di Steven Spielberg
(Usa, 2002)
Sinossi
Ancora adolescente, Frank Abagnale Jr. vede la propria famiglia disgregarsi a causa di un tracollo finanziario: il padre, commerciante di articoli di cancelleria, si ritrova sul lastrico per un’accusa di evasione fiscale; delusa dal marito, la madre chiede il divorzio per potersi risposare con un ricco avvocato. Traumatizzato, Frank scappa di casa e incomincia a vivere di piccole truffe: froda alcune banche falsificando assegni, e poi, con grande abilità, prende a spacciarsi per un assistente di volo della Pan Am. Vestendo la divisa della compagnia aerea riesce a girare il mondo e a incassare un enorme numero di assegni falsi. Attraverso una simile frenetica attività attira su di sé l’attenzione dell’Fbi, in particolare di Carl Hanratty, capo dell’unità anticontraffazione. Proprio quando quest’ultimo pensa di averlo catturato, Frank riesce persino a prendersi gioco di lui e a sfuggirgli spacciandosi per un agente della Cia. Tuttavia, il giovane imbroglione comprende di essere stato messo alle strette e cambia tattica: esibendo falsi titoli di studio si fa assumere come medico in un ospedale. Qui si innamora di Brenda, una giovane infermiera figlia di un ricchissimo avvocato: affermando di essere laureato anche in giurisprudenza, riesce a entrare nello studio legale di quest’ultimo con la promessa di sposarne la figlia. Proprio la sera prima delle nozze, tuttavia, Hanratty riesce a individuarlo: a malincuore Frank è costretto a fuggire precipitosamente, ad abbandonare Brenda e tutto quanto ha costruito, riprendendo la propria vita randagia di truffatore. Verrà catturato dalla polizia francese alcuni anni dopo: l’unico a correre in suo aiuto sarà proprio Hanratty, che riuscirà a convincerlo a diventare consulente per l’Fbi in cambio della libertà provvisoria.
Presentazione critica
Introduzione al film
Un’America ingenua
Tratto dall’autobiografia di Frank Abagnale Jr., che tra i sedici e i ventun’anni riuscì a incassare circa due milioni e mezzo di dollari grazie ad assegni da lui stesso falsificati, Prova prendermi è, allo stesso tempo, una commedia dal retrogusto amaro che commuove e fa riflettere lo spettatore, nonché un abile meccanismo narrativo che articola un’interessante riflessione sull’America di ieri e di oggi, sui suoi miti e i suoi sogni. Sfruttando fino in fondo tutti i risvolti forniti dalla vita rocambolesca del protagonista, il film, dopo una prima parte incentrata sulla descrizione del tracollo finanziario della famiglia Abagnale, del tormentato rapporto tra i genitori di Frank e delle ripercussioni di tali eventi sulle scelte di quest’ultimo, ci introduce in una vera e propria girandola di trucchi, truffe e raggiri abilmente orchestrati da un adolescente che, con intelligenza e molta incoscienza, mette sotto scacco un mondo adulto impreparato ad affrontare chi, come lui, riesce a impersonare credibilmente ogni ruolo sociale. Questa parte della pellicola è una sorta di divertissment dalla costruzione serrata e vivace, ispirato principalmente al genere “giallo-rosa” in voga durante gli anni Sessanta, che, sfruttando con sapienza l’iconografia popolare statunitense dell’epoca, sembra voler legittimare la visione di un’America ingenua, di un sistema sociale al cui interno era ancora possibile che si insinuasse la creatività di un enfant terrible capace di giocare con le regole dettate dalla società volgendole a proprio favore. L’ultima parte del film, nella quale Frank appare sempre più solo e disperato, riacquista spessore e intensità psicologica, parallelamente al prendere corpo del rapporto speciale che si instaura tra il giovane truffatore e l’agente dell’Fbi che gli dà la caccia. Toccante ritratto di un adolescente incapace di sottostare alle pressioni che un ruolo sociale definito impone e al tempo stesso desideroso di riconquistare quel sogno americano all’ombra del quale è cresciuto, Prova a prendermi è anche una grande metafora della società americana, anch’essa “troppo giovane” e strutturata su un continuo, ambiguo interscambio tra realtà e finzione (si pensi alla presenza invadente e pressoché continua dei programmi televisivi che accompagnano, introducono, spesso anticipano le azioni del protagonista). La storia di Frank, che nel finale vediamo integrarsi nel sistema grazie all’aiuto del “padre putativo” Carl Hanratty, un uomo che fa rispettare la legge discernendo il vero dal falso, incarna alla perfezione lo spirito della società statunitense sempre in bilico tra tensione dei singoli all’individualismo e necessità della società di omologare gli individui, ha il sapore di una sconfitta del mito americano del dollaro facile, il risarcimento, sia pur in extremis, di una visione legalitaria dell’esistenza, anch’essa profondamente radicata nella cultura di questa nazione.
