regia di Akira Kurosawa
(Giappone, 1991)
Sinossi
Nonna Kané, un’anziana donna sopravvissuta alla bomba atomica di Nagasaki, a causa dell’esplosione della quale ha perso il marito, riceve all’inizio dell’estate la lettera di un fratello, Suzujiro, che non vede dal 1920 e risiede alla Hawai, nelle quali è diventato cittadino americano. Suzujiro è molto malato e vorrebbe rivedere la sorella prima di morire. La donna, indifferente al viaggio, subisce l’esaltazione dei quattro giovani nipoti, e promette di partire dopo il 9 agosto, data dell’esplosione della bomba e della morte del marito, maestro perito insieme alla sua scolaresca. Sulle insistenze dei ragazzi, la donna rievoca quello che è accaduto in quel tragico giorno del 1945 e apre il cassetto dei ricordi sulla sua numerosa famiglia per cercare di rammentare elementi anche su Suzujiro. Mentre ritornano dal viaggio alle Hawai i genitori dei quattro ragazzi, fieri di essere in ottimi rapporti con il ramo americano della ricchissima famiglia e soprattutto con il figlio di Suzujiro, Clark, uno dei nipoti di Kané, Tateo, scrive a Clark dicendo che la nonna vuole commemorare la data del 9 agosto prima di partire. Preoccupati della possibile reazione contrariata dei cugini americani, i genitori dei ragazzi attendono con timore l’arrivo a Nagasaki di Clark, che credono giunto per troncare personalmente i rapporti con la famiglia giapponese a causa della lettera recapitatagli. Ma Clark, al suo arrivo, si mostra molto addolorato per la notizia della morte del marito di Kané nello scoppio della bomba. Il parente americano vuole immediatamente vedere il cortile della scuola in cui lo zio ha perso la vita e alla sera chiede umilmente scusa a Kané per non aver saputo prima la notizia. Nonostante la formale ‘riconciliazione’, Clark è costretto a ripartire per l’improvvisa morte del padre Suzujiro, mentre Kané, sconvolta dalla notizia e appressandosi la fatidica data, durante un uragano che le ricorda la tragedia di quarantacinque anni prima, corre verso la città bombardata inseguita dai nipoti.
Presentazione critica
Nella trentesima opera del maestro giapponese molti fattori convivono e si intrecciano per formare una materia narrativa che opera e si evolve in virtù di pochi e scarni elementi, i quali proprio grazie alla loro esilità forniscono le basi per una rappresentazione espressiva e corposa, stilizzata ma chiara e ben delineata nella sua ricerca del significato e della forma ad esso collegato. Kurosawa lega tra loro la cronaca intimista di un’estate trascorsa nella natura da quattro ragazzi (di un’età che approssimativamente va dai dieci ai diciotto anni) a contatto con la nonna e con il passato della loro famiglia e il ricordo doloroso della bomba atomica esplosa il 9 agosto del 1945 a Nagasaki. Non una rievocazione storica sul Giappone e nemmeno un j’accuse postumo sulla protervia bellica americana (la stessa nonna Kané ad un certo punto della pellicola sostiene: «Ho odiato la guerra...non gli americani»), ma una chiara riflessione personale sulla concezione del dolore legata a doppia mandata al piano della memoria, all’evocazione dell’affetto che fu e che non può più ritornare se non nell’intimità di un pensiero che con grande sofferenza viene recuperato nei meandri più riposti dell’animo umano. Suzujiro è il fratello di Kané, ma questa deve sforzarsi di ricordare: troppo è il dolore patito per la morte del marito all’esplosione della bomba per poter accettare che un suo diretto congiunto si sia ‘americanizzato’, accantonando l’origine e ignorando la lacerazione prodotta da quel triste giorno d’agosto. Da questo prende origine il rateale racconto di Kané sulla sua famiglia, su un altro fratello fuggito per amore con la moglie del suo datore di lavoro e stabilitosi poi simbolicamente dove due grossi cedri erano stati fulminati da un grosso lampo, su Suzukichi, impazzito e reso calvo dalle radiazioni, che dipingeva tutto il giorno occhi giganteschi, immagine inquietante del lampo prodotto nel cielo subito prima del fungo atomico. Kané non è altro che l’allegoria della persistenza della memoria, di quel ricordo che si ostina a riemergere con immenso e rispettoso dolore, di quei patimenti che occorre ricordare costantemente per non incorrere nuovamente negli orrori che li hanno prodotti. Kurosawa fornisce lungo tutta la durata della pellicola elementi per assegnare a pieno diritto questa funzione a Kané; si pensi all’ultima significativa sequenza in cui l’anziana donna, armata soltanto del suo esilissimo ombrellino, tenta di fronteggiare l’uragano che nella sua mente ormai sconvolta dall’anniversario rappresenta l’esplosione della Bomba: mentre i nipoti preoccupati la inseguono e sono seguiti dalla macchina da presa a velocità normale, la donna è mostrata al ralenti, quasi fosse una cristallizzazione del ricordo all’interno della componente tempo, non più cronologia ordinata nella sua linearità, ma fermo-immagine della memoria, immobilismo dettato dalla struggente sofferenza. Memoria che deve necessariamente essere tramandata, in modo che non si perda il senso di quella incommensurabile perdita e della devastante sofferenza che ne è conseguita. La solidarietà generazionale illustrata nell’ultima sequenza (i nipoti che inseguono preoccupati la nonna sballottata dalla metaforica tormenta) è possibile soltanto con la terza progenie: la seconda generazione, quella dei figli di Kané, è troppo interessata ai possibili vantaggi derivabili dal legame con i ricchissimi parenti americani. Sono i figli di questa egoista e leggera generazione a dimostrarsi aperti, disponibili al dialogo, affettuosi e curiosi al punto da poter raccogliere il testimone della memoria che non deve assolutamente estinguersi con Kané. Perché l’avvenire dell’uomo dipende necessariamente dal dialogo e dall’affetto. Se Kané nel suo personaggio allegorizza la persistenza della memoria di un’intera nazione, riflettendo sul concetto di vuoto e rammentando il dolore conseguente, la generazione dei nipoti, quasi fosse uno specchio in grado di riflettere le sollecitazioni prodotte e originatesi dall’anziana progenitrice, diventa necessariamente lo spazio fisico e mentale attraverso il quale la concezione della memoria trova il terreno fertile per attecchire senza preconcetti o ipocrisie. I nipoti, infatti, sono abbastanza lontani dal giorno della mattanza per poter guardare ad esso con un certo distacco critico, sono sufficientemente sinceri per accostarsi ai racconti di Kané con umiltà e autentico affetto e, infine, sono discretamente distanti per età dal pregiudizio che pare aver colpito i loro genitori, troppo schiavi delle loro posizioni acquisite nella società per posare uno sguardo vergine sulla realtà storica. L’infanzia e l’adolescenza sono le precise proposte che Kurosawa pone all’umanità per trasferire con correttezza il testimone della consapevolezza della Storia. Per non dimenticare mai. Giampiero Frasca