di Zhang Yimou
(Cina, 1999)
Sinossi
La quattordicenne Wei Minzhi accetta di fare la supplente nella scuola di un povero villaggio rurale per una manciata di yuan. Il suo unico compito è evitare che i bambini abbandonino gli studi. Senza alcuna esperienza e senza alcuno spirito pedagogico, Wei cerca di gestire alla meglio una classe di venti bambini. Quando un allenatore sportivo invita una sua alunna ad andare in città per studiare (e nel frattempo allenarsi per diventare un’atleta), Wei fa di tutto per ostacolarla; quando Zhang Huike, il bambino più esagitato della classe, va nella capitale per lavorare e pagare i debiti della famiglia, Wei si lancia alla sua ricerca, abbandonando per qualche giorno gli altri allievi. Dopo giornate passate a vagare invano per le vie caotiche di una metropoli cinese, Wei si affida alla televisione. Sarà per merito di un suo accorato appello in un programma TV che Zhang Huike verrà ritrovato e riportato al villaggio.
Analisi
In Non uno di meno Zhang Yimou include il lavoro minorile nell’alveo di un modello di vita, quello contadino, che giudica ancora saldamente legato ad un robusto reticolato di valori. Senza nascondere gli aspetti più contraddittori dell’inserimento lavorativo in tenera età (l’inesperienza della giovane insegnante, la sua testarda ottusità nel seguire alla lettera il mandato ricevuto, l’egoismo del capo villaggio che sfrutta la sua carica per oltrepassare i dictat della ragazza, la diffusa povertà delle campagne che costringe ogni suo abitante a lavorare), senza celare neppure i propositi meramente egoistici che spingono Wei ad accettare l’incarico (andrà alla ricerca di Zhang Huike solo per la ricompensa, non certo per altruismo o per lottare contro il fenomeno dell’abbandono scolastico), il regista ci descrive una comunità rurale che mantiene la propria compattezza e la propria ricchezza valoriale attorno alle due colonne su cui si fonda ogni società: il lavoro e l’educazione. Nel villaggio, e ancor di più all’interno della classe di Wei, è impossibile discernere attività produttiva e momento dell’apprendimento. I bambini imparano a contare perché vogliono sapere quanti mattoni devono spostare per racimolare la somma sufficiente a comprare un biglietto per l’autobus che va in città; la maestrina inizia ad esercitare il proprio ruolo pedagogico solo quando rinuncia alle lezioni teoriche o semplicemente meccaniche (copiare dei testi alla lavagna e sui quaderni) e stabilisce con i suoi alunni un’alleanza fondata sulla condivisione di un obiettivo comune e sul lavoro di gruppo. A differenza di quanto avviene nella metropoli, le attività svolte nel villaggio – poco importa se catalogabili come “lavoro”, come “studio” o come “sfruttamento” – seguono una ragione pragmatica ed etica al tempo stesso: l’altruismo e l’aiuto reciproco. Il proprietario del cantiere regala alcuni soldi alla maestra perché, da giovane, era stato alunno del vecchio insegnante; il capo villaggio usa metodi poco ortodossi (paga un alunno per fare la spia) per una giusta causa (spedire una ragazza a studiare in città per garantirle un futuro migliore); i bambini non esitano a passarsi fraternamente la sola lattina di “Coca cola” che possono permettersi di comprare; Wei Minzhi, seppur impreparata e dilettantistica nei metodi “educativi”, svolge un ruolo importante in quel villaggio, garantendo un minimo di istruzione ai bambini e, elemento non secondario, un tetto e un pasto caldo per coloro che non lo hanno. In città, al contrario, il lavoro minorile appare trasformarsi immediatamente in sfruttamento, in egoismo e in mera sopravvivenza: Zhang Huike si comporta in maniera altruistica trasferendosi in città per saldare i debiti della famiglia, ma così facendo si sradica dalla propria terra e soprattutto dalla propria famiglia; la ragazza che aiuta Wei nella ricerca di Zhang Huike, oltre ad agire per mere esigenze economiche, non sarà neppure in grado di portare a termine il lavoro per cui è stata pagata (trovare l’alunno di Wei). In estrema sintesi, al di là del finale edulcorato e di uno stile che appare solo superficialmente realista, Zhang Yimou raccoglie la sfida della contemporaneità e, con Non uno di meno e La locanda della felicità, prova a descrivere la rivoluzione economica che sta spossando la società cinese, ormai dimentica del proprio passato contadino e comunista, ma non ancora preparata al suo presente metropolitano e capitalista.
Significativo, a proposito, che il regista cinese abbia scelto di raccontare questi cambiamenti attraverso gli occhi degli adolescenti, probabilmente la fascia d’età più debole e più permeabile alle contraddizioni sociali che vive oggigiorno la Cina.