di Luca Guadagnino
(Italia, 2003)
Sinossi
Quattro ragazzi – Antonio, Edo, Francesca e Morgana – si ritrovano per caso a condividere una settimana a Catania, città barocca dove brulicano artisti di ogni risma che ne animano le notti. Ma la città siciliana è anche stratificazione etnica, come i quattro possono sperimentare durante la loro permanenza in ostello, luogo di passaggio e di scambio tra diverse esperienze e visioni del mondo. Dal suono dei tamburi di una band senegalese al ritmo di Ludovic Llorca e al rock elettronico dei Planet Funk, passando per le performance di Vladislav Delay – soltanto per dirne alcuni – Mundo civilizado ci porta per mano nei meandri delle notti catanesi, offrendoci sprazzi di pensieri, parole e sensazioni di una gioventù alla ricerca dei propri spazi. Seguendo le tracce di una generazione ormai abituata (almeno apparentemente) alla multiculturalità, il documentario attraversa indistintamente luoghi aperti e chiusi, passando dagli splendidi paesaggi (montuosi e marini) siciliani, alle sale prove e alle discoteche che sembrano pullulare ovunque in città, senza dimenticare le strade e le piazze in cui dominano i tratti del barocco siciliano. Dopo questo lungo peregrinare tra i colori, i suoni e gli odori della città, il finale di Mundo civilizado ci riporta fuori dalla polis, in mezzo alla natura affascinante e al tempo stesso terrificante di una Sicilia in cui convivono le acque cristalline del mare e le bocche di fuoco del vulcano che incombe minaccioso, ma che rappresenta il simbolo più calzante di una gioventù sempre sul punto di esplodere.
Introduzione al Film
La civiltà sonora Mundo Civilizado è il terzo lungometraggio di Luca Guadagnino, che ha esordito alla regia con un film piuttosto eccentrico e fuori dalla righe come The Protagonist (id., Italia, 1999). Nella produzione del regista palermitano la forma documentario riveste un ruolo importante, come testimoniano altri suoi due lavori come Tilda Swinton: The Love Factory (id., Italia, 2002) e Cuoco contadino (id., Italia, 2004), mentre posteriore è il suo primo lungometraggio puramente di fiction, ovvero Melissa P. (id., Italia, 2005), dal nome della scrittrice del best seller Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire da cui è tratto il film. In Mundo Civilizado è evidente sin dall’inizio anche l’esperienza che Guadagnino ha maturato nel campo del videoclip, e non soltanto per la presenza costante dalla musica, in una Catania un tempo soprannominata la “Seattle italiana” – anche se a dire il vero qua suona di più l’elettronica che non il rock – ma anche e soprattutto per il modo di girare, che sembra ricercare il ritmo delle pulsazioni di una città che a volte scade nel luogo comune di ritrovo trendy. Il tratto distintivo di Guadagnino, così come emergeva anche dai precedenti lavori, è senz’altro quello di un regista molto legato all’istintività, a cui piace perdersi dietro le traiettorie dei propri personaggi piuttosto che tra le righe di una sceneggiatura. In questo caso si affida a quattro attori giovani come Valentina Cervi, Fabrizia Sacchi, Libero De Rienzo e Claudio Gioè per accompagnare gli altri in un percorso che lasci emergere le emozioni al di sopra della storia, che ha tutte le sembianze di un canovaccio per l’improvvisazione a cui adattare di volta in volta, in base alle esigenze, i diversi formati (dal video al 16 millimetri). Da questo caos di immagini e di suoni prendono vita le contraddizione di questo mondo civilizzato – titolo che riprende la performance di Arto Lindsay, uno degli artisti protagonisti del film – che non sembra in grado di offrire alternative alla voglia di esplodere di una gioventù che si conquista da sola i propri spazi (come in fondo da sempre accade nel nostro paese). Ecco allora spiegato il motivo della scritta iniziale, che ci consiglia di guardare questo documentario con il volume alzato al massimo, in modo da lasciarsi andare con i protagonisti di una generazione che siamo abituati ad osservare attraverso le immagini stereotipate della televisione, dove i sogni e le aspirazioni vengono truccati a dovere per esigenze dell'Auditel. Al di là delle buone intenzioni, il lavoro di Guadagnino sembra però ancora troppo legato per certi aspetti ad un’estetica televisiva – quella alla Lucignolo, il noto programma della Mediaset sui trend e le mode giovanili, per intenderci – che richiama suo malgrado, finendo per cadere troppo spesso nell’autocompiacimento di un documentario che lascia con la sensazione di essere inconcluso, come degli appunti di viaggio che aspettano ancora di avere una loro forma definitiva. Alla fine della visione resta poco della vita di questi ragazzi, e molto di più delle note e del ritmo martellante degli artisti più disparati che si avvicendano nelle notti catanesi, un ritmo che acquista forza anche grazie all'ottimo lavoro di montaggio firmato da Walter Fasano.
