di Frank Perry
(USA, 1981)
Sinossi
La star del cinema Joan Crawford si trova in una fase delicata della sua carriera: il suo successo è in lento declino, la sua relazione con l’avvocato Gregg Savitt è resa problematica dal fatto che Joan ha scoperto di non poter avere bambini. Insieme al compagno decide di adottare una bambina bionda e dagli occhi azzurri a cui dà il nome di Christina. Nove anni dopo, Joan ha adottato un altro bambino a cui ha dato il nome di Christopher e porta avanti una sua personale visione dell’educazione nei confronti di Christina. Joan offre tutti i doni ricevuti da Christina per il compleanno ad un orfanotrofio, la punisce duramente ogni volta per futili motivi, ad esempio quando la scopre mentre si sta truccando e abbigliando come la madre. Joan umilia e punisce sempre più spesso Christina: la picchia quando scopre che ha posto un suo vestito su una gruccia di ferro, o distrugge il suo bagno perchè il pavimento non è pulito. La rabbia di Joan esplode in continuazione e Christina è il suo bersaglio preferito. Passano gli anni e Christina tenta i suoi primi passi come attrice, boicottata dalla madre che addirittura le ruba la parte in una serie televisiva. Negli ultimi anni della sua vita, Joan sposa Alfred Steele, amministratore delegato della Pepsi Cola, utilizzando i suoi soldi per mantenere l’alto stile di vita a cui è abituata. Alfred muore e Joan rimane nel consiglio di amministrazione confrontandosi in modo aspro con gli altri consiglieri. Negli ultimi anni di vita di Joan il rapporto con i figli sembra essere entrato in una fase meno violenta, ma alla morte dell’attrice, Christina e Christopher scoprono con stupore che la madre li ha diseredati, “per motivi che loro bene conoscono”, come è scritto nel testamento. Christina dice allora a Christopher che ha deciso di scrivere un libro in cui raccontare la sua esperienza e vendicare così le angherie subite.
Introduzione al Film
Relazioni perverse
Mammina cara è un film che, con il passare degli anni, ha acquistato lo status di film di culto. È un film biografico, ma si tratta di un’opera volutamente sopra le righe dal punto di vista della rappresentazione e della recitazione. Il ritratto di Joan Crawford è radicale e assolutamente negativo. La struttura narrativa è un crescendo di angherie, torture fisiche e psicologiche che la diva del cinema infligge ai suoi figli adottivi (anche se il film si concentra sul rapporto tra Joan e Christina, lasciando Christopher sullo sfondo) e il personaggio è dipinto in modo tale da divenire caricaturale, da perdere qualsiasi verosimiglianza. Da questo punto di vista, il film è, soprattutto, la storia di uno sguardo, quello di Christina verso sua madre (autrice, tra l’altro, del libro da cui è tratto il film); sguardo che ha, come obiettivo, quello di offrire al pubblico un ritratto vendicativo della diva hollywoodiana, di mostrare a tutti le sofferenze e le angherie subite dalla figlia adottiva. Dunque il linguaggio filmico è volutamente eccessivo: Faye Dunaway recita costruendo una maschera horror con le fattezze di Joan Crawford, accentuando con le espressioni facciali, i cambi inattesi di tono di voce, la mimica esasperata, la follia e il sadismo dell’attrice. È uno sguardo ovviamente unilaterale quello che viene offerto: fatto di frammenti di un’esistenza (il film è un susseguirsi di episodi lontani tra loro nel tempo, quasi una selezione o un’antologia di momenti terribili dal punto di vista del rapporto tra genitori e figli), in cui al declino dell’immagine mitica della diva adorata dalla folla, si contrappone la nascita della figura terrificante e sadica di una madre che sfoga le proprie frustrazioni e le proprie ossessioni (prima fra tutte quella dell’ordine e della pulizia) sulla figlia adottiva. Al di là dei motivi che hanno spinto Christina Crawford a scrivere il libro da cui è tratto il film, Mammina cara è una di quelle opere che sembrano voler lasciare sullo sfondo la complessità di un’esistenza. L’ellissi è la figura più utilizzata nel film, tutto ciò che riguarda la vita pubblica dell’attrice, le sue relazioni personali, il rapporto con il cinema, con il lavoro di attrice è quasi invisibile, lasciato fuori campo. Al contrario, ogni eccesso di furore di Joan nei confronti di Christina (sullo sfondo restano gli altri tre figli adottivi, e, a parte Christopher, delle altre due non si fa assolutamente cenno) viene accentuato, esasperato, diventa il fulcro assoluto della narrazione, quasi trasformando la figura della famosa attrice hollywoodiana in una personaggio fuoriuscito da una pellicola horror. Alcune sequenze del film sono divenute, proprio per questo, famose: quando Joan taglia ferocemente i capelli alla piccola Christina o quando la picchia con la gruccia di ferro e la costringe a ripulire il bagno in piena notte o, ancora, quando prova a strangolarla perché l’ha contraddetta di fronte ad un giornalista; in tutti questi momenti, nel film domina la recitazione eccessiva e sopra le righe di Faye Dunaway, quasi che la sua immagine fosse, non un tentativo di ricostruzione della sua figura, ma il risultato dello sguardo carico di risentimento e di terrore di Christina nei confronti della madre. È proprio questo squilibrio rappresentativo a costituire uno degli elementi più delicati del film e che gli ha fatto ottenere uno dei premi meno ambiti: il premio Razzie come peggior film del decennio.
