«Negli Usa prevale il diritto feroce, nel Regno Unito il ricorso lo fanno invece i servizi sociali. Da noi, nella giustizia minorile, diventa sempre più importante l'ascolto». Sono le parole di Piercarlo Pazé, magistrato minorile e direttore di Minori e Giustizia, al convegno Una giustizia mite.
L'incontro che si è tenuto a Firenze ieri all'Istituto degli Innocenti, è stato un importante momento di discussione sul tema della giustizia minorile mite e un'occasione per presentare il volume Manifesto per una giustizia minorile mite (Franco Angeli editore) di Francesco Paolo Occhiogrosso, giudice minorile e presidente del Centro nazionale.
Al convegno è emersa una posizione unica a favore del diritto mite mentre i rapporti tra diritto debole e garanzie sono ancora problematici come lo è anche il rapporto tra decisione e consenso. «Il consenso è ineliminabile – spiega Pazè che ha coordinato l'incontro – quando il giudice si trova davanti a una coppia di genitori separati con un bambino, se c'è collaborazione e gli ex coniugi comprendono, significa che c'è consenso. Gli attori esprimono delle emozioni e il giudice le riconosce, le vede e sono importanti per prendere una decisione. A volte però vengono fuori dei provvedimenti orribili: sono il risultato del copia e incolla di relazioni che determinano una non verità».
C'è da ricordare che negli ultimi venti anni sono stati fatti grandi passi sul tema dei diritti dei minori. Una delle pietre miliari è stata la Convenzione dei diritti del fanciullo approvata a New York nel 1989 dall'Assemblea Generale Onu e siglata da 193 nazioni tra le quali l'Italia che l'ha ratificata il 27 maggio 1991 con la legge n. 176.
Ma giustizia mite e giusto processo sono in contrapposizione? Per Elena Urso, ricercatrice di Diritto privato comparato dell'Università di Firenze, si integrano «Le scienze sociali ci fanno capire che la maturazione del minore è un processo lento e non è facile affrontare la giustizia durante questa fase. É però importante ricordare le “3p” della Convenzione dei diritti del fanciullo che racchiudono la scelta di fondo importante: predisposizione di strumenti, protezione dei minori e promozione dei loro diritti».
Dal volume Manifesto per una giustizia minorile mite – importante punto di riferimento durante tutto l'incontro – viene sottolineato un fattore importante: la legge 184/1983 prevede la possibilità di un'adozione che conserva i rapporti con la famiglia di origine senza troncarli, ciò che Occhiogrosso chiama adozione mite attuata attraverso l'articolo 44.
L'importanza dell'ascolto viene sottolineato anche da Andrea Proto Pisani, professore di Diritto processuale all'Università di Firenze. Il docente spiega che presso il Tribunale di Bari, presieduto da Franco Occhiogrosso, per anni è stata messa in pratica l'adozione mite: «Nel libro la cultura dell'allontanamento del minore viene denunciata come negativa. Questa cultura ha caratterizzato molti tribunali minorili riducendo al minimo le garanzie processuali. Io credo che nella procedura che riguarda l'allontanamento del minore deve essere assicurato il rispetto del contraddittorio e l'ascolto dei genitori che devono essere messi in grado di far valere le proprie ragioni. I procedimenti non devono essere messi in moto da parte del giudice ma dal pubblico ministero, destinatario delle relazioni dei servizi sociali».
E a livello europeo esiste un organo giudicante equivalente? «Tra i Paesi europei ci sono situazioni variegate ma il Tribunale per i minorenni è un'istituzione tipicamente italiana – chiarisce ancora Proto Pisani – un'istituzione che va difesa perché garantisce la specializzazione dell'organo giudicante integrato da esperti che aiutano in questa operazione estremamente difficile di decisione nella quale si deve mediare tra i diritti fondamentali dei genitori biologici e il minore, sempre tenendo conto del suo interesse».
E se qualcuno tende a confondere la mitezza con la mansuetudine, Occhiogrosso (vedi intervista), che ha concluso l'incontro, sottolinea il concetto di Bobbio che parla di mitezza come virtù sociale con una dimensione di rapporto con gli altri: «Non ci interessa la mediazione come tecnica. Ci interessa invece entrare nella logica della cultura della mediazione che tutti gli operatori devono vivere per far sentire la giustizia meno lontana dalla gente. Bisogna prescindere dal diritto guardando la realtà sociale attraverso la mitezza. Questa è sostanzialmente non violenza in una società che si esprime in modo violento ed è il cardine di risposta a livello sociale contro il razzismo. É la mitezza che ha portato alla creazione delle Nazioni unite e si esprime attraverso il volontariato e la cittadinanza attiva contro la criminalità organizzata e contro il razzismo». (sp)
(Gli atti del convegno verranno pubblicati sul prossimo numero della rivista Minori e Giustizia)