di Ermanno Olmi
(Italia, 1978)
Sinossi
Una casa colonica nella campagna bergamasca nell’arco di tempo che va dall’autunno 1897 alla primavera seguente. Quattro famiglie e una quotidianità scandita da azioni semplici, gesti elementari che si collocano nell’universo lavorativo e s’inscrivono direttamente nel retaggio tradizionale contadino: la macellazione del maiale, l’accurata preparazione dei pasti, la coltivazione agricola, i racconti in cascina nella pausa serale, la festa tradizionale del borgo agricolo, l’arrivo del venditore ambulante di stoffe, la messa, il cerimoniale della preghiera, le timide consuetudini che presiedono al fidanzamento. Un equilibrio di prassi e solidarietà che viene lacerato quando il contadino Batistì, colpevole di aver abbattuto un albero lungo un fossato per sostituire lo zoccolo rotto del figlioletto, viene allontanato dalla cascina, sottratto al suo consueto lavoro nei campi e abbandonato al proprio destino insieme alla famiglia.
Presentazione critica
Nonostante Olmi faccia interpretare L’albero degli zoccoli dalla gente originaria della campagna bergamasca, il suo lavoro non ha grossi punti in comune con la poetica neorealistica di un Rossellini o di un Visconti (attraverso l’esempio de La terra trema). Quello che Olmi mette in scena è un film che si regge peculiarmente su uno spiccato lirismo di fondo che del realismo ha soltanto le caratteristiche esteriori (ambientazione, interpreti, modalità naturalistica di recitazione), per sublimarle in un’attenta osservazione di un mondo ritratto nella sua globalità attraverso la forza della tradizione, la ciclicità stagionale, gli sfoghi bestiali, la rassegnazione, la fede nella Provvidenza, la carità, i piccoli gesti quotidiani e la grande capacità di entusiasmarsi di fronte a cose a prima vista insignificanti. Un universo contadino che si rivela via via allo sguardo dello spettatore in virtù di minime manifestazioni, grazie ad una narrazione che avanza per episodi apparentemente ordinari ed abituali, ma in realtà sintomatici di una ritualità che si sovrappone dichiaratamente ai ritmi stessi della natura (la coltivazione dei pomodori oppure la macellazione del maiale, soltanto per fare due esempi tra i tanti possibili). E dalla reiterazione degli atti, delle situazioni caratteristiche, dei silenzi, della composta gestualità, si tratteggia con colori forti il quadro complessivo di una condizione esistenziale dotata di proprie tacite regole e consuetudini relative alla posizione dell’uomo all’interno della società (il rapporto con il padrone del terreno non esiste, ma la figura del signore è vista ugualmente con doveroso rispetto e accettazione dell’ordine imposto), nei confronti della religione (le preghiere scandiscono le diverse fasi della giornata, ribadendo la liturgia dell’azione quotidiana), nella pietà verso il prossimo (il pasto offerto sempre ai bisognosi, alle ‘anime semplici’ alle quali è dovuto un grande rispetto perché “sono più vicine a Dio”), o nell’ingenua volontà di migliorare la propria situazione (l’uomo che, durante la festa del borgo, trova una moneta di valore e corre a nasconderla in un luogo erroneamente ritenuto sicuro). Il risultato è un dettagliato racconto corale in cui l’infanzia diventa il simbolo grazie al quale si perpetua l’ordine esistente. I fanciulli sono i testimoni partecipi di un ambiente che osservano con fare curioso e partecipe al contempo: i vari episodi che si susseguono, anche quelli che, da una diversa prospettiva, potrebbero essere ritenuti più scabrosi (la già citata uccisione del maiale, la decapitazione di un’oca), li vedono assolutamente integrati nel tessuto d’appartenenza, perfettamente consci della ciclicità insita nel contesto di cui fanno parte e del quale rileveranno il testimone il giorno in cui la generazione precedente dovrà necessariamente abbandonare. Emblematica, a questo proposito, è la paziente opera di discreto ammaestramento operata da nonno Anselmo nella casa colonica: sempre attorniato dai suoi piccoli nipoti, il vecchio fornisce ai bambini insegnamenti pratici di vita contadina e di agricoltura, arrivando anche a trasmettere loro le leggende popolari che si narrano di sera intorno a un falò (le faville del braciere come diavoli dell’inferno). Ritualità e liturgia del mondo contadino che trovano il loro limite estremo nelle preghiere ripetute in un latino memorizzato e maccheronico, al quale i fanciulli hanno accesso biascicando parole senza alcun senso, puri suoni che poco si legano alla motivazione religiosa: ciò che conta è l’appartenenza al proprio universo, non la correttezza della formula usata. La conseguenza è il rispetto dell’ordine cosmologico esistente, del quale i bambini sono l’immagine garante del futuro, un ordine da rispettare e mantenere, tutelato dalla Provvidenza più che dall’operato dell’uomo (“I bambini vengono al mondo da soli, senza l’aiuto di nessuno”, dice la moglie di Batistì al marito), ma proprio dall’uomo aiutato a rigenerarsi nel corso del tempo (l’orfanello che viene affidato alle cure della coppia di novelli sposi), in modo che le strutture del mondo agricolo possano persistere generazione dopo generazione. Giampiero Frasca