Il ruolo del minore e la sua rappresentazione
L’infanzia come tortura
Tutto il film sembra suggerire (in modo piuttosto esplicito) che la decisione di Joan Crawford di adottare dei bambini non provenga dall’istinto materno, da quello che oggi viene indicato come “desiderio di genitorialità” che non può essere soddisfatto, ma dalla necessità di farsi pubblicità e di utilizzare i figli adottivi come testimonial della sua vita affettiva. Questa mancanza di amore materno diventa nel film il motivo di base del rapporto tra Joan e Christina. La figlia della diva diventa la principale valvola di sfogo dell’attrice, l’occasione per liberarsi di tutte le proprie tensioni e perversioni. Anche per questo la bambina viene punita così duramente ad ogni sia pur timido tentativo di ribellione: la sua esistenza dipende totalmente dalla volontà della madre-padrona, ogni espressione di una propria volontà, di un proprio desiderio autonomo da quelli di Joan viene soffocato sul nascere. Ogni punizione di Joan è infatti avvilente, ha come scopo quello di annullare la personalità di Christina: il taglio di capelli che la bambina deve subire è ovviamente umiliante, così come l’essere costretta a pulire il bagno dopo che Joan, come una furia, ha quasi distrutto la stanza. L’atteggiamento di Joan nei confronti di Christina è di competizione: la sfida in piscina a chi nuota più veloce vede ovviamente vincitrice Joan (e Christina puntualmente punita per il suo disappunto); quando Christina adulta ed avviata alla carriera di attrice, giace a letto ammalata, la madre ne approfitta per rubarle la parte. L’atteggiamento di Christina è quella di chi prova un costante timore, una sensazione di paura continua della madre e dei suoi improvvisi e ingiustificati attacchi di violenza e di furore. Ma la ragazza rimane legata a Joan fino all’ultimo, all’interno di una relazione perversa dalla quale non riesce a staccarsi se non dopo la morte della madre (piange al funerale), nel momento in cui confessa al fratello di avere intenzione di scrivere un libro che possa vendicare entrambi. In questo senso, il legame di intimidazione e violenza che attraversa il film funziona come collante che lega insieme la vita di Joan e quella di Christina: Joan si serve della figlia adottiva per poter sfogare le sue frustrazioni e come oggetto delle sue sadiche esplosioni furiose. Christina non riesce a staccarsi dalla madre, paralizzata dal terrore e, al tempo stesso, quasi soggiogata dal fascino magnetico di Joan Crawford.
Riferimento ad altre pellicole e spunti didattici
Il cinema ha indagato spesso i rapporti familiari e le problematiche relative al rapporto genitori/figli e, soprattutto, ha indagato le forme del malessere femminile legato alla notorietà o alla pesantezza della vita pubblica di una persona famosa. Particolare in questo senso il percorso di un film come The Hours (Id., USA, 2002) di Stephen Daldry, che racconta la storia di tre donne in tre epoche diverse ispirate in vario modo alle vicende del romanzo di Virginia Woolf, Mrs. Dalloway. Un’altra biografia filmata di un’attrice, caratterizzata dalla difficile relazione madre/figlia, è senz’altro Frances (Id., USA, 1982), di Graeme Clifford, ritratto della giovane e sfortunata attrice hollywoodiana Frances Farmer, la cui tragica vicenda è stata determinata anche dal rapporto problematico con una madre ossessiva e dominatrice. Più di tutti, però, a costituire un vero e proprio esempio speculare rispetto al film di Perry è Clean di Olivier Assayas (Canada/Francia/GB, 2004), nel quale una giovane rockstar ritenuta colpevole della morte del compagno, dopo aver scontato alcuni anni di carcere, cerca di conciliare la realizzazione professionale, la ricostruzione della propria identità e il difficile recupero del rapporto con il suo bambino che, per anni, aveva trascurato. Il rapporto con la madre viene riletto in chiave di commedia da Woody Allen in molti suoi film, soprattutto nell’episodio da lui diretto per il film a episodi New York Stories (Id. Usa, 1989). Nell’episodio, il personaggio principale immagina che la propria ossessiva e possessiva madre si manifesti, dopo la morte, nel cielo di New York, raccontando a tutta la città episodi privati della sua vita con il figlio. Sul rapporto difficile tra genitori e figli si muove il cinema del più importante regista moderno filippino, Lino Brocka, rileggendo le dinamiche familiari come luoghi di conflitto e di potere, ad esempio con film come Ang Tatay Kong Nanay (Mio padre, mia madre, Filippine, 1978) o Ina, Kapatid, Anak (Madre, sorella, figlia, Filippine, 1979). Infine, per confrontare lo sguardo soggettivo di Christina Crawford con altre interpretazioni della vita di sua madre, si può vedere il film documentario Joan Crawford: The Ultimate Movie Star (Joan Crawford: l’estrema stella del cinema, USA, 1996) di Peter Fitzgerald. Difficile, inoltre, non accostare a Mammina cara a un vero e proprio horror come Carrie – Lo sguardo di Satana (Carrie, USA, 1976) di Brian De Palma nel quale la giovane protagonista è vessata da una madre puritana, mentre sul versante opposto, quello delle madri eccessivamente prodighe di attenzioni, si può segnalare quella di About a Boy – Un ragazzo (F/Gb/USA, 2002) di Paul e Chris Weisz. Speculare al rapporto tra madre e figlia rappresentato nel film di Perry è quello messo in scena in Bellissima (I, 1951) di Luchino Visconti: nel tentativo di affermarsi socialmente entrando nel mondo del cinema, la protagonista, interpretata memorabilmente da Anna Magnani, fa della figlioletta l’oggetto di un eccesso di aspettative, lo schermo sul quale proiettare le proprie ambizioni frustrate. Daniele Dottorini