IL RUOLO DEL MINORE E LA SUA RAPPRESENTAZIONE
Prova a crescere
Protagonisti privilegiati dei film di Spielberg, all’interno dell’orizzonte filmografico di questo regista gli adolescenti hanno spesso la funzione di rivelare i vizi del mondo degli adulti: non è un caso, dunque, che tra tanti “maghi della truffa” che sarebbero potuti essere degni protagonisti di una sua pellicola, il cineasta statunitense abbia scelto proprio Abagnale, un truffatore adolescente. A differenza di tanti altri personaggi spielberghiani adulti che paiono rimasti bambini, Frank è un adolescente costretto a fingersi adulto, e che, per risultare credibile, arriva al punto di farsi carico del lato peggiore dei grandi, a incominciare da quando, per dare una lezione a un compagno di scuola prepotente, il giorno in cui fa il suo ingresso al college riesce a spacciarsi per un supplente di francese dispotico. Del resto, Frank è il prodotto, inconsapevole, di quella parte della cultura americana che confonde continuamente l’apparenza con la realtà, e che, in questa ambiguità, trova il suo fondamento: e ciò non solo grazie agli insegnamenti del padre sull’importanza del denaro e, soprattutto, dell’apparire, nonché al comportamento di sua madre che ha abbandonato la famiglia alle prime difficoltà economiche, ma anche perché, ad esempio, è dalla televisione, dai prodotti più volgari veicolati da tale medium (serial e soap-opera con protagonisti avvocati e medici), che apprende a fingere, come impersonare nella realtà la parte di un medico o di un avvocato in maniera plausibile. Adolescente dall’intelligenza prodigiosa e dal fascino spontaneo, Frank non fa altro che applicare alla realtà, portandolo alla perfezione, una sorta di gioco nel quale, al pari dei propri coetanei, fa finta di impersonare figure professionali di grande prestigio (il pilota), che rivestono ruoli di forte responsabilità (il medico) o che hanno in mano un enorme potere (l’avvocato). La struttura tripartita del film messa in evidenza nella presentazione critica allude chiaramente a una sorta di percorso di crescita, amaro ma necessario, attraverso il quale ogni adolescente deve transitare: tale tragitto porta al passaggio da una dimensione nella quale tutto appare ipoteticamente possibile, a un’altra in cui è necessario operare delle scelte che, inevitabilmente, ne precluderanno altre. Altrettanto traumatico, per il giovane protagonista, sarà dover ammettere definitivamente di aver fallito nella propria disperata ricerca di riscatto a una figura paterna debole e a quella di una madre indifferente, nonché nella costruzione di quel modello familiare la cui immagine e i cui esemplari sono, ancora una volta, quelli veicolati dai media attraverso la pubblicità e le forme di intrattenimento più popolari.
RIFERIMENTI AD ALTRE PELLICOLE E SPUNTI DIDATTICI
Prova a prendermi ha il pregio non comune, nel panorama cinematografico contemporaneo, di illustrare, con una ricchezza di mezzi inusitata, lo spaccato di un’epoca considerata magnifica e ingenua al tempo stesso (gli anni del cosiddetto “sogno americano” non ancora inficiati dagli spettri della guerra del Vietnam e dall’assassinio di Kennedy), contribuendo al tempo stesso a farne emergere la reale, illusoria natura proprio attraverso la figura di un adolescente che decide di sfidare la legge reclamando quanto necessario a costruire la propria felicità. L’iconografia popolare dell’America degli anni Cinquanta è ricostruita con fedeltà assoluta e, da questo punto di vista, il film può rappresentare una testimonianza di grande valore su uno stile di vita che, progressivamente, ha conquistato (in tutti i sensi) il mondo occidentale. Prova a prendermi può essere anche considerato una sorta di I quattrocento colpi (uno dei più celebri film di François Truffaut) elevato all’ennesima potenza, tuttavia privo dell’idealismo e della poesia ingenua che connotavano quella pellicola: rappresenta cioè il tentativo disperato di un adolescente non già di ribellarsi al sistema (come era nel caso della pellicola francese) ma di integrarsi.
Fabrizio Colamartino