di Tassos Boulmetis
(Grecia, Turchia, 2003)
Sinossi
Fanis, maturo insegnante di astrofisica con una passione per la cucina e per le spezie, racconta la sua infanzia e la sua giovinezza. Nato e cresciuto a Costantinopoli, in una famiglia mista di prevalenza greca, negli anni in cui le tensioni tra i due stati andavano amplificandosi, il piccolo Fanis trascorre il suo tempo nella bottega del nonno, mercante di spezie. I suoi giochi preferiti sono quindi la cucina e l’osservazione dei clienti del negozio, e i suoi primi amori la piccola Saime, compagna di giochi nella soffitta polverosa, e le strambe lezioni di astronomia a base di spezie impartite dal nonno Vassilis. In seguito alle tensioni tra i due stati, però, la famiglia di Fanis è costretta a tornare in Grecia, vittima di un singolare paradosso: considerati greci dai turchi e turchi dai greci, devono abbandonare parenti e amici a Costantinopoli. Fanis patisce più di tutto il distacco dal nonno e da Saime. Preso da una malinconia incurabile e da un senso di estraneità nei confronti della nuova patria, sfoga il proprio malessere in insonni nottate di cucina. I genitori, preoccupati per la sua salute, gli impediscono di cucinare e Fanis si rinchiude in bagno nell’attesa, sempre vana, dell’arrivo del nonno. A vent’anni, brillante studente universitario, Fanis comunica ormai con gli altri soprattutto per mezzo del cibo e dell’uso sapiente delle spezie, nel rispetto quasi religioso delle tradizioni di famiglia. Non ha più avuto modo di rivedere né il nonno né Saime. Si decide a volare a Istanbul solo dopo la notizia dell’aggravarsi delle condizioni di salute del nonno. Al funerale incontra Saime, che si è sposata ma è in crisi con il marito. Decide di recuperare il tempo perduto accettando una cattedra in città. Il destino, però, ancora una volta gli impedisce di coronare il suo sogno d’amore, perché Saime parte per Ankara con il marito per dargli un’altra possibilità. Fanis si rifugia nella bottega abbandonata del nonno, circondato da spezie e pianeti.
Introduzione al Film
Pot-pourri di culture
Un tocco di zenzero ha ottenuto uno strepitoso successo in patria, battendo i record di incassi di tutti i tempi. Boulmetis, regista snobbato e poco conosciuto all’estero, propone un cinema del ricordo fortemente legato alle tradizioni, ai gesti ed alla cultura greca, in particolar modo quella dei Greci di Istanbul. Ne esce la rappresentazione di una popolazione apolide per elezione e per necessità nella quale sia greci che turchi possono trovare omologie. Il paradosso umano raccontato nel film, di questi greci che vengono scacciati come stranieri dalla Turchia eppure accolti come stranieri anche in patria, stravolge la normale concezione di appartenenza, di nazionalità, allargandone i confini. Non si tratta tuttavia di una globalizzazione ante-litteram basata sul reciproco impoverimento, sulla omologazione culturale, bensì di una straordinaria rivendicazione del valore delle micro-culture, dell’innegabile ed irrinunciabile unicità del singolo e della famiglia. Nel film di Boulmetis i continui riferimenti all’uso delle spezie, alla modalità di preparazione dei piatti tradizionali, alla seppur minima variante chimica, incarnano, in una metafora insistita ed evidente, il senso di interi “universi” culturali. Non a caso il protagonista insegna astrofisica: ogni piccolo nucleo familiare diventa, allora, un sistema solare, una galassia accanto ad altre galassie. In ognuna di esse, non a caso, gravitano una serie di pianeti diversi eppure tra loro interconnessi. Da qui il gusto per il racconto dei personaggi minori, apparentemente inutili eppure necessari a completare quella galleria familiare così variegata ma altrettanto coesa. Un bozzettismo cinematografico che recupera alcune reminiscenze felliniane, gli “amarcord” nei temi e nell’estetica, e altre reminiscenze che provengono dal realismo magico di molta letteratura sudamericana o ancora dalle incredibili evoluzioni familiari di tanti scrittori ebraici (Jodorwsky, per citarne uno). Il cinema di Boulmetis si fa portatore, in buona fine, di contaminazioni culturali che non annacquano lo stile ma lo rendono variegato ed universale. Le tradizioni, rappresentate in maniera predominante dalla cucina, si trasformano in una piccola-grande religione casalinga. Grande attenzione per i riti ed i gesti, dalla posologia farmacistica nel dosaggio di ogni spezia, alla disposizione dei piatti sulla tavola, sino al posizionamento sapiente dei commensali. Il cibo, come nella migliore tradizione del cinema “commestibile” – si pensi al diverso modo di raccontarlo e metaforizzarlo di La grande abbuffata (La grande bouffe, Italia/Francia, 1971) di Marco Ferreri Il pranzo di Babette (Babettes gaestebud, Danimarca, 1987) di Gabriel Axel, Come l’acqua per il cioccolato (Como Aga para chocolate, Messico, 1992) di Alfonso Arau, Mangiare, bere, uomo, donna (Yinshi Nan Nu, Taiwan, 1994) di Ang Lee – è innanzitutto rituale. Non quindi soltanto un mezzo di sostentamento fisico, ma magico strumento per influenzare la vita e gli stati d’animo, per intervenire sulla volontà e, quindi, cambiare la storia. Il cibo e la cucina anche come mezzo di comunicazione, l’unico valido per il protagonista, e come rifugio, come consolazione, come droga, olfattiva e fattiva, che salva dalla realtà o che aiuta a vivere meglio.
