(Australia, 1975) regia di Peter Weir
Sinossi
Il giorno di San Valentino del 1900, le allieve del collegio Appleyard, rinomato luogo di educazione per le figlie dell’alta società, si preparano per una scampagnata.
La sola Sara, innamorata segretamente di Miranda, non può seguire le amiche nella gita. Il luogo della metà è Hanging Rock, un gruppo roccioso di interesse geologico che svetta non lontano dalla scuola, ma la cui nomea non è certo tranquillizzante. Non per niente la preside della scuola intima alle ragazze di non salire sulle rocce. Con il permesso di Miss Craw, responsabile del gruppo, quattro ragazze ottengono di salire tra le rocce per meglio esaminarle. La più grassa delle quattro esausta e impaurita torna indietro, le altre tre affascinate dalla natura selvaggia proseguono il loro percorso fino a scomparire. Anche Miss Craw, allarmata per il ritardo, insegue le disperse e sparisce a sua volta. Per alcuni giorni la polizia, invano, porta avanti le ricerche, ma solo un ricco ragazzo inglese, Michael, che aveva visto Miranda poco prima che sparisse e se ne era innamorato immediatamente, dimostra di voler cercare con risolutezza le ragazze. Dopo una settimana, grazie anche all’aiuto del domestico Albert, Michael trova ancora viva e in uno strano stato ipnotico una delle ragazze, Irma. Nel frattempo Sara, disperata per la scomparsa di Miranda, incorre anche nelle furie della preside, visto che il suo istitutore non paga le rette della scuola. Per il collegio l’affare ‘Hanging Rock’ si rivela deleterio: molte ragazze vengono ritirate dal collegio; per ultimo, Sara viene trovata morta suicida nella serra. Il film finisce con la scoperta della morte di Sara ma una voce fuori campo ci avverte di un successivo finale: la preside viene trovata morta ai piedi del massiccio di Hanging Rock, mentre di Miranda, Marion e Miss Craw non se ne è saputo più nulla.
Analisi
La lunga carrellata finale del film ci mostra, in ralenti, le ragazze del collegio intente a riposarsi sull’erba, adagiate aristocraticamente su teli bianchi, vestite a festa, rilassate e persino felici, candide come le loro bianche vesti. Assomiglierebbero alle protagoniste di "Une dimanche après-midi à l'Ile de la Grande Jatte", quadro post-impressionista di George Seurat, se ci fosse un calmo fiume su un lato del quadro. Al contrario invece ci sono delle rocce alte, grandi, immense che ostruiscono la vista, producono una minacciosa ombra sulle ragazze, aumentano quel senso di irrealtà che è già sottolineato dal rallentamento del procedere narrativo. Il film si può ben condensare in questa sequenza: ad un’apparenza di vittoriana eleganza, di fresca giovinezza, di imperturbabile armonia (ben riassunte dai volti delle giovani ragazze del collegio), tipica di una società di stampo anglosassone, si contrappone invece una realtà misteriosa, incomprensibile, inumana che non si vede ma c’è, che sembra inoffensiva, come le rocce di Hanging Rock, ma che invece è terribilmente pericolosa in quanto esente da qualsiasi legge umana. Dunque non una dimensione ultra-terrena, spirituale, demoniaca – in quanto rientrerebbe all’interno di categorie che, seppur irreali, sono comprensibili dall’uomo – ma una dimensione altra, non catalogabile, non suscettibile ad analisi o a tentativi di spiegazione. Tale sensazione è perseguita in Picnic at Hanging Rock non solo attraverso il ricorso ai codici del genere horror, anche se l’inquietudine su cui gioca il film tocca le stesse corde emozionali dello spettatore: la pellicola punta piuttosto ad alterare le regole del genere – o a mischiare più generi cinematografici, come il poliziesco, nella parte delle ricerche, il film etnografico con le riprese degli insetti o delle rocce, il film romantico grazie alla presenza di Sara e Michael e così via – per produrre spiazzamento, senso dell’irrisolto, immobilismo. Alla fine del film siamo praticamente nella stessa condizione in cui eravamo all’inizio, dopo che un cartello ci informava dell’avvenuta scomparsa di alcune ragazze. Ciò che interessa di più Peter Weir – a onor del vero un interesse che manifesterà compiutamente in quasi tutte le sue pellicole da Witness il testimone a L’attimo fuggente, da Mosquito coast a The Truman Show – è dunque comprendere la vera natura dell’uomo, le ossessioni e le emozioni che lo scuotono nel profondo, la ricerca di un percorso di vita autentico, al di là delle maschere e delle apparenze. Tale ricerca, per un australiano purosangue come Weir, si àncora indissolubilmente alla forza enigmatica della natura, alla pulsione che essa produce nell’uomo, del quale è schiava ma, se vuole, anche è padrona e sovrana. In un mondo che da sempre vuole dominare la natura, se non sostituirsi ad essa – attraverso il rigido, formalistico e opprimente codice vittoriano di questo film che reprime gli istinti sessuali più naturali; oppure attraverso la vanesia dell’Harrison Ford di Mosquito Coast, che non vuole vivere secondo natura, ma vuole dominarla; o ancora attraverso l’artificiosa e destinata al fallimento onnipotenza di Kristof, il regista di The Truman show, il demiurgo di un intero universo che sarà poi sconfitto, come vendetta vuole, dal suo stesso ‘prodotto’ – esiste sempre la possibilità che il singolo individuo si ribelli ad esso, trovando soluzioni che sconfessano il sistema ma che spesso lo conducono fuori da esso, senza soluzioni alternative. La figura di Miranda è in tal senso esemplare: essa rappresenta la bellezza botticelliana, irraggiungibile, incontenibile. Chi si specchia nel suo volto si innamora perdutamente e abbandona qualsiasi comportamento logico e razionale, come Sara e come l’inglese Michael. Tuttavia è una bellezza che non può essere toccata e limitata: il provvedimento imposto dalla preside del collegio, rappresentante dell’istituzione e dell’ordine costituito, quello cioè di non salire sulle rocce per il troppo pericolo, è un fallace modo per contenere la forza dell’individuo all’interno di norme non convenzionate (ovvero non stabilite da entrambe le parti, ma da una sola). La morte della preside proprio in quelle rocce, ci immaginiamo in un disperato tentativo di trovare le ragazze per fermare il crollo della credibilità della scuola, è un contrappasso per aver cercato di vincolare lo spirito della ragazza. “C’è un tempo, in un luogo giusto, in cui qualsiasi cosa ha un principio e un fine”? Nel tentativo di dare un senso a queste parole, pronunciate da Miranda con ferma sicurezza, le tre ragazze si avventurano così tra le rocce di Hanging Rock. Ma il fatto di non essere tornate può significare solo due cose: o hanno trovato il posto cercato in un’altra dimensione sia spaziale che temporale inintelligibile o il viaggio è un viaggio di non-ritorno per l’irraggiungibile obiettivo fissato. Esiste dunque questo luogo giusto? Anche questo dubbio è destinato a non trovare soluzione.
Marco Dalla Gassa