Il ruolo del minore e la sua rappresentazione
Uno sguardo sui giovani La scelta di Catania come set naturale dà senz’altro il senso dell’idea della prospettiva adottata dal regista Luca Guadagnino: mostrare dei giovani diversi da quelli di cui ci parla non soltanto la televisione, ma anche molto cinema italiano. I ragazzi di Mundo civilizado non sono i bellocci che ballano e cantano durante i programmi in onda sul piccolo schermo, ma non hanno neanche le caratteristiche dei balordi e dei teppisti, come invece capita spesso di vedere all’interno dei telegiornali. Sono invece ragazzi che hanno voglia di conoscere il mondo, d’immergersi tra i loro coetanei provenienti da altri paesi, e in questo la musica li aiuta, perché svolge oggi come ieri la funzione di aggregare persone conosciute e non, che nel ritmo del ballo perdono momentaneamente la propria identità per fondersi con quella del gruppo – del gruppo che suona e di quello che si dimena ascoltandolo. I quattro protagonisti del documentario rappresentano ancora una buona fetta di questa Italia di studenti e precari senza un futuro scritto, ma con tanta voglia di seguire i propri sogni: Edo, un disoccupato che vive con la nonna; Francesca, una ventiduenne che studia a Brera; Morgana, argentina di 24 anni, che vuole fare l'attrice e che ha appena preso la cittadinanza italiana; Antonio di Asti, un ventunenne studente svogliato. Forse una delle debolezze del film di Guadagnino è proprio quella d'indugiare un po' troppo su queste caratteristiche, di farle quasi assurgere a condizione esistenziale, nonostante il documentario nasca come una sorta d'istantanea sul presente. Ciò che manca è insomma la prospettiva di un futuro che non rimanga soltanto sognato, pura utopia, ma che lasci delle prove di una sua possibile concretizzazione. Se da una parte si tratta di un effetto stilistico – dettato dalla necessità di stare addosso ai corpi, di seguirli nelle loro peregrinazioni (e improvvisazioni) quotidiane – dall’altra questa mancanza rischia di offrire proprio quell'immagine negativa delle nuove generazioni che invece il documentario vorrebbe smentire, almeno negli intenti. Lo spettatore rischia insomma di smarrirsi nel tumulto delle sensazioni, sonore e visive, senza però riuscire a ritrovare, alla fine della visione, un gesto che prosegua idealmente questa ricerca, che mantenga viva la prospettiva di un cambiamento. Più che di un difetto generazionale, sembrerebbe insomma un difetto di regia, nonostante nella seconda parte del film i protagonisti non si risparmino nel renderci partecipi delle loro idee sulla politica, sull'amore e sul futuro. Un futuro che però resta appeso alla scena finale, che li vede lontani da quel mondo civilizzato in cui sono stati immersi durante tutto il resto del documentario – ad eccezione di alcune sporadiche scene – e che ha il sapore di un sogno ad occhi aperti che non rende giustizia della rabbia per il senso d'impotenza che molti giovani d'oggi si trovano costretti a gestire quotidianamente.
Riferimento ad altre pellicole e spunti didattici
Per i contenuti, legati ad esperienze riconducibili in parte all'universo degli studenti fuori sede, la visione del film è consigliata agli studenti delle scuole medie superiori. Per i temi trattati e per lo stretto legame che intreccia con la musica, sono diverse le pellicole con cui il documentario di Luca Guadagnino stabilisce più di una parentela. Da una parte, vista anche la comune origine siciliana, vengono in mente i due musical di Roberta Torre – Tano da morire (id., Italia, 1997) e Sud Side Stori (id., Italia, 2000) – dall’altra non si possono non citare film chiaramente ispirati dalla musica, che indagano sotto vari aspetti i sogni e le pulsioni delle giovani generazioni, come accade in Jack Frusciante è uscito dal gruppo (id., Italia, 1996) di Enza Neroni, in Ovosodo (id., Italia, 1997) di Paolo Virzì o in La guerra degli Antò (id., Italia, 1999) di Riccardo Milani. Simone Ghelli