Storia di Piera

di Marco Ferreri

(Italia, Germania Ovest, Francia, 1983)  

Sinossi

Storia di Piera, dal giorno della sua nascita fino al momento del ritrovato rapporto con la madre, affetta da alcune patologie psicologiche e ninfomane. In un’Italia sospesa in una dimensione che non conosce la definizione precisa di tempo e una collocazione geografica sicura, la piccola Piera si ritrova a dover crescere molto in fretta per far fronte alle continue follia di una madre sempre fuori casa, alla perenne ricerca di maschi da cui ricevere sensualità e affetto. Il padre di Piera è un insegnante comunista, comprensivo al punto da rasentare l’inettitudine nei confronti della moglie, affettuoso verso la figlia in modo da rappresentare un approdo sicuro in caso di difficoltà. La vita di Piera procede così tra passeggiate ed inseguimenti sulle tracce della madre e piccole esperienze sensuali condotte in proprio. Sopraggiunta l’età adulta, Piera inizia la sua carriera di attrice, mentre i genitori cominciano la parabola discendente che li condurrà entrambi in una clinica. Sofferente per la difficoltà del rapporto con la madre, sempre più schiava del sesso, e affranta per la perdita del padre, indebolitosi con l’età, Piera continua nelle sue esperienze di vita e carnalità, fino a quando si reca con la madre su una spiaggia per un congiungimento tra corpi nudi che si basa sull’essenza della femminilità.

Presentazione critica

Nell’ultima scena del film, Piera e la madre si recano in riva al mare, su quella spiaggia su cui Piera, da piccola, mille volte era andata per rincorrere la donna affamata d’amore. Eugenia si rivolge a quell’acqua simbolo di maternità, luogo fisico da cui tutto ha avuto origine: la donna ha i capelli tagliati in modo orrendamente corto a seguito della presenza di parassiti presi mentre si trovava in clinica, ma essa trova il modo di ricomporsi, forse per un’ultima volta, in una dignità tutta femminile, in quel contegno che soltanto la consapevolezza di essere creatura in grado di fornire al mondo la vita riesce a conferire. Eugenia si spoglia completamente nuda e mostra il suo fisico statuario, che per tutta la durata della pellicola gli uomini hanno abbondantemente apprezzato ed il marito ha costantemente vantato, ed invita la figlia Piera a fare altrettanto. Le due si abbracciano dimenticando i contrasti e i dissapori, accantonando le follie della donna, tralasciando l’infanzia che Piera ha dovuto vivere sempre sulle tracce di una donna ammalata d’amore e sensualità, sfuggente e lasciva, instabile ed emotivamente vulnerabile. Il loro abbraccio finale è contemporaneamente un inno alla femminilità e alla carnalità, alla creazione della vita e alla sua perpetuazione (le due confrontano il seno ed Eugenia si lamenta di averne conservato ancora poco dopo aver allattato Piera), al ritrovato decoro e al legame materno, alla gioia spensierata dell’esistenza e alla speranza per il futuro. L’allegoria dell’abbraccio che conclude questo Storia di Piera è il degno compendio iconografico e simbolico di una storia che intende raccontare una sorta di femminilità assoluta, fuori dal tempo e dallo spazio (esemplare a questo proposito la ricercata e quasi onirica ambientazione proposta da Ferreri, il quale utilizza le città di Sabaudia e Latina con le loro architetture razionaliste e le colloca in una dimensione sospesa, a-temporale, rarefatta e indistinta, che si staglia con modalità surreali sullo sfondo della vicenda), proposta come paradigma sintomatico di una condizione e di un modo particolare di essere. Una femminilità che percorre le diverse età della vita attraverso il personaggio di Piera, mostrato fin dal momento della nascita (con l’Eugenia che combatte il dolore del parto con risate forzate, ostentando in modo tendente al parossismo il suo essere donna che crea e rinnova l’esistenza) per poi accompagnarlo nel corso di una fanciullezza condotta con estrema responsabilità seguendo passo dopo passo una madre immagine della pulsione non mediata dalle istanze di controllo (Es vs. Super-io), per giungere infine all’età adulta, nella quale Piera inizia un cammino autonomo assecondando i suoi interessi e le sue aspirazioni di attrice (sempre con calzanti riferimenti al tema della femminilità che si rende protagonista della sofferenza sentimentale e del processo della creazione: il ruolo che interpreta nella rappresentazione è infatti quello di Medea, maga, vendicatrice, abbandonata da Giasone e omicida dei figli che aveva generato, quasi un’estrema sintesi delle varie, tragiche e passionali possibilità della donna), vivendo una sessualità idealizzata, stilizzata (si accarezza mentre il suo partner si tocca) e rapporti ambigui e morbosi con i genitori (quasi incestuoso quello con il padre, apertamente conflittuale quello con la madre). L’infanzia di Piera è un’epoca contraddittoria nella quale la fanciulla è spinta a comportarsi in modo non conforme alla sua età, il periodo in cui la fanciulla deve trasformarsi di volta in volta, e necessariamente, in genitore nei confronti della madre irresponsabile e malata, in moglie comprensiva in relazione ad un padre impacciato e non sempre preparato ad affrontare le situazioni, in tenera ed innocente amante con il fornaio, in esperta donna di mondo che dispensa lezioni di sensualità ai suoi coetanei. Un’infanzia che diventa prodromo ed immagine completa di femminilità nelle sue varie manifestazioni e nelle sue differenti funzioni nei confronti degli altri; una fanciullezza che diventa piena consapevolezza del proprio ruolo all’interno dei meccanismi che presiedono allo sviluppo dell’universo, nel tentativo di eternarlo e di renderlo imperituro; una prima giovinezza che fornisce le coordinate esemplari per una figura di donna che si trasforma in vero e proprio concetto ideale, trascendendo la realtà e la sua collocazione definita all’interno della Storia.

Giampiero Frasca