Fondazione Giovanni Agnelli
Roma, GLF editori Laterza, 2009
Una delle domande fondamentali che oggi la scuola italiana si pone è legata al suo futuro, vista la perdita di competitività e la carenza di innovazione della nostra economia negli ultimi venti anni. Le ricerche OCSE-PISA rilevano l’incapacità dei quindicenni italiani, in particolare quelli del Sud, di utilizzare le conoscenze apprese a scuola per risolvere problemi della vita quotidiana.
In particolare le indagini hanno rilevato un gap tra le competenze matematico scientifiche e la capacità di lettura e interpretazione dei testi tra i ragazzi del Nord e quelli del Sud.
La messa in pratica del nuovo titolo V della Costituzione, che anche per ciò che concerne l’istruzione prevede un ampio trasferimento di poteri legislativi dallo Stato alle Regioni, auspicherebbe che le decisioni politiche abbiano come obiettivo il miglioramento e la diminuzione delle differenze negli apprendimenti tra il Nord e il Sud d’Italia. Seppure il principio sia inderogabile, il rischio che questo non avvenga è molto alto.
Per affrontare questi difficili nodi, prima di tutto la scuola deve aprirsi al confronto con gli altri Paesi, inoltre non deve credere che sia esistita “un’età dell’oro” della scuola a cui ritornare, così come deve ridare prestigio sociale agli insegnanti e, non ultimo, attuare riforme pensate su quello che sarà il ruolo del sistema formativo nei prossimi anni.
A livello europeo e negli Stati Uniti, negli ultimi decenni si è lavorato, sia alla creazione di indicatori internazionali sui sistemi scolastici utilizzabili nei diversi contesti nazionali, sia alla realizzazione delle valutazioni del profitto scolastico. Perché ciò accada è necessario realizzare sistemi scolastici più moderni in cui gli studenti possano connettersi con un’ampia gamma di strumenti di informazione in ogni momento.
Anche dal punto di vista dell’organizzazione scolastica, il processo di trasformazione iniziato ormai da circa dieci anni con la legge sull’autonomia, mostra che vi sono problematiche strutturali di difficile risoluzione. Analizzando il percorso fino a oggi fatto, si rileva che l’autonomia scolastica andrebbe rafforzata in particolare sul piano della gestione delle risorse umane.
Se osserviamo i percorsi professionali e la motivazione degli insegnanti, si vede che la situazione è molto complessa. A partire dal numero esatto degli insegnanti – che nessuno conosce – negli anni si sono susseguiti provvedimenti in materia di reclutamento che hanno fatto registrare non pochi problemi nella gestione del personale.
I dirigenti scolastici non hanno il potere di scegliere i docenti con cui lavorare ed è solo un complicato meccanismo burocratico costituito da punteggi acquisiti attraverso i titoli e l’anzianità, che permette ai docenti di entrare in ruolo, ma poi, per i trasferimenti, non possono far altro che appellarsi ai carichi familiari.
Dando voce agli studenti e spostando lo sguardo sulla scelta dei corsi di studio compiuti, si rileva che il ragazzo sceglie la scuola sulla base del contesto familiare in cui è cresciuto. La scelta di un ragazzo che ha genitori che hanno studiato si indirizza molto più facilmente verso il liceo piuttosto che verso la scuola professionale, quindi le origini sociali incidono ancora oggi fortemente sulla carriera scolastica intrapresa, mostrando che anche i processi di orientamento e valutazione non sono ancora in grado si accompagnare lo studente nel suo percorso decisorio.
Inoltre, ancora deve essere definito un efficace sistema di valutazione della scuola e delle competenze acquisite dagli studenti, necessario per lo sviluppo della scuola e la crescita culturale del Paese. Valutare significa far assumere maggiore responsabilità a coloro che sono i diretti fornitori dell’offerta formativa e, in assenza di valutazione, il sistema rischia di divenire autoreferenziale e statico, senza riuscire a produrre cambiamento e senza riuscire a promuovere evoluzione e miglioramento.