Titolo di soggiorno da "minore età" a "lavoro"

06/10/2011 Tipo di risorsa Normativa e giurisprudenza Temi Minori stranieri Titoli Commenti giuridici Attività Rassegna giuridica

Aspetti della conversione del titolo di soggiorno da "minore età" a "lavoro" Ordinanza della Corte costituzionale Con il deposito in cancelleria dell'ordinanza 222/2011*, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata sull'art. 32, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), così come modificati dalla lettera v) del comma 22 dell'art. 1 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), in riferimento agli articoli 3, 10, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, della direttiva 27 gennaio 2003, n. 2003/9/CE (Direttiva del Consiglio recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri), e della risoluzione CE del 26 giugno 1997 (Risoluzione del Consiglio sui minori non accompagnati, cittadini di paesi terzi).  A tale conclusione i giudici della Corte Costituzionale sono giunti osservando che il giudice che ha sollevato la questione di costituzionalità (c.d. giudice a quo che nel caso in oggetto è il TAR del Piemonte) non ha adempiuto l'obbligo di cercare un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma sospettata di incostituzionalità prima di sollevare la questione dinanzi a lei. Infatti, già nel 2003 la Corte Costituzionale (vedi, sentenza 5 giugno 2003, n. 198) aveva chiarito che non è necessario un suo intervento quando le "eventuali residue incertezze di lettura" circa la legittimità costituzionale di una norma "sono destinate a dissolversi una volta che si sia adottato, quale canone ermeneutico preminente, il principio di supremazia costituzionale che impone all'interprete di optare, fra più soluzioni astrattamente possibili, per quella che rende la disposizione conforme a Costituzione". Nel caso in esame le disposizioni portate all'esame della Corte sono, in particolare, quelle che annoverano tra i minori stranieri non accompagnati coloro che sono stati affidati ai sensi dell'art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), ovvero, che sono stati sottoposti a tutela e, conseguentemente, subordinano la possibilità per i medesimi di ottenere, al raggiungimento della maggiore età, la conversione del titolo di soggiorno da "minore età" a "lavoro" al possesso dei requisiti che nella previgente disciplina erano richiesti unicamente per i minori non accompagnati. Per chiarezza giova ricordare che la precedente normativa (introdotta con la Bossi-Fini, L.198 del 2002) prevedeva, in relazione ai minori stranieri non accompagnati, la possibilità di convertire il permesso di soggiorno per minore età solo qualora lo straniero avesse seguito, per almeno due anni, un progetto di integrazione sociale e civile, e fosse in Italia da tre anni. Questa norma era stata poi interpretata, tra prassi ed alcune sentenze, in modo da includere fra i minori non accompagnati anche quelli sottoposti a tutela o affidati di fatto ad un parente. Fu  allora che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 189/2003, dichiarò questa prassi illegittima, stabilendo che sia i minori affidati di fatto a parenti entro il quarto grado che quelli sottoposti a tutela, dovessero essere equiparati, ai fini della conversione del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età, ai figli e agli affidati e quindi ottenere un permesso di soggiorno per lavoro o attesa occupazione. Tuttavia, a modificare nuovamente tale impianto normativo è intervenuta la legge n. 94 del 2009 che circa la conversione del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età  anziché consentire ai minori sottoposti a tutela, o affidati di fatto a parenti entro il quarto grado, la conversione diretta del permesso, ha unito la loro disciplina a quella dei minori stranieri non accompagnati, consentendo, di conseguenza, la conversione del permesso solo se al compimento dei diciotto anni abbiano seguito programmi di integrazione sociale e siano presenti sul territorio italiano da almeno tre anni. Per questo motivo, con l'ordinanza n. 130 del 2011 con cui rimetteva gli atti alla Corte Costituzionale, il Tar Piemonte aveva rilevato che la nuova legge introduceva una definizione di minore straniero non accompagnato contraria alla legislazione nazionale e comunitaria e tale da frustrare l'affidamento dell'interessato nella sicurezza giuridica, elemento fondamentale dello Stato di diritto. Inoltre veniva anche osservato come tale norma violasse il principio di uguaglianza dell'articolo 3 della Cost., in quanto verrebbe a comportare un uguale trattamento di situazioni non uguali "non potendosi annoverare tra i minori "non accompagnati" coloro che possono, invece, documentare l'esistenza di una situazione di tutela e di affidamento e, quindi, non potendosi, di conseguenza, applicare la medesima disciplina a soggetti che si trovano in condizioni sostanzialmente difformi". Adesso il compito di trovare la lettura costituzionalmete corretta della nuova disciplina torna di nuovo al giudice remittente. Tessa Onida   __________________________________________ * Corte Costituzionale, Ordinanza 21 luglio 2011, n. 222

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