Il ruolo del minore e la sua rappresentazione
Il controllo delle stelle
Il film segue la vita del protagonista Fanis dalla prima infanzia fino all’età adulta, soffermandosi in particolare sulla fase che va dall’infanzia alla maturità. Il piccolo Fanis vive ad Istanbul ed è di origine greca e cresce circondato da molti parenti. È il nonno in particolare ad occuparsi della sua educazione, e lo fa in maniera semplice e fortemente connotata con il suo lavoro di bottegaio venditore di spezie. Fin da piccolissimo Fanis ama rifugiarsi nella soffitta del negozio del nonno, un mondo di odori e di colori cui il nonno ha dato simbologie astrali. L’insegnamento dell’astronomia passa, infatti, nelle parole del nonno, attraverso lo studio delle proprietà del pepe e dello zafferano, del loro valore e del loro utilizzo. Fanis impara a conoscere gli elementi e rimane affascinato dalla possibilità, quasi da demiurgo, di poterli unire e mischiare sapientemente per creare nuovi universi. Fanis in fondo vorrebbe proiettare questa abilità anche nella vita di tutti i giorni, vorrebbe controllare gli eventi e gestirli con cognizione di causa. La realtà, invece, gli sfugge di mano, a cominciare dalla più imprevedibile delle sue creature: Saime. I giochi con la coetanea rappresentano, infatti, per Fanis l’occasione per conoscere la vita e sperimentare l’amore, ma non basta saper cucinare, dosare tutti gli ingredienti, per ottenere il piatto voluto, ossia alcuni suoi baci. Nel rapporto con Saime, Fanis non è il cuoco, non è l’attore, ma è l’ingrediente, cucinato, agito, in qualche modo usato. Accade la stessa cosa negli altri domini della vita, visto che la famiglia, , a causa dell’inasprimento della situazione tra Grecia e Turchia, lo costringe, suo malgrado, ad abbandonare gli affetti. Fanis subisce la decisione e sperimenta, per la prima volta, con frustrazione la propria impotenza. Gli resta tra le mani solo la piccola cucina giocattolo che può portare con sé a simboleggiare il “surrogato” che sarà la sua vita in Grecia. La cucina e, più precisamente, l’atto del cucinare diventano l’unico modo per mantenere vivo il ricordo delle persone care abbandonate di là dal confine, e si trasformano in una vera malattia psichica, una forma di nevrosi. È il bisogno estremo di comunicare con il proprio passato mantenendolo vivo, la paura di perdere la propria identità, ma anche un estremo bisogno di controllo sulla realtà, sulla materia. Solo in cucina Fanis riesce a controllare l’esistente, solo lì diventa padrone della vita e dell’universo, il piccolo universo rappresentato dagli ingredienti da mescolare armoniosamente. Le sue qualità di cuoco sono straordinarie e gli valgono, oltre a mille problemi casalinghi, la benevolenza delle persone che gli stanno accanto. L’odore delle spezie e dei piatti preparati ricordano il passato e le persone assenti; i gesti, come quello ripetuto ed insistito dello strofinare la punta dell’indice con quella del pollice come a dosare qualche polvere, appaiono come un codice segreto di intesa e di appartenenza, lo strumento per richiamare la sensibilità perduta. In una tale situazione, la scelta di studiare astronomia è quasi obbligata. Fanis sente il bisogno di controllo sulla propria vita ed è affascinato dalla perfezione e dall’ordine, dagli ambiti in cui le regole sono precise, prestabilite, come la cucina e le galassie. Entrambi questi mondi gli danno un senso di appartenenza, un’identità precisa, sicura, riconoscibile, e lo fanno sentire vivo. Fanis vi si aggrappa con la stessa forza e cocciutaggine con cui si aggrappa alla speranza ed alla promessa, continuamente disattesa, dell’arrivo del nonno. In realtà non è il nonno in carne ed ossa a mancargli, ma è un sentimento di appartenenza che non proverà mai più perché, forse, si può sentire soltanto nell’infanzia. Lo conferma il suo ritorno a Istanbul, al capezzale del nonno ormai morente ed alla ricerca di Saime che ormai è sposata con figli: egli non si sente pienamente parte di qualcosa, non ha la sensazione di rientrare in possesso della propria identità. Non gli resta che rinchiudersi in una bottega che non aprirà mai più le sue porte.
Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici
I temi trattati ed il linguaggio utilizzato rendono questo film adatto alle scuole medie inferiori e superiori, che meglio possono cogliere i riferimenti nostalgico-psicologici nella situazione del protagonista. Per un approfondimento sul tema dell’identità e dell’appartenenza si consiglia anche la visione di Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano (Monsieur Ibrahim et les fleurs du Coran, Francia, 2003) di François Dupeyron, in cui il giovane protagonista è alla ricerca di un padre e di una cultura che lo rappresenti, La sorgente del fiume (Trilogia I: To Livadi pou dakryzei, Germania/Francia/Grecia/Italia, 2004) di Theo Anghelopoulos in cui viene affrontato il tema dell’immigrazione forzata, Ricette d’amore (Bella Martha, Italia/Germania/Francia/Svizzera, 2001) di Sandra Nettelbeck che affronta il tema del cibo come mezzo di comunicazione e veicolo per la cultura e la conoscenza.
Ludovico Bonora