Preferisco il rumore del mare

regia di Mimmo Calopresti

(Italia, 1999)

Sinossi

Rosario è un ragazzo quindicenne calabrese chiuso e scontroso. Ha da poco perso la madre per una vendetta mafiosa, mentre il padre è rinchiuso in carcere. Vive solo in un collegio di Reggio Calabria. Al suo destino si interessa un suo lontano parente, Luigi, dirigente di un’industria di Torino. Quando quest’ultimo viene a sapere che Rosario è stato incarcerato per aver spaccato la testa ad un ragazzo, fa in modo che venga preso in una comunità di recupero gestita da Don Lorenzo, un prete di strada di un quartiere residenziale del capoluogo piemontese. Salito a Torino, Rosario inizia a lavorare in una libreria, a studiare diligentemente e a frequentare il figlio di Luigi, Matteo. Coetaneo di Rosario, Matteo è tutto il contrario dell’amico calabrese: insicuro, snob, succube dell’autoritarismo del padre e sofferente per la separazione dei genitori. Luigi, infatti, vive da solo con Matteo e frequenta segretamente Serena, una ragazza innamorata dell’uomo, ma sofferente per la loro storia clandestina. Tra alti e bassi l’amicizia tra i due ragazzi va avanti fino a quando Matteo ruba un orologio del padre, facendo in modo che Rosario venga accusato, ingiustamente, del furto. Il ragazzo decide così di non volere più aver niente a che fare con quella famiglia. La solitudine e la disperazione di Matteo si acuisce sempre di più: non solo ha perso un amico, ma anche il padre sembra non capirlo per niente, preoccupato per la relazione con Serena e soprattutto perché il titolare dell’azienda, suo suocero, lo ha invischiato in un giro di corruzione. La notte di capodanno, mentre Rosario festeggia in comunità e Luigi partecipa da solo ad una festa, Matteo, ubriaco, distrugge tutta la casa e prende un flacone di medicine. In fin di vita chiama Rosario che corre ad aiutarlo. Poco dopo sopraggiunge anche Luigi che soccorre il figlio e lo porta in ospedale. Prima di salire in auto, minaccia Rosario urlandogli di non farsi più vedere. Il ragazzo calabrese, orami irretito, decide di tornarsene in Calabria, accompagnato da Don Lorenzo.

Presentazione Critica

Iniziamo dalla fine: Matteo è ricoverato in un ospedale torinese; Rosario, rinchiuso in un carcere minorile di Reggio, è sfottuto dai compagni perché non gioca a pallone con loro ma legge un libro; Luigi ha perso Serena, stufa della relazione clandestina e delle poche attenzioni dell’uomo, e rischia di essere incriminato per corruzione, anche se sembra che il vero responsabile degli atti illegali sia il suocero, proprietario dell’industria che dirige Luigi; Don Lorenzo non è riuscito a fermare la fuga di Rosario e soprattutto non ha mai preso in considerazione una ragazza tossicodipendente che se ne stava sempre all’ingresso della sua comunità e che invece ora è morta per overdose senza che il prete avesse fatto nulla per evitare quest’ennesima tragedia. Tutti i personaggi si trovano davanti al loro fallimento, davanti alla solitudine e alla consapevolezza della propria inadeguatezza. Inadeguatezza a parlare e a comunicare con gli altri soprattutto: Matteo si è fatto scappare l’unico amico che aveva per non aver saputo parlare con lui; Luigi si è fatto sfuggire Serena perché incapace di capirla, non è riuscito a creare un contatto con Matteo per lo stesso motivo; Don Lorenzo, nonostante la sua continua opera di bene, non ha compreso il linguaggio con cui la tossicodipendente chiedeva aiuto; lo stesso Rosario, chiuso in lunghi silenzi, culla la propria solitudine ignorando, respingendo o disprezzando gli altri, tanto che di fronte alla richiesta di alcuni ragazzi di giocare a pallone, egli risponde leggendo un libro da solo. Il panorama descritto da Mimmo Calopresti è dunque intriso di linguaggi che non si comprendono, che si intrecciano ma non si uniscono, divisi da differenze di classe, di provenienza geografica, di generazione. Un segno di sconfitta che sembra radicato nel dna di ognuno, un destino che coinvolge non solo i personaggi principali del film ma anche le figure secondarie come la madre di Matteo, il nonno, la tata, la stessa Serena.

L’incapacità di comunicare si riflette sull’incapacità di scelta: i personaggi del film non sanno scegliere, fanno in modo che le scelte siano stabilite da altri o, alla peggio, decidono per gli altri e non per se stessi. Il suocero di Luigi sceglie e stabilisce il destino del genero, quest’ultimo si rivale sostituendosi al figlio Matteo (ordina per lui al ristorante, gli ‘impone’ l’amicizia con Rosario) o modificando il destino degli altri (come nel caso di Serena e di Rosario), Matteo tenta di crearsi una propria identità minacciando il destino degli altri (ruba i soldi e l’orologio sapendo che sarebbe stato Rosario l’accusato del furto) o addirittura cancellando il proprio con il suicidio. Rosario è alla fine l’unico personaggio che sa scegliere, che ‘preferisce’ il rumore del mare, dunque che stabilisce una direzione arbitraria, anche se non libera, alla propria strada. Il titolo del film è ispirato ad un verso del poeta Dino Campana che, nel suo poema I canti orfici, asseriva: “Fabbricare, fabbricare, fabbricare, preferisco il rumore del mare”. L’unico gesto di vera comunicazione sembra essere, così, la nuotata di Rosario nel mare, se per comunicazione si intende appunto un immergersi nell’altro, un compenetrarsi di due entità. Per il resto, e altre citazioni ci indicano lo scacco della scelta, non c’è abbastanza forza per prendere delle decisioni, disattendendo l’esempio dei modelli che i protagonisti, di volta in volta, fanno propri: la canzone Il pescatore di Fabrizio De André nella quale la comunicazione tra un pescatore e un assassino avviene senza parole, ma solo attraverso uno sguardo; il libro Cuore, una sorta di opposto speculare dell’amicizia tra Matteo e Rosario; la passione di Luigi per la squadra di calcio del Torino che ha alcune caratteristiche unanimemente riconosciute e assolutamente assenti in Luigi: cuore, temerarietà, capacità di soffrire. Il periodare di Calopresti, sempre a tono basso, dalle tinte grigie (si veda l’ufficio dove lavora Luigi), e dai lunghi silenzi, si scontra tuttavia contro una rappresentazione dei personaggi che appare stereotipata: il ragazzino viziato e problematico che sente la musica ad alto volume e che soffre in silenzio per la separazione dei suoi genitori; il ragazzo meridionale introverso che attacca tutti e spara solo verità; l’amante segreta che soffre in silenzio; il dirigente di industria cinico, duro, ottuso alle richieste del figlio e con i sensi di colpa. In tal modo, gli stereotipi e anche una recitazione poco convincente finiscono per rovinare, occorre dirlo con rammarico, lo stile con cui Calopresti guida la macchina da presa. Il suo essere vicino e insieme distaccato dai suoi personaggi è, infatti, un buon modo per entrare, con pudore e senza una smaccata identificazione, nelle storie dei personaggi. Storie che in definitiva appartengono ad ogni individuo: un’amicizia destinata a finire in fretta ma intensa e indelebile, la crisi di un uomo di mezza età di fronte a ciò che è diventato nella vita.

Marco Dalla Gassa