dalla Storia. Convinto di poter agire su di essa in modo attivo, si dimostra invece un’ulteriore vittima di quella ferocia umana che i Taviani sottolineano adeguatamente nella raccapricciante scena dell’uccisione sotto l’albero, sicuramente una delle più crude e ciniche morti infantili della storia del cinema. Una morte che va ben aldilà degli odi di parte. Giampiero